Natura giuridica dei diritti edificatori. Profili ipotecari, catastali e fiscali


a cura del Dott. Luca Restaino, Notaio in Giffoni Valle Piana, Docente nell'Università Roma Tre

Il Prof. Gambaro conclude la sua prolusione ai corsi della Scuola di Notariato della Lombardia per l'anno accademico 2009-2010 affermando che un mercato funziona bene se l'acquirente è sicuro che il tradens è proprietario del diritto che gli vende, e che di conseguenza egli acquista un titolo valido erga omnes, e se il contratto mediante il quale il trasferimento avviene è perfettamente valido e vincolante e non impugnabile da chicchessia.
Proprio per garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori nonchè per tipizzare un nuovo schema diffuso nella prassi, la cessione di cubatura, l'art. 5, comma 3, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, nella Legge 12 luglio 2011, n. 106, ha inserito, all'articolo 2643, comma 1, del codice civile, dopo il n. 2, il n. 2 - bis, il quale prevede la trascrizione de "i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale".
Fino ad oggi siamo stati abituati a confrontarci quasi esclusivamente con la c.d. cessione di cubatura sulla cui natura giuridica prima della novella si fronteggiavano, sostanzialmente, due tesi.
Secondo un primo orientamento, che definiremo c.d. pubblicistico, la cessione di cubatura era un contratto atipico ad effetti obbligatori avente natura di atto preparatorio e procedimentale, senza oneri di forma pubblica o di trascrizione, finalizzato al trasferimento di volumetria, la cui fonte era ritenuta esclusivamente il provvedimento amministrativo (T.A.R. Veneto 10 settembre 2004, n. 3.263; Consiglio di Stato 28 giugno 2000, n. 3.637): si riteneva, quindi, non necessario un vero e proprio atto di asservimento o cessione, reputandosi sufficiente l’adesione del cedente, da manifestarsi o sottoscrivendo l’istanza e/o il progetto del cessionario o rinunciando alla propria cubatura a favore di questi o notificando al Comune tale sua volontà, mentre si riteneva che il c.d. vincolo di asservimento, rispettivamente a carico e a favore del fondo, si costituisse, sia per le parti che per i terzi, per effetto del rilascio del titolo abilitativo edilizio che legittimava lo ius aedificandi del cessionario sul suolo attiguo (Cass. 12 settembre 1998, n. 9.081).
Secondo un diverso orientamento, che definiremo c.d. privatistico, vi era, invece, necessità di strumenti negoziali privatistici (atto d’obbligo o servitù, e trascrizione) quando il proprietario di un terreno intendeva asservirlo a favore di un altro proprietario limitrofo per ottenere una volumetria maggiore di quella che il suo solo terreno gli avrebbe consentito (Consiglio di Stato 29 luglio 2008, n. 3.766; Consiglio di Stato 23 marzo 2004, n. 1.525), configurandosi in tale ottica un atto “assimilabile al trasferimento di un diritto reale immobiliare” (Cass. 14 maggio 2007, n. 10.979; Cass. 14 dicembre 1988, n. 6.807).
Si discuteva, poi, nell’ambito di quest’ultima impostazione, se il mezzo tecnico di produzione dell’effetto fosse la costituzione di una servitù di non edificare ovvero la costituzione di un diritto reale “atipico” e sui generis.
Da ciò una situazione di incertezza, che non riguardava, in realtà, direttamente la trascrivibilità o meno, ma si poneva “a monte”, ed atteneva piuttosto alla natura giuridica della situazione giuridica creata con il c.d. atto di cessione di volumetria.
Nell’ottica, poi, del bilanciamento degli interessi coinvolti, è evidente come la “tesi pubblicistica” legittimava la conformazione ope legis della proprietà per effetto del rilascio del titolo abilitativo edilizio, a prescindere da qualsiasi pubblicità, e, quindi conoscibilità legale del diritto di proprietà del fondo “asservito”: in altri termini quest’ultimo fondo veniva “privato” della volumetria
edificabile con efficacia “reale” e tale privazione, anche se “occulta”, era opponibile a qualsiasi successivo acquirente di diritti sul fondo medesimo.
All’opposto, la “tesi privatistica” privilegiava la sicurezza della circolazione giuridica e, nel far ricorso ai congegni civilistici della “realità” e della opponibilità a terzi subordinata alla trascrizione, tutelava il terzo acquirente che non avesse avuto modo di accertarsi - tramite lo strumento della trascrizione - del vincolo “reale” gravante sul fondo asservito.
Intervenendo nella situazione sopra descritta, il legislatore ha inteso sgombrare il campo dalle suddescritte discussioni e, optando decisamente per la “tesi privatistica”, ha conseguito il risultato di “garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori”, ed anche nella circolazione riguardante il diritto di proprietà sugli immobili interessati.
Ciò ha fatto prevedendo la trascrizione degli atti produttivi di vicende circolatorie sui c.d. “diritti edificatori” con il nuovo n. 2-bis dell’art. 2643; determinando, in tal modo, l’applicazione dell’art. 2644 c.c., con l’effetto principale (anche se non unico) di rendere inopponibili ai terzi acquirenti di diritti sull’immobile asservito la costituzione, il trasferimento o la modificazione dei diritti edificatori, qualora non trascritti.
E' necessario, dunque, valutare se le conclusioni alle quali la dottrina e la giurisprudenza erano pervenute in merito alla cessione di cubatura siano suscettibili di valere anche con riferimento al nuovo istituto dei diritti edificatori.
La giurisprudenza e la dottrina, come sappiamo e come detto poc'anzi, si sono storicamente orientate nella ricostruzione della cessione di cubatura nella direzione della servitù di non edificare, ancorché di contenuto atipico.
E' stato facile obiettare che della servitù mancherebbe il requisito dell’inerenza oggettiva e, soprattutto, non sarebbe ravvisabile l’asservimento attuale di un fondo in favore dell’altro confinante, perché è sempre indispensabile che intervenga il provvedimento amministrativo affinché possa configurarsi una utilitas, provvedimento che non è condizione di efficacia dell’atto di cessione, ma elemento costitutivo della fattispecie stessa.
Si è detto che la servitù potrebbe, però, nascere immediatamente, con utilità futura del fondo dominante (art.1029 c.c.), utilità costituita dall’incremento edificatorio in esito al provvedimento amministrativo.
Senonché se il provvedimento amministrativo fosse positivo, la servitù, trasferita la cubatura, non avrebbe più ragion d’essere, perché il titolo che giustificherebbe l’inedificabilità o la diminuita edificabilità del fondo c.d. servente a favore di quello c.d. dominante sarebbe esclusivamente il provvedimento, il quale assorbirebbe in sé e quindi annullerebbe ogni rilevanza della c.d. servitù, mentre se esso fosse negativo la servitù non potrebbe continuare a sopravvivere, se non altro in esito all’esistenza di una
presupposizione.
Inoltre, affinché possa realizzarsi la cessione di cubatura debbono essere sempre individuati il fondo del cedente e quello del cessionario laddove, invece, i diritti edificatori attribuiti ad un soggetto in seguito a perequazione, compensazione o incentivazione possono anche essere svincolati dalla titolarità di un fondo al quale collegarli.
In concreto, al momento dell’attribuzione della volumetria il beneficiario dei diritti edificatori, pensiamo soprattutto a quelli compensativi o premiali, potrebbe anche non essere proprietario di altro fondo su cui sfruttare la volumetria attribuitagli, avendo già ceduto al Comune l'area di sua proprietà e dovendosi, pertanto, limitare a mantenere i diritti edificatori in vista di un acquisto futuro di un suolo o a cederli a terzi.
Inoltre, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, la cessione di cubatura, fatta eccezione per il caso di diversa previsione di piano, può avvenire soltanto tra aree comprese in una stessa zona, mentre i diritti edificatori possono costituire oggetto di negoziazione - laddove gli strumenti urbanistici perequativi lo ammettano - anche se generati da aree esterne ai comparti o tra aree comprese in comparti discontinui.
E' evidente, quindi, da queste brevi osservazioni che il tema dei diritti edificatori non può essere risolto con l'affermazione che si tratta di un vecchio istututo – la cessione di cubatura – rivestito a nuovo in quando tra cessione di cubatura e diritti edificatori vi sono significative differenze che affondano le proprie origini nella radicale diversità che la pianificazione del territorio ha oggi assunto con l'istituto della perequazione, tecnica urbanistica tendente all’uguale distribuzione dei valori e degli oneri della trasformazione urbanistica del territorio tra tutti i proprietari interessati.
E' stato, peraltro, correttamente osservato che alla luce del nuovo art. 2643, n. 2 bis, c.c. la teoria che risolve la cessione di cubatura nella costituzione di servitù non è comunque più proponibile, se non altro perché la norma si riferisce anche al trasferimento di diritti edificatori, trasferimento ovviamente incompatibile con la servitù, tant’è che il n. 2 bis c.c. precede e non già segue il n. 3.
Se, dunque, per la qualificazione dei diritti edificatori non possiamo attingere all'eleborazione dottrinale e giurisprudenziale relativa alla cessione di cubatura è d'obbligo tentare di dare una risposta al quesito relativo alla natura dei diritti edificatori.
Tre sono le teorie sul campo:
- diritti edificatori come nuovo bene;
- diritti edificatori come nuovo diritto reale, tipico o atipico, in re propria o in re aliena;
- diritti edificatori diritto di credito.
Sono oramai note le ricostruzioni effettuate in ambito notarile e che hanno portato all'affermazione che la cubatura, in quanto tale, è in sé stessa bene in senso giuridico ed in quanto tale è un elemento idoneo a formare oggetto di diritti, affermandosi che la cubatura, quale bene giuridico autonomo, non urta con il principio del numero chiuso dei diritti reali, non costituendo essa stessa un diritto, bensì un bene in sé, bene, dotato di una sua apprezzabilità
economica, che può costituire oggetto di accordo tra privati ed in particolare oggetto di diritti reali.
Si tratterebbe in specie di un bene immateriale di origine immobiliare, certamente lecito e possibile, e comunque astrattamente dotato delle caratteristiche di cui all’art.1346 c.c. e quindi determinato o determinabile.
Nessun ostacolo si frapporrebbe, in tal caso, ad ammettere che la volumetria possa essere intesa quale bene autonomo in senso economico e di conseguenza costituire oggetto di diritto reali, qualsiasi forma e struttura abbia assunto il negozio; in una tale ottica, andrebbe, poi, distinta la circolazione del bene cubatura dalla sua fruizione: la prima, devoluta esclusivamente alla regolamentazione pattizia, la seconda, subordinata all’esito favorevole dell’attività provvedimentale della Pubblica Amministrazione.
Ulteriore conferma di una siffatta soluzione è stata rinvenuta nella ricostruzione tecnico - giuridica di alcune fattispecie del tutto speculari, seppur afferenti materie del tutto diverse, alle operazioni aventi ad oggetto i diritti edificatori.
Il primo esempio è offerto dalle cd. quote latte: nel contesto della disciplina emanata in applicazione delle normativa comunitaria avente ad oggetto la regolazione delle quote di produzione del latte bovino assegnate a ciascun produttore si afferma che la titolarità di esse compete al produttore nella sua qualità di conduttore dell’azienda agricola, salve diverse pattuizioni tra le parti (art. 10, comma 1, della legge 26 novembre 1992, n. 468); il secondo comma della stessa disposizione prevede, poi, che il conduttore possa cedere o affittare totalmente o parzialmente, anche per singole annate, la quota latte senza alienare l’azienda agricola, a condizione che l’azienda del produttore cessionario sia ubicata nella medesima regione e si trovi in un territorio della medesima categoria.
La quota latte è, perciò, un bene immateriale, incorporale, collegato all’azienda dell’allevatore quale elemento di essa, e non più al terreno.
Si tratta, insomma, di un bene oggetto di una specifica tutela giuridica, il diritto sul quale, esercitato dal rispettivo titolare, è ricostruito dalla giurisprudenza europea e costituzionale quale diritto di proprietà, che può essere dismesso in cambio di un’indennità o ceduto in tutto o in parte, definitivamente o temporaneamente, a favore di un terzo in cambio di un certo
prezzo.
Altra ipotesi è il cd. diritto al reimpianto del vitigno che può esser trasferito a favore di altri viticoltori con modalità, autonome rispetto all’azienda di appartenenza originaria, che siano determinate tra le parti convenzionalmente. Una tale fattispecie acquisisce in tal modo il rilievo oggettivo di un vero e proprio bene - nel significato di cui all’art. 810 c.c. - del tutto indipendente anch’esso rispetto al terreno di riferimento.
A queste fattispecie in sede di prima lettura della norma mi sono permesso di aggiungerne un'altra (ripresa poi dal collega Trapani nell'ultimo suo studio sull'argomento): è quella dei diritti all’aiuto previsti dal regolamento CE n. 1782/2003 che prevede l'erogazione di un sussidio agli agricoltori legato esclusivamente all’estensione della superficie aziendale complessivamente destinata ad attività agricola, prescindendo dalla quantità della produzione e, in linea di massima, anche dal tipo di coltivazione in essa esercitato.
L’art. 46 del regolamento n. 1782/2003 prevede espressamente la possibilità che l’agricoltore a cui tali quote sono state assegnate, in alternativa a chiederne il pagamento, le trasferisca “unicamente ad altro agricoltore stabilito nello stesso Stato membro”; il secondo paragrafo dell’art. 46 dispone poi che “i diritti all’aiuto possono essere trasferiti a titolo oneroso o mediante qualsiasi altro trasferimento definitivo, con o senza terra. L’affitto o altri tipi di cessione sono consentiti soltanto se al trasferimento dei diritti all’aiuto si accompagni il trasferimento di un numero equivalente di ettari ammissibili.”.
La tesi dei diritti edificatori come bene e non come diritto, proposta già prima della novella, viene riproposta anche sotto il vigore della novella adducendo anche motivi letterali, quali l'uso del termine al plurale (diritti edificatori) anzichè al singolare (diritto edificatorio), e l'uso dell'espressione "comunque denominati" che dimostrerebbe l'ininfluenza del dato nominalistico nelle scelte del legislatore.
Una volta raggiunta la conclusione che il quantum di volumetria edificabile possa essere considerato un bene a sè stante separabile dal bene suolo anche in assenza della costituzione di un diritto di superficie, la struttura del diritto che compete su tale bene sarebbe quella del diritto di proprietà e non già quella di un diritto reale limitato.
Esattamente allo stesso modo di come il diritto di mantenere un edificio che sorga sul suolo di proprietà altrui attribuisce al superficiario, ex art. 952 c.c., la proprietà piena dell’edificio stesso separata dalla proprietà del suolo.
Ne conseguirebbe che chi acquista un diritto ad edificare maggiorato perché incorpora nella sua proprietà una volumetria originariamente concessa ad altri acquista un bene altrui (perciò l’acquisto è soggetto ad imposta di registro) che, però, non è giuridicamente diverso da quello che gli spetta naturaliter in quanto proprietario del fondo ma che è maggiore di quello che gli spetterebbe senza tale acquisto.
Chi da seguito a questa tesi sostiene, coerentemente, che trattandosi di un nuovo bene, si ponga il problema della sua identificazione, problema che si ritiene di poter risolvere attraverso l'accatastamento, se del caso in categoria speciale, dei dirtti edificatori.
Da questo punto di vista si potrebbe pensare di utilizzare la categoria speciale F/4, unità in corso di definizione, in cui attualmente sono accatastate quelle porzioni di fabbricato che sono in attesa di regolarizzare e definire la loro destinazione.
A questa categoria vengono attribuite quelle porzioni di unità immobiliari ottenute da "frazionamento per trasferimento diritti" (come una porzione di corridoio, un ripostiglio, una parte di stanza, e simili) la cui destinazione o definizione avverrà solamente dopo che l'atto traslativo ne avrà stabilito la nuova proprietà.
L'utilizzo della categoria speciale F/4 consentirebbe sicuramente di risolvere anche il problema della soppressione del riferimento catastale dei diritti edificatori dopo il consumo degli stessi.
Al riguardo si è anche proposto di istituire una nuova categoria fittizia F/7, Diritti edificatori, creando – su istanza del Comune o di parte - per ogni particella identificata nel Catasto Terreni che generi diritti edificatori una nuova unità al Catasto Fabbricati in categoria F/7 con gli stessi identificativi e gli stessi intestati.
La doppia intestazione consentirebbe di tenere separata la tassazione del terreno da quella dei diritti edificatori sia a livello di imposte indirette che, soprattutto, a livello di imposte dirette.
Alla presentazione della richiesta di permesso di costruire o di denunzia di inizio attività edilizia, oggi segnalazione certificata di inizio attività edilizia, il Comune dovrebbe chiedere al Catasto l'apposizione di una riserva sull'unità F/7 con annotazione "diritti edificatori vincolati al P.d.C. n. del " al fine di evitare cessioni di diritti edificatori che sono in corso di spendita su di un dato
terreno.
Alla presentazione del Tipo mappale per il fabbricato costruito anche grazie ai diritti edificatori riportati in categoria F/7 verrebbe soppresso il riferimento catastale dei diritti edificatori evitando in tal modo che essi vengano compravenduti dopo essere stati consumati.
Non si può, peraltro, sottacere che la ricostruzione dei diritti edificatori in termini di nuovo bene non materiale assimilabile ad un bene immobile non è soddisfacente o non è pienamente soddisfacente.
Innanzi tutto, se davvero circolasse un bene, la norma di riferimento, in chiave di trascrizione, dovrebbe essere l’art. 2643, n. 1, o n. 10, c.c., perché si sarebbe in presenza di negozi gratuiti o liberali, di permute, vendite (anche con riserva di proprietà o altrui), di conferimenti in società.
L’art. 2643, n. 2 bis, c.c., dunque, sarebbe norma perfettamente superflua.
In secondo luogo, dal punto di vista della disciplina sostanziale, non può dirsi che la cubatura sia un bene a sé stante in senso tecnico - giuridico.
La cubatura è piuttosto la misura dell’interesse legittimo del proprietario di un fondo edificabile ad ottenere un dato provvedimento amministrativo, nel senso che la chance edificatoria non riguarda un provvedimento quale che sia, ma quel provvedimento che autorizza quella data edificabilità, anche, se del caso, maggiorata.
E’ il provvedimento amministrativo infatti e non l’atto privato di cessione ad assegnare l’ulteriore edificabilità.
Del resto l’ambiguità della teoria del bene autonomo si manifesta quando si parla di "bene immateriale di origine immobiliare" .
Può, innanzi tutto, ben contestarsi che, ammessane la configurabilità, la cubatura sia un bene immateriale, non solo perché semmai dovrebbe parlarsi di cosa materiale priva di forma corporale sensibile, al pari, ad esempio, delle energie, ma anche perché la cubatura è strettamente legata, e quindi condizionata, dalla materialità piena ed assoluta del terreno, a prescindere dal quale essa non è concepibile, anche in termini di interesse.
Inoltre si sarebbe in presenza di una nuova categoria di bene, né mobile, né immobile, nulla significando, in termini giuridici, l’espressione "di origine", salvo appunto alludere ad una scissione di beni di cose unite, di cui una immobile e l’altra di incerta qualificazione, ma presumibilmente mobile.
In questa prospettiva potrebbe allora parlarsi, più propriamente, di nesso pertinenziale tra cosa mobile e cosa immobile, essendo la prima a servizio della seconda, sul piano dello sfruttamento della qualità edificatoria del terreno, con possibile cessazione del vincolo in esito ad alienazione separata della cubatura (art.818 comma secondo c.c.).
Audace è stata definita, poi, la prospettata ricostruzione del diritto edificatorio in termini di frutto, come tale separabile dal terreno edilizio, reputato alla stregua di un bene produttivo.
Escluso, dunque, che si sia in presenza di un contratto traslativo della proprietà del bene cubatura, resta l’alternativa tra il trasferimento di un nuovo diritto reale, denominato diritto edificatorio, ed il trasferimento dell’interesse legittimo di cui il cedente è titolare nel contesto del procedimento amministrativo.
Autorevole dottrina ha recentemente sostenuto che il contratto abbia ad oggetto la chance edificatoria, che discende da un interesse legittimo pretensivo, situazione giuridica soggettiva correlata a beni della vita, patrimonialmente valutabili, onde la possibilità di una sua circolazione mediante un contratto ad effetti reali.
Si ritiene, in merito, che la formula di cui all’art.1 376 c.c., nel punto in cui parla di “trasferimento di un altro diritto”, si attagli anche a questa fattispecie, pur a prescindere dall’inquadramento dogmatico dello jus aedificandi nei rapporti con la pubblica amministrazione.
La trascrivibilità ai sensi dell’art. 2643, n. 2 bis, c.c. e agli effetti di cui all’art. 2644 c.c., implicherebbe che la formula dell’art. 1376 c.c., nel punto in cui richiama anche i diritti di credito, debba essere interpretata estensivamente.
Ovviamente ciò non significa che il cedente e, in seguito alla cessione, il cessionario vantino nei confronti del Comune un diritto di credito, né che, correlativamente, il rilascio del permesso di costruire per una cubatura maggiorata sia atto dovuto.
Tuttavia l’estensione della portata dell’art. 1376 c.c. si giustifica in considerazione del fatto che è possibile la cessione di un credito anche solo sperato ed anche di un’aspettativa di diritto, il cui confine con la chance è labile.
La chance, a sua volta, consiste nella possibilità, già esistente nel patrimonio del soggetto, di conseguire un vantaggio economico sperato, essendo inserita in una sequenza causale.
Pertanto, pur in presenza di un interesse legittimo, la chance edificatoria è in grado di circolare alla stessa stregua di un diritto di credito, perché il soggetto ha la fondata probabilità che il Comune accolga l’istanza e rilasci il permesso di costruire, riferito a quella data cubatura maggiorata e dunque tenga quel dato comportamento, pur se non dovuto, ma frutto di discrezionalità.
Dà luogo, pertanto, ad un’inutile superfetazione la tesi secondo cui la cubatura si atteggerebbe "quale bene che può formare oggetto di diritti nei rapporti interprivatistici e contemporaneamente interesse legittimo nei confronti della pubblica amministrazione, strettamente collegato al potere di pianificazione di quest’ultima".
E’, infatti, sempre e solo l’interesse legittimo che circola, tant’è che, secondo questa stessa dottrina, "la cubatura reificata consiste, insomma, in una chance […] ed è bene in sé distinto dal bene finale (costruzione)".
E’ sufficiente spostare allora la prospettiva del bene finale dalla costruzione al permesso di costruire, per dimostrare l’inutilità della reificazione, tant’è che la cessione onerosa del credito non si identifica con la vendita di una cosa.
Del resto che la cubatura, intesa come chance edificatoria, si rapporti al permesso di costruire è evidente se si considera che, ottenuto il permesso, la chance si esaurisce, tant’è che la costruzione, intesa correttamente come costruibilità, cioè come esercizio del relativo diritto di proprietà, una volta ottenuto il permesso è un fatto non già sperato, ma certo.
La tesi del diritto edificatorio quale interesse legittimo merita di essere approfondita alla luce delle nuove norme che disciplinano l'esercizio dell'attività edilizia e dei principi che governano l'istituto della perequazione.
E' noto che, non da ieri, si discorre di diritti soggettivi a tutela amministrativa.
Non è questa la sede per approfondire l'argomento ma occorre chiedersi se sia ancora attuale discorrere dello jus aedificandi in termini di interesse legittimo o se invece le nuove normative in materia edilizia e la perequazione urbanistica con l'attribuzione di un indice di edificabilità a tutti i suoli non possa orientare l'interprete alla qualificazione dello ius aedificandi in termini di diritto sia pure soggetto a tutela amministrativa.
Una delle principali obiezioni che viene mossa nei confronti della ricostruzione del diritto edificatorio in termini di diritto soggettivo da parte degli amministrativisti è che si tratterebbe di un diritto che resta esposto alle conseguenze delle modifcazioni del piano dal quale nasce: i diritti edificatori cone nascono dallo strumento urbanistico dallo stesso potrebbero essere cancellati.
Orbene nessuno dubita che i diritti edificatori, almeno quelli di tipo perequativo, restino esposti alle conseguenze derivanti dalla variazione dello strumento urbanistico ma ciò nonostante una simile considerazione non è risolutiva per l'esclusione dei diritti edificatori dal novero dei diritti soggettivi, dovendosi altrimenti ritenere che lo stesso diritto di proprietà in quanto esposto a possibile modifica del suo contenuto proprio per effetto della
revisione dello strumento urbanistico andrebbe escluso dal catalogo dei diritti soggettivi.
Aver affermato che si è in presenza di un diritto soggettivo non significa però necessariamente aver concluso che si tratti di un diritto reale.
Dirò subito che l'espressa previsione della trascrivibilità dei contratti che trasferiscono diritti edificatori non può essere considerato elemento risolutivo della questione relativa alla natura reale o meno dei diritti edificatori in quanto, come è noto, la trascrizione non vale ad attribuire natura reale a situazioni che sul piano sostanziale ne siano prive (pensiamo alla trascrizione di un diritto di prelazione volontariamente concesso che non attribuisce al prelazionario il c.d. diritto di seguito o di riscatto) e dall'altro
perchè nel codice sono già previste fattispecie a carattere obbligatorio espressamente trascrivibili: senza scomodare la norma sul contratto preliminare e per rimanere nell'ambito dell'art. 2643 c.c. si pensi alla trascrizione dei contratti di locazione di beni immobili che hanno durata superiore a nove anni o anche al contratto di anticresi, sebbene qui la natura e gli effetti del contratto, non del tutto pacifici nella ricostruzione dottrinale, non
ci consentano di ascrivere a pieno titolo alle situazioni di natura obbligatoria quelle derivanti da un simile contratto.
La realità o l'obbligatorietà dei diritti edificatori va, dunque, affermata o negata prima e indipendentemente dalla nuova previsione normativa.
Ritengo utile, a tal fine, un breve excursus dei diritti edificatori nel nostro ordinamento che ci consenta di inquadrare meglio l'istituto in discorso.
I diritti edificatori sono stati previsti per la prima volta nell'ambito di fenomeni perequativi sviluppatisi nella prassi di alcuni Comuni all'inizio degli anni novanta.
I primi Comuni che hanno disciplinato fenomeni perequativi sono stati, a quanto mi consta, Casalecchio di Reno nel 1992, Reggio Emilia nel 1994, Ravenna e Torino nel 1995, Parma e Piacenza nel 1998.
Da un punto di vista normativo i referenti normativi dell'istituto in discorso vanno rinvenuti:
- nell'art. 23 della legge urbanistica (legge 17 agosto 1942, n. 1150), che prevede la formazione di «comparti edificatori» da parte dell'amministrazione comunale in sede di approvazione dei piani regolatori particolareggiati;
- nell'art. 30 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che prevede la possibilità, per i privati interessati da un intervento espropriativo dell'amministrazione, di richiedere l'assegnazione di altri lotti di terreno, equivalenti ai primi;
- nei «programmi di riqualificazione urbana» e nei «programmi integrati di intervento» di cui alla legge 17 febbraio 1992, n. 179, in materia di edilizia residenziale pubblica;
- nei «programmi di recupero urbano» di cui al d.l. 5 ottobre 1993, n. 398, convertito nella legge 4 dicembre 1993, n. 493;
- nella legge 15 dicembre 2004 n.308, la quale, all’art. 1, comma 21, dispone che “qualora per effetto di vincoli sopravvenuti diversi da quelli di natura urbanistica non sia più esercitabile il diritto di edificare che sia già stato assentito a norma delle vigenti disposizioni è in facoltà del titolare del diritto di chiedere di esercitare lo stesso su un’altra area del territorio comunale, di cui abbia acquisito la disponibilità a fini edificatori”, ed al comma 22 aggiunge che “in caso di accoglimento dell’istanza presentata ai sensi del comma 21, la traslazione del diritto di edificare su area diversa comporta la contestuale cessione al Comune a titolo gratuito dell’area interessata dal vincolo sopravvenuto”;
- nell'art. 1, commi 258 e 259, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (l. finanziaria per il 2008), la quale ha previsto che «ai fini dell'attuazione di interventi finalizzati alla realizzazione di edilizia residenziale sociale, di rinnovo urbanistico ed edilizio, di riqualificazione e miglioramento della qualità ambientale degli insediamenti, il Comune può nell'ambito delle previsioni degli strumenti urbanistici, consentire un aumento di volumetria premiale nei limiti di incremento massimi della capacità edificatoria prevista per gli ambiti di cui al comma 258»;
- nell'art. 11, quinto comma, della legge 6 agosto 2008, n. 133 (l. finanziaria per il 2009), che, sotto la rubrica “Piano Casa”, al fine di incentivare l'edilizia residenziale sociale, contempla la possibilità del trasferimento di «diritti edificatori in favore dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo»; di «incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi e spazi (pubblici)»; della «cessione, in tutto o in parte, dei diritti edificatori come corrispettivo per la realizzazione di unità abitative di proprietà pubblica da destinare alla locazione a canone agevolato, ovvero da destinare alla alienazione in favore delle categorie sociali svantaggiate».
Tale disposizione è assai importante perchè per la prima volta nella legislazione nazionale si parla dei diritti edificatori; si prevede, infatti, che gli interventi del c.d. Piano Casa possano essere realizzati anche:
- mediante il trasferimento di diritti edificatori in favore dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo (lettera a);
- mediante incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (lettera b);
- ed ancora mediante la cessione, in tutto o in parte, dei diritti edificatori come corrispettivo per la realizzazione anche di unità abitative di proprietà pubblica da destinare alla locazione a canone agevolato, ovvero da destinare alla alienazione in favore delle categorie sociali svantaggiate (lettera e).
Questo è il quadro normativo di partenza, un quadro ulteriormente arricchito dalle previsioni proprio del c.d. D.L. Sviluppo il quale all'art. 5, comma 9, prevede che "al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale
dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, le Regioni approvano entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che
prevedano:
a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale;
b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse;
c) l’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
d) le modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti."
Il decimo comma ha modo, poi, di precisare che gli interventi di cui al nono comma non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.
Particolarmente prolifica sul punto è stata, poi, l'attività dei legislatori regionali.
La prima Legge Regionale che ha previsto l'istituto della perequazione urbanistica è stata la L.R. Basilicata 11 agosto 1999, n. 23: art. 33 (Finalità e contenuti della perequazione).
Hanno poi fatto seguito:
la L.R. Emilia Romagna n. 20/2000;
la L.R. Puglia n. 20/2001; e ancora la L.R. Puglia 22 febbraio 2005
n. 3: art. 21 (Permuta con diritti volumetrici);
la L.R. Calabria n. 19/2002;
la L.R. Veneto 23 aprile 2004, n. 11: art. 17 (Contenuti del Piano degli Interventi (Pi)), art. 35 (Perequazione urbanistica), art. 36 (Riqualificazione e credito edilizio), art. 37 (Compensazione urbanistica);
la L.R. Lombardia 11 marzo 2005 n. 12: art. 11 (Compensazione, perequazione ed incentivazione urbanistica);
la L.R. Umbria 22 febbraio 2005 n. 11: art. 29 (Perequazione urbanistica), art. 30 (Compensazioni);
la L.R. Friuli Venezia-Giulia, 23 febbraio 2007 n. 5: artt. 31 (Perequazione urbanistica), art. 32 (Compensazione urbanistica), art. 33 (Compensazione territoriale).
L'individuazione dei referenti normativi dei diritti edificatori consente, ora, di rispondere al quesito circa la natura reale o meno di detti diritti.
La difficoltà maggiore nell’ammettere che la cubatura possa formare oggetto di diritti è legata alla impossibilità di immaginare che lo spazio aereo connesso alla proprietà del suolo possa essere oggetto di diritti separatamente dalla proprietà del suolo.
A mio avviso il dettato normativo del c.d. D.L. Sviluppo orienta verso la conclusione che il diritto edificatorio non sia un bene che può costituire oggetto di diritti reali bensì sia esso stesso un diritto reale, non più atipico perchè espressamente previsto dal legislatore.
In primo luogo il nuovo n. 2 bis va letto in consecuzione con il numero 3 della stessa disposizione che fa riferimento alla trascrizione dei contratti che sui diritti menzionati nei numeri precedenti costituiscono una comunione, fenomeno normativamente riferibile proprio alla proprietà e agli altri diritti
reali.
Un tale riferimento letterale consentirebbe di qualificare i diritti edificatori in termini di realità.
Si tratterebbe di un diritto reale anche per due argomenti a contrario.
Se i diritti edificatori fossero un nuovo bene e non un nuovo diritto il legislatore non avrebbe avuto la necessità di dettare il n. 2 bis in quanto sarebbe stato sufficiente ricondurre il bene ad una situazione giuridica tipica quale il diritto di proprietà.
In secondo luogo la conferma in positivo di una tale impostazione discende dall'introduzione in sede di conversione del Decreto Legge del contratto costitutivo del diritto edificatorio.
La costituzione non sarebbe neppure concepibile se fosse vero che la volumetria è bene in sè, a meno di non voler ritenere che il proprietario costituendo il diritto edificatorio stia creando un nuovo bene.
Solo configurando la volumetria come una facoltà del diritto di proprietà suscettibile di distaccarsi a formare una situazione giuridica soggettiva autonoma è concepibile parlare di costitutività.
Il diritto edificatorio corrisponde, dunque, ad una delle facoltà di godimento del fondo; laddove sia staccato dal fondo, in modo non dissimile a quanto accade con altri diritti “immobiliari” (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie), si presenta con i caratteri tipici dei dirtitti reali limitati e precisamente dei diritti reali di godimento: diritto di seguito, e conseguente opponibilità ai terzi acquirenti; “immediatezza”, nel senso che il relativo titolare può fruirne a prescindere dall’intermediazione del proprietario del fondo asservito; e “assolutezza”, cioè tutelabilità erga omnes.
Si tratterebbe di un diritto a metà strada tra la proprietà ed il diritto di superficie.
Se fino ad oggi eravamo portati ad affermare che il diritto di edificare è una espressione del diritto di proprietà dal quale può essere separato grazie alla creazione del diritto di superficie, con il riconoscimento dei diritti edificatori nel nostro ordinamento questa affermazione merita di essere integrata nel senso che il diritto di edificare, espressione del diritto di proprietà, può essere separato dal suolo anche grazie alla creazione del diritto edificatorio, diritto reale su cosa altrui.
I diritti edificatori sono, dunque, una facoltà del proprietario del suolo fin quando sono nella titolarità di questi, allo stesso modo di come il diritto di godimento di un bene è una facoltà del proprietario – e non un autonomo diritto - fin quando questi non costituisca un diritto di usufrutto su quel bene.
Diventano ius in re aliena nel momento in cui il proprietario del suolo li aliena a terzi senza contestualmente alienare la proprietà del suolo.
Non, dunque, diritto reale su cosa propria ma facoltà del proprietario fin quando sono nella titolarità del medesimo.
Diritto reale su cosa altrui nel momento in cui il proprietario del suolo li aliena a terzi mantenendo per sè la proprietà del suolo.
Imprescrittibili fin quando sono nella titolarità del proprietario del fondo da cui originano; soggetti a prescrizione per non uso ventennale alla stregua degli altri diritti in re aliena una volta separati dalla titolarità del fondo.
Imprescrittibili sempre, secondo la teoria del diritto edificatorio come bene, sulla base del rilievo che si prescrivono i diritti non i beni.
Si tratterebbe, a mio avviso, e come già sostenuto, di un diritto a metà strada tra la proprietà e il diritto di superficie.
A metà strada perchè della proprietà il diritto edificatorio ha alcune facoltà ma non ha il terreno che nel diritto edificatorio assumere un rilievo solo per determinare la nascita e la spendita del diritto, e perchè della superficie come diritto di fare e mantenere una costruzione al di sopra del suolo il diritto edificatorio ha solo l'aspetto relativo al diritto di fare ma non anche quello del
mantenere che è legato alla titolarità di un terreno sul quale il diritto possa essere speso.
Se si accetta la prospettiva del diritto edificatorio non in termini di bene che può costituire oggetto di diritti ma come nuovo diritto reale espressamente previsto dal legislatore possiamo dire, in via di prima approssimazione, che il diritto edificatorio è il diritto di fare una costruzione, diritto distinto ed autonomo rispetto alla costruzione per la cui effettuazione occorrerà il consolidamento del diritto edificatorio con il diritto di proprietà di un suolo.
Il diritto reale di fare una costruzione consentirebbe, dunque, di staccare dal diritto di proprietà del terreno dal quale il diritto edificatorio sorge alcune facoltà che costituirebbero il contenuto di un diritto reale autonomo, il diritto edificatorio, diritto appunto di fare una costruzione, diritto che potrebbe liberamente circolare ma che necessiterebbe, per poter, poi, essere materialmente esercitato con l'effettuazione della costruzione, di consolidarsi con la proprietà di un terreno suscettibile, secondo le previsioni di piano,
di essere edificato.
Natura reale che va riconosciuta ai diritti edificatori in tutte e tre le loro fasi, quella del decollo, del volo e dell'atterraggio.
La cessione in volo dei diritti edificatori presenta sicuramente il problema di dar conto dell'esistenza del requisito dell'inerenza, tipico dei diritti reali, anche in questa fase.
Una prima argomentazione che può al riguardo venire in soccorso è quella che già il codice contiene previsioni di diritti reali in cui manca al momento della cessione uno dei termini di riferimento - o oggettivo o soggettivo - senza con ciò che la relativa situazione giudica soggettiva debba essere esclusa dal novero dei diritti reali: si pensi alla cessione di beni futuri o alla donazione a nascituri.
Ciò porterebbe ad un accostamento tra cessione del diritto edificatorio e cessione dell'aspettativa.
La dottrina che più si è preoccupata di dar conto dell'esistenza del requisito dell'inerenza anche nel caso di cessione in volo dei diritti edificatori ritiene, piuttosto, che nel caso di diritti edificatori l'inerenza attuale ad un suolo è un requisito imprescindibile per la realizzazione del diritto ma non per la circolazione del diritto reale; si sarebbe dunque in presenza di un diritto ad inerenza differita.
Diritti reale. Dunque. Tipico o atipico?
La previsione espressa da parte del legislatore nazionale dei diritti edificatori, quale possibile oggetto di un negozio traslativo, permette di superare definitivamente l’opinione che l'ostacolo alla configurazione autonoma dei diritti edificatori sarebbe stato costituito proprio dal principio di tipicità dei diritti reali.
Qui è, però, necessaria una ulteriore considerazione di stampo diverso.
Se l'espressa previsione della trascrivibilità dei contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano diritti edificatori consente di superare l'obiezione sull'atipicità del diritto, nel contempo la norma, nel discorrere di diritti edificatori comunque denominati previsti da normative statali o regionali ovvero da strumenti di pianificazione territoriale, chiarisce che per i diritti edificatori vige il principio del numerus clausus.
Solo, dunque, quando è il legislatore nazionale o regionale o ancora uno strumento di pianificazione territoriale a prevedere i diritti edificatori è possibile staccare dal fondo l'utilità consistente nella possibilità edificatoria per attribuirla ad un soggetto diverso dal relativo proprietario.
Ciò non significa anche, peraltro, che laddove non sia previsto da una norma di legge nazionale o regionale o ancora da uno strumento di pianificazione territoriale non sia più possibile staccare la volumetria da un fondo per attribuirla ad un altro fondo.
Il distacco sarà sempre e comunque ammissibile; dovranno però essere utilizzati gli strumenti che tradizionalmente venivano utilizzati con la cessione di cubatura ed in specie con la servitù di non edificare.
Passando all'analisi degli interrogativi che la nuova norma pone si rende necessario, in primo luogo, precisare un aspetto non secondario.
Se anche prima del D.L. Sviluppo era possibile arrivare ad affermare la trascrivibilità degli atti relativi ai diritti edificatori, è anche vero che l'espresso inserimento della norma nel testo dell'art. 2643 c.c. vale a chiarire che la trascrizione è disposta a fini di opponibilità ai terzi e che, dunque, l'eventualità della c.d. doppia cessione di diritti edificatori vada oggi risolta sulla base dei principi della trascrizione ai sensi dell'art. 2644 c.c. e non sulla base dei
principi del diritto amministrativo, per effetto dei quali si riteneva che ancorchè fosse stata trascritta la cessione di cubatura, in caso di doppia cessione di cubatura a prevalere non era il primo trascrivente ma il primo che fosse riuscito ad ottenere dal Comune il rilascio di un permesso di costruire "maggiorato".
La norma prende in considerazione solo i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori: la collocazione della nuova norma al n. 2 bis dell'art. 2643 c.c. consente di affermare la sicura trascrivibilità degli atti tra vivi di rinunzia ai diritti edificatori rientrando questi ultimi nell'ambito della previsione di cui al n. 5 dell'art. 2643 c.c. che prevede,
appunto, la trascrizione degli atti tra vivi di rinunzia ai diritti menzionati ai numeri precedenti.
Stesso discorso per i contratti che costituiscono la comunione dei diritti edificatori sicuramente trascrivibili ex art. 2643 n. 3 c.c., norma che contempla la trascrivibilità dei contratti che costituiscono la comunione dei diritti menzionati nei numeri precedenti.
Si ritiene, inoltre, che in forza del rinvio ai “diritti menzionati nei numeri precedenti”, o più in generale ai “diritti reali immobiliari”, siano poi soggetti a trascrizione i provvedimenti traslativi nell’esecuzione forzata (art. 2643, n. 6, c.c.), i contratti di conferimento del godimento in società e consorzi (art. 2643, nn. 10 e 11 c.c.), le transazioni (art. 2643, n. 13, c.c.), le sentenze che operano la costituzione, il trasferimento o la modificazione dei suddetti diritti (art. 2643, n. 14, c.c.).
In forza del disposto dell’art. 2645 c.c. deve essere poi trascritto ogni altro atto o provvedimento che produca, in relazione ai diritti edificatori, taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’art. 2643, n. 2 bis, c.c..
Si è, inoltre, affermato che i diritti edificatori - in quanto equiparabili ai beni immobili ex art. 813 c.c. - siano suscettibili di formare oggetto di fondo patrimoniale, di vincolo di destinazione, e di cessione dei beni ai creditori, e come tali suscettibili di trascrizione.
Un dubbio si pone con riguardo al contratto preliminare, in quanto l’art. 2645 bis c.c. non contempla espressamente il n. 2 bis dell’art. 2643.
Secondo parte della dottrina si è in presenza di un mero difetto di coordinamento al quale deve sopperirsi con l’interpretazione sistematica, ritenendo senz’altro trascrivibile il contratto preliminare avente ad oggetto la conclusione di un contratto riguardante un diritto edificatorio.
Secondo altri, ferma restando l'ammissibilità di un contratto preliminare avente ad oggetto diritti edificatori, la trascrizione del contratto non sarebbe possibile, mentre sarebbe possibile, sulla base del dettato della norma, trascrivere una domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c..
I diritti edificatori sono certamente trasmissibili mortis causa:
conseguentemente, il relativo acquisto successorio è soggetto a trascrizione, a norma dell’art. 2648 c.c..
Altro difetto di coordinamento è rinvenibile nell'art. 2651 c.c. che, sotto la rubrica "trascrizione di sentenze", non prevede la trascrizione delle sentenze che trasferiscono diritti edificatori.
Non sussistono limiti, invece, nella trascrizione delle domande giudiziali aventi ad oggetto diritti edificatori: sia l'art. 2652 c.c. che l'art. 2653 c.c. alludono alla trascrizione delle domande che abbiano ad oggetto le fattispecie di cui all'art. 2643 c.c. e, tra di esse, i diritti edificatori.
Per quanto attiene, poi, alla tipologia di atti, due sono i problemi che meritano attenzione: la trascrivibilità di un atto di divisione di diritti edificatori e l'ipotecabilità dei medesimi.
La trascrizione delle divisioni è contemplata dall'art. 2646 c.c. il quale afferma che si devono trascrivere le divisioni che hanno per oggetto beni immobili.
La norma non fa, dunque, riferimento al diritto ma all'oggetto della divisione: beni immobili; ne consegue che se si ritiene che il diritto edificatorio sia un nuovo diritto reale che, comunque, ha ad oggetto un bene immobile, non vi è nessuna difficoltà ad ammettere la trascrivibilità di una divisione relativa ai diritti edificatori, mentre maggiori difficoltà sussistono nell'affermare la trascrivibilità di una divisione avente ad oggetto diritti edificatori nel caso in cui si ritenga che si sia in presenza non di un nuovo diritto ma di un
nuovo bene.
Analogo discorso per l'ipoteca: l'art. 2810 c.c., rubricato "Oggetto dell'ipoteca", afferma che sono capaci d'ipoteca i beni immobili che sono in commercio con le loro pertinenze.
La lettera della norma unita all'interpretazione prevalente che vuole tassativa l'elencazione di cui all'art. 2810 c.c. ha portato la dottrina ad oggi prevalente ad affermare che il diritto edificatorio non sia capace di ipoteca.
A mio avviso la circostanza che si faccia riferimento, anche qui, all'oggetto e non al diritto potrebbe portare a ritenere compresi nell'ambito di applicabilità della norma e, dunque, capaci di ipoteca i diritti edificatori in quanto diritti relativi a beni immobili.
E' ben vero che, qui, ai numeri 2, 3 e 4, si precisa che sono capaci di ipoteca l'usufrutto dei beni stessi, il diritto di superficie, il diritto dell'enfiteuta e quello del concedente sul fondo enfiteutico, ma è anche vero che se l'elencazione dovesse essere interpretata letteralmente e non sistematicamente mancherebbe, allora, il riferimento al diritto di nuda proprietà che, dunque, non potrebbe essere ritenuto capace di ipoteca e che, invece, è disciplinato negli articoli successivi.
In dottrina è stato, poi, sollevato il problema dell'ipotecabilità del solo fondo con esclusione dei diritti edificatori, una prospettiva suscettibile di essere percorsa solo laddove si accolga l'interpretazione che vuole i diritti edificatori un nuovo bene e non un nuovo diritto.
La dottrina ritiene, infatti, che al pieno proprietario non sia consentito ipotecare la sola nuda proprietà o il solo usufrutto mentre è ben possibile escludere l'estensione dell'ipoteca dagli accessori del bene immobile tra i quali, se si ritiene che i diritti edificatori siano un nuovo bene, si possono far rientrare i diritti edificatori.
Passiamo ora ad affrontare l'esame dei principali problemi che la negoziazione dei diritti edificatori pone al Notaio:
1) quali sono i dati che deve contenere un contratto di cessione di diritti edificatori;
2) come si trascrive;
3) qual è il regime fiscale ad esso applicabile.
Alcune di queste considerazioni mutano, peraltro, a seconda della circostanza che si ritenga il diritto edificatorio un bene capace di diritti reali o esso stesso un diritto reale.
Per quanto attiene al primo aspetto, e cioè i dati che deve contenere un contratto di cessione di diritti edificatori, ritengo:
– che al contratto non debba partecipare il Comune;
– che nel contratto sia opportuno indicare la fonte del diritto edificatorio che costituisce oggetto di cessione nonchè disciplinare le conseguenze di eventuali variazioni della misura del diritto edificatorio generato da un terreno, variazioni derivanti dalle variazioni del piano che lo prevede, dovendosi ritenere che in difetto di disciplina eventuali incrementi dei diritti edificatori vadano a beneficio del titolare del terreno;
– che i diritti edificatori debbano essere identificati attraverso i dati catastali del terreno dal quale derivano;
– che il codice da utilizzare per la trascrizione sia il codice 100;
– che nel contratto debba essere indicata la misura del diritto edificatorio trasferito, gli ambiti entro i quali il diritto edificatorio può essere speso, gli eventuali termini entro i quali il diritto edificatorio può essere speso;
– che sia opportuno indicare gli estremi di iscrizione nel registro dei crediti edilizi, ove esistente;
– che sia necessario allegare il c.d.u. relativo alle particelle di terreno dal quale sono nati i diritti edificatori;
– che laddove i diritti edificatori che vengono negoziati originino da un fabbricato sia necessario il rispetto della normativa urbanistica e di quella di cui al D.L. 78/2010 (ora art. 29 bis legge 52/1985).
Se si ritiene che il diritto edificatorio sia un bene andrà indicato il diritto reale – proprietà – che viene ceduto sul diritto edificatorio.
In questo caso una possibile clausola di cessione del diritto edificatorio può essere la seguente: "Tizio, con ogni garanzia di legge e senza alcuna riserva, cede a Caio che, in buona fede, accetta ed acquista il diritto di piena proprietà sul diritto edificatorio – pari a complessivi mc. 1.000 – derivante dal seguente
appezzamento di terreno:".
Se si ritiene, invece, che il diritto edificatorio sia esso stesso un diritto reale è di tutta evidenza che non andrà indicato il diritto che viene ceduto.
In questa seconda ipotesi una possibile formulazione della clausola di cessione del diritto edificatorio può essere la seguente: "Tizio, con ogni garanzia di legge e senza alcuna riserva, cede a Caio che, in buona fede, accetta ed acquista il diritto edificatorio – pari a complessivi mc. 1000 – derivante dal seguente appezzamento di terreno:".
Sia che si ritenga che il diritto edificatorio sia un bene che può costituire oggetto di diritti sia che si ritenga il diritto edificatorio esso stesso un diritto reale è necessario affrontare, poi, il tema dei diritti diversi dalla proprietà di cui il diritto edificatorio sia capace.
Qui mi limito ad una osservazione relativamente al diritto di usufrutto, fattispecie che più di altre è suscettibile di verificarsi nella pratica: non mi sembra che vi siano particolari ostacoli all'affermazione che il diritto edificatorio possa costituire oggetto di usufrutto e che per questa strada si possa affermare la trascrivibilità dei contratti che trasferiscono il diritto di usufrutto sui diritti edificatori (se inteso come bene) o dei diritti edificatori (se
inteso come diritto) o dei contratti che trasferiscono la nuda proprietà sui diritti edificatori (se inteso come bene) o dei diritti edificatori (se inteso come diritto).
Tornando alla schema contrattuale prospettato, il contratto di cessione di diritti edificatori non presenta particolari problemi nel caso in cui la cessione avvenga dal titolare del fondo dal quale derivano i diritti edificatori ad un terzo; lo schema può ritenersi valevole, però, anche nel caso di c.d. cessione in volo, cioè di cessione che venga effettuata non dal titolare del fondo che ha
generato i diritti edificatori ma da parte di chi su quel fondo non vanti alcun diritto e si ritrovi, ciò nonostante, titolare di diritti edificatori.
Anche qui, dunque, il diritto edificatorio andrà identitificato con riferimento ai dati catastali del terreno dal quale il medesimo è originato.
Questa conclusione è stata fortemente criticata dalla dottrina.
Al riguardo osservo che il contrasto, nelle cessioni successive, tra la base personale dei registri immobiliari e l'indicazione dei dati catastali del terreno dal quale sono derivati i diritti edificatori è più apparente che reale se si accede alla tesi del diritto edificatorio in termini di diritto reale su cosa altrui.
Anche quando il titolare di un diritto di superficie già costituito cede il suo diritto nel contratto vengono indicati i dati catastali del terreno; anche quando viene ceduto il diritto di usufrutto già costituito vengono indicati i dati catastali dell'immobile sul quale è stato costituito il diritto di usufrutto.
Se il diritto edificatorio è un nuovo diritto reale su cosa altrui non si comprende le difficoltà ad ammettere che anche nelle cessioni successive si indichino i dati catastali del terreno dal quale sono originati i diritti edificatori.
E' ben vero che una simile indicazione non attribuisce al cessionario il diritto di spendere i diritti edificatori acquisiti sul terreno del quale sono indicati nell'atto i dati catastali mentre l'acquirente di un diritto di superficie o di un diritto di usufrutto "spendono" il loro diritto sul bene i cui dati catastali sono riportati nel contratto ma l'impossibilità per il cessionario di spendere i diritti edificatori sul bene indicato in contratto non costituisce a mio avviso un ostacolo, per le cessioni "in volo", all'indicazione dei dati catastali del bene dal quale sono originati i diritti edificatori, ostacolo altrimenti presente anche nel caso di "prima" cessione degli stessi, vista l'impossibilità per l'acquirente dei soli diritti di poterli spendere sul terreno dal quale sono originati.
Un'indicazione, quella dei dati catastali del terreno di origine, che reputo tra l'altro anche elemento di certezza e garanzia per l'acquirente in merito alla genesi e ai caratteri dei diritti edificatori medesimi.
Problema ulteriore, sia in sede di prima che di ulteriore cessione, è come sia possibile per il Notaio controllare che i diritti edificatori generati da quel fondo non siano stati già consumati.
Se, infatti, la trascrivibilità del contratto di cessione dei diritti edificatori riconduce il controllo sulla titolarità e libera disponibilità nell'alveo dei normali controlli che sulla legittimazione, disponibilità e titolarità esercita il Notaio, il consumo dei diritti edificatori effettuato dal titolare sul fondo dal quale i medesimi sono generati, come anche su altro fondo, non presuppone necessariamente la stipula di un atto notarile.
Non è da escludere che alcune leggi regionali e soprattutto alcune disposizioni di piano possano prevedere per l'ipotesi del consumo del diritto edificatorio la stipula di un atto d'obbligo e/o asservimento simili a quelli che vengono tradizionalmente stipulati in molte regioni italiane per consentire costruzioni in zone agricole a servizio del fondo.
Sicuramente un valido ausilio può essere rappresentato nelle regioni che lo prevedono e che lo hanno reso operativo dal registro dei crediti edilizi.
In alcune normative regionali che prevedono il registro è espressamente prevista l'annotazione dell'avvenuto consumo del credito a fronte del rilascio del permesso di costruire relativamente ai diritti edificatori menzionati nel certificato.
E' allora evidente che in questi casi il Notaio potrà sincerarsi del mancato consumo del diritti edificatori generati da un fondo con l'esibizione del certificato relativo ai crediti edilizi (certificato al quale va riconosciuta, a mio avviso, la natura di titolo di legittimazione) o di un estratto del registro dei crediti edilizi.
Si tratta, peraltro, come detto, di una soluzione suscettibile di valere solo per quelle Regioni in cui sia previsto e in cui sia stato reso operativo il registro dei crediti edilizi.
Una possibile soluzione in termini generali al quesito potrebbe, peraltro, essere quella di ritenere che l'avvenuto consumo del diritto edificatorio debba essere segnalato dal Comune nel certificato di destinazione urbanistica.
Sebbene la soluzione sia fiscalmente onerosa si potrebbe, inoltre, sostenere la necessità di un atto che sancisca il consumo del diritto edificatorio: il comma 5 quaterdecies dell'art. 6, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, nella Legge 26 aprile 2012, n. 44, ha introdotto nel codice l'art. 2645 – quater rubricato "trascrizione di atti costitutivi di vincolo" a mente del
quale: "Si devono trascrivere, se hanno per oggetto beni immobili, gli atti di diritto privato, i contratti e gli altri atti di diritto privato, anche unilaterali, nonché le convenzioni e i contratti con i quali vengono costituiti a favore dello Stato, della regione, degli altri enti pubblici territoriali ovvero di enti svolgenti un servizio di interesse pubblico, vincoli di uso pubblico o comunque ogni altro vincolo a qualsiasi fine richiesto dalle normative statali e regionali, dagli strumenti urbanistici comunali nonché dai conseguenti strumenti di pianificazione territoriale e dalle convenzioni urbanistiche a essi relative.".
Questa soluzione è stata proposta anche da altra dottrina che propone di subordinare il rilascio del permesso di costruire alla sottoscrizione di un atto di asservimento, da trascrivere a carico degli immobili di partenza e a carico degli immobili di arrivo laddove i diritti edificatori vengano spesi su un terreno diverso da quello di origine, in modo da garantire la pubblicità dell'intera
vicenda dal riconoscimento all'estinzione.
Sul piano del contenuto contrattuale mi sembra, inoltre, che vada effettuata almeno un'ultima osservazione: se si ritiene che il diritto edificatorio sia un bene autonomo, con l'espressa previsione della trascrivibilità dei contratti di trasferimento dei diritti edificatori e per le modalità con le quali essa è prevista – in maniera separata rispetti ai diritti su beni immobili – mi sembra evidente che dalla data di entrara in vigore del D.L. Sviluppo nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di un fondo dal quale derivano diritti
edificatori sia necessario precisare se in detta cessione siano compresi o meno i diritti edificatori generati dal terreno.
Se, infatti, i diritti edificatori sono un bene autonomo e distinto dalla proprietà del terreno è evidente che la sola cessione della proprietà del terreno senza che nulla sia detto in merito alla cessione dei diritti edificatori pone l'interprete di fonte al quesito se in detta cessione siano o meno compresi i diritti edificatori.
Alla conclusione positiva si può, comunque, addivenire sulla base delle normali previsioni contenute nei contratti di compravendita, laddove normalmente si prevede la cessione con tutte le pertinenze, accessioni, accessori, diritti inerenti, o anche sulla base della qualificazione dei diritti edificatori come frutti pendenti del fondo.
In realtà la conclusione sarebbe suscettibile di essere facilmente ribaltata sol che si pensi che il diritto edificatorio, considerato come bene e non come diritto e ceduto insieme al terreno, dovrebbe, comunque, costituire oggetto di una autonoma trascrizione e, dunque, dovrebbe essere espressamente menzionato nel contratto.
E' comunque evidente come la fuzione antiprocessuale del Notaio imponga al medesimo una modifica e/o integrazione delle modalità redazionali dei contratti aventi ad oggetto terreni dai quali scaturiscono diritti edificatori al fine di precisare in maniera netta ed inequivoca se in detta cessione siano o meno compresi i diritti edificatori.
Se si ritiene, invece, che i diritti edificatori siano un diritto reale una simile precisazione sarà solo opportuna e non anche necessaria in quanto è chiaro che se il titolare del terreno non scinde la titolarità del terreno dalla titolarità del diritto edificatorio quando cede il diritto di proprietà del terreno, senza nulla dire sulla sorte del diritto edificatorio, sta cedendo anche e sicuramente
il diritto edificatorio dovendo in un simile caso la riserva del diritto edificatorio a favore suo o di un terzo (che, peraltro, come sappiamo non è tecnicamente vera riserva) dover essere espressa e contestuale al contratto di trasferimento del terreno.
Mi sembra, inoltre, come si comprende anche dall'esempio poc'anzi effettuato, che sia possibile formulare una considerazione suscettibile di valere per entrambe le modalità di intendere il diritto edificatorio: e, cioè, che non vi siano ostacoli ad ammettere non solo una contestuale cessione del terreno ad un soggetto e dei diritti edificatori ad un altro soggetto ma anche la sola cessione del terreno con riserva in testa al cedente dei diritti edificatori che dal medesimo scaturiscono.
Quanto alle modalità di trascrizione, oltre alle osservazioni già effettuate, devo segnalare almeno due problemi: il primo è quello della misura del diritto edificatorio trasferito; allo stato non è possibile indicare questo dato nel quadro relativo all'immobile, dovendosi, dunque, utilizzare il quadro "D" della nota per una simile indicazione.
Se il diritto edificatorio è un diritto reale, per evitare di dover concludere che senza una modifica dell'elenco dei diritti trascrivibili il contratto non sia trascrivibile e, dunque, di fatto la novità legislativa non sia ancora operante, si può ritenere di utilizzare, se si accetta la ricostruzione del diritto edificatorio in
termini di diritto di fare una costruzione, il codice del diritto di superficie, avendo cura di indicare nel quadro "D" che viene ceduto il diritto edificatorio, oltre alla necessità di indicare, anche qui, la misura del diritto.
Altri autori, auspicando più in generale l'introduzione di una codificazione generica "altro diritto immobiliare", consigliano l'utilizzo del codice della servitù.
E' evidente, invece, che chi propugna la tesi del diritto edificatorio come bene deve risolvere, invece, il problema della necessità o meno di accatastamento affinchè si possa attualmente procedere alla negoziazione dei diritti edificatori, un problema ancora più stringente laddove si ritenga che alla fattispecie si applichi la normativa di cui al D.L. n. 78/10.
Qual è il regime fiscale applicabile al contratto.
L'ufficio studi del CNN in risposta ai quesiti n. 254/2007 e 661/2007C – in tema di "cessione crediti edilizi – tassazione" - ha affermato che la cessione in discorso, trattandosi di cessione di una posizione giuridica attiva economicamente rilevante, va assoggettata ad imposta di registro ai sensi dell'art. 9, tariffa parte I, del T.U. con applicazione, dunque, dell'aliquota del 3%.
La riconosciuta natura reale al diritto edificatorio impedisce di poter considerare ancora attuale una simile conclusione.
Il regime fiscale applicabile non può, dunque, non essere quello previsto per le cessioni di diritti reali e, segnatamente, quello previsto per la cessione di terreni non aventi destinazione agricola, con applicazione, dunque, dell'aliquota del 8% oltre all'imposta ipotecaria del 2%.
Quanto all'imposta catastale mi sento di dover sollevare un dubbio: se il diritto edificatorio è un bene si potrebbe sostenere che l'atto avente ad oggetto la cessione dei diritti edificatori non sia soggetto a voltura almeno fn quando non si affermi il necessario accatastamento degli stessi.
E se si accoglie la conclusione che il diritto edificatorio è un diritto reale?
Come sappiamo il diritto di superficie è oggetto di voltura; conclusione questa che orienta per la soggezione a voltura anche dell'atto di trasferimento del diritto edificatorio; la remora ad una simile conclusione è nella circostanza che il diritto edificatorio può non essere speso sul terreno dal quale è nato.
Esistono, peraltro, anche altri settori del diritto, si pensi a quello degli atti relativi allo stato civile di una persona, o a quello relativo alle imprese, in cui le risultanze dei RR.II. non sono autosufficienti dovendosi integrare con quelle di altri registri aventi, tra l'altro, affidabilità diversa.
Naturalmente, laddove la cessione sia effettuata da un soggetto passivo I.V.A., si applicherà l'imposta sul valore aggiunto nella misura del 21% e le imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa.
Quali sono le agevolazioni suscettibili di essere applicate ad un atto di cessione di diritti edificatori.
Dobbiamo qui prendere le mosse dalla distinzione tra diritti edificatori perequativi, compensativi e quelli incentivanti o premiali.
I primi nascono direttamente dall'approvazione del piano per cui il problema delle agevolazioni concerne esclusivamente la succesiva cessione dei medesimi, a meno di non voler ritenere, come fa parte della dottrina, che la convenzione attuativa del P.U.A. vada trascritta a carico del Comune ed a favore dei soggetti titolari dei diritti edificatori, affermando che, sebbene i diritti edificatori trovino la loro fonte diretta di riconoscimento negli strumenti urbanistici vigenti, solo la convenzione di attuazione del P.U.A. costituirebbe il titolo per il riconoscimento formale in capo ai singoli proprietari dei diritti edificarori perequativi, titolo da trascrivere presso i RR.II..
I diritti compensativi sono, invece, attribuiti in seguito alla cessione all’Amministrazione comunale del fondo; i diritti incentivanti o premiali sono attribuiti in seguito all’intervento di riqualificazione urbanistica e/o ambientale.
Al riguardo va in primo luogo ricordato che per i soggetti passivi I.V.A. la cessione nei confronti dei Comuni di aree o di opere di urbanizzazione a scomputo di contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione non è soggetta ad I.V.A. ai sensi dell'art. 51 della legge n. 342/2000.
Agli atti che determinano l'attribuzione dei diritti edificatori in discorso si ritiene (cfr. anche studio n. 114/2005/T utilizzo di volumetria "perequativa" e ipotesi di applicabilità delle agevolazioni ex legge n. 10/77) possa sicuramente applicarsi il regime tributario di cui all'art. 20, legge 28 gennaio 1977, n. 10, e all'art. 32 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, con conseguente applicazione dell'imposta di registro in misura fissa e esenzione dalla imposte di trascrizione e catastale, quest'ultima ove ritenuta ovviamente
applicabile alla nostra fattispecie.
Un regime, quello di cui all'art. 20, legge 28 gennaio 1977, n. 10, che si ritiene possa applicarsi anche agli atti di redistribuzione con assegnazione di diritti edificatori su terreni altrui all'interno di comparti edificatori (cfr. in tal senso Risoluzione Agenzia delle Entrate 3 gennaio 1983, n. 250666).
Era nota, peraltro, la posizione dell'Agenzia delle Entrate secondo cui l'agevolazione in discorso si applicava solo nella misura in cui la "redistribuzione immobiliare" avvenisse tra i proprietari di aree che si erano riuniti in consorzio (Risoluzione 17 dicembre 2004, n. 156/E; Risoluzione 16 dicembre 1986, n. 220210; Risoluzione 3 gennaio 1983, n. 250666).
Con la risoluzione n. 1/E del 4 gennaio 2012 l'Amministrazione finanziaria ha riconosciuto il regime fiscale di favore a prescindere dalla circostanza che i lottizzanti che procedono a ricomposizione fondiaria siano o meno riunti in consorzio ed a prescindere dal fatto che il piano urbanistico sia un piano ad iniziativa privata ovvero ad iniziativa pubblica.
Residua il problema della cessione dei diritti edificatori perequativi, compensativi e premiali una volta che siano stati attribuiti al titolare.
Sicuramente può risultare applicabile il diverso trattamento tributario (tecnicamente, infatti, non è sucettibile di essere qualificata agevolazione) previsto per i trasferimenti di immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati diretti all’attuazione di programmi di edilizia residenziale comunque denominati, con conseguente applicazione dell'imposta di registro con l'applicazione dell'aliquota del 1%, dell'imposta ipotecaria con l'aliquota del 3%, e dell'imposta catastale, ove dovuta, del 1%, salvo che si ritenga di accogliere l'opinione che ritiene doversi applicare l'imposta catastale in misura fissa.
Nessun dubbio sull'applicabilità della norma in commento laddove si ritenga di dover individuare nel diritto edificatorio un bene suscettibile di trasferimento; qualche dubbio derivante dalla circostanza che la norma parla di trasferimento nel caso si intenda il diritto edificatorio come diritto reale, dubbio suscettibile di essere superato sulla base dell'interpretazione che della norma, sia pure nella versione previgente, è già stata data (cfr. studio n.
24/2002/T, Cessione di cubatura e trattamento tributario dei trasferimenti di terreni edificabili).
Da non escludere neanche l'applicabilità dell'art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, a norma del quale “gli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della legge indicata nel comma precedente (L. 22 ottobre 1971, n. 865) e gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa e sono esenti dalle imposte ipotecaria e catastale”, poc'anzi citato, con riferimento alla cessione di diritti edificatori relativi ad aree destinate a insediamenti
produttivi.
Come sappiamo si è, infatti, sostenuto (CNN, Risposta a quesiti n. 1553 del 8 agosto 1984) che qualsiasi atto di trasferimento di area inserita in un piano di cui alla Legge n. 865/1971 gode dell'agevolazione di cui all'art. 32, comma 2, del D.P.R. n. 601/1973, prescindendosi completamente dalla qualità dei
soggetti che realizzano il trasferimento medesimo.
Si deve ritenere rispettato il requisito dell'inerenza all'area destinata a insediamenti produttivi sia quando il diritto edificatorio "decolla" da un'area destinata a insediamenti produttivi sia quando "atterra" su un'area avente una simile destinazione, solo potendosi dubitare se possa ritenersi soggetta al regime di favore anche la c.d. cessione "in volo".
Se, infine, il diritto edificatorio venga ceduto nei confronti dei soggetti che attuano il recupero nell'ambito dei piani di recupero di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purché convenzionati, di cui agli articoli 27 e seguenti della legge 5 agosto 1978, n. 457, è da ritenersi che alla cessione dei diritti edificatori possa applicarsi il regime di cui all'art. 5 della legge 22 aprile 1982, n. 168, con conseguente applicazione delle imposte di registro, catastali, ove dovute, e ipotecarie in misura fissa.
Per quanto attiene alle plusvalenze la circostanza che l'art. 9 del T.U.I.R. stabilisca l'equivalenza – a fini fiscali – delle cessioni a titolo oneroso e degli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento chiarisce che gli atti di cessione dei diritti edificatori rientrano a pieno titolo tra quelli capaci di generare plusvalenze, con la difficoltà, peraltro,
di individuare il prezzo di acquisto del diritto trasferito tutte le volte in cui il prezzo di acquisto si riferisca al terreno e non ai diritti edificatori.
Considerazione quest'ultima che squarcia il velo su un altro problema: quale sarà il parametro che l'Agenzia delle Entrate assumerà per determinare il valore dei diritti edificatori? E sarà unico su tutto il territorio comunale? Avrà riguardo al valore dell'area di partenza o alla possibile area di atterraggio?

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