Limiti alla circolazione delle azioni



L'art. 2355 bis cod.civ. dispone che " nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento ".
Le limitazioni cui fa cenno la norma più frequentemente apposte, corrispondono alle clausole di gradimento e a quelle di prelazione. Entrambe possono operare con riguardo ai trasferimenti per atto tra vivi, ma sono compatibili anche con i trasferimenti per causa di morte.
Le clausole di gradimento condizionano l'alienazione delle azioni al "gradimento" di un qualche organo sociale (assemblea o consiglio d'amministrazione), o anche dei soci o di alcuni tra essi.
Esse tuttavia sono rivolte non tanto a vietare l'alienazione, quanto a vietare l'acquisto della qualità di socio da parte del cessionario sgradito che senza il gradimento verrebbe a trovarsi nella condizione di poter esercitare i diritti patrimoniali (riscuotere il dividendo), ma non quelli corporativi (come il diritto di voto) nota1.
L'esperienza pratica dimostra come la clausola di gradimento sia stata sistematicamente usata nell'interesse, non della società, ma dei gruppi di controllo, allo scopo di evitare di essere scalzati dalla loro posizione ad opera di c.d. scalatori, ossia di chi abbia via via rastrellato azioni sul mercato mettendo assieme un pacchetto di riguardo. A questo scopo gli statuti spesso prevedono clausole dette " di mero gradimento ", ossia del tutto generiche, che permettono di rifiutare il gradimento senza dare alcuna motivazione, non consentendo così alcuna possibilità di impugnazione del rifiuto.
Con riferimento a queste, il II comma dell'art. 2355 bis cod.civ. ora dispone: " Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell'alienante ". Lo scopo della norma è quello di evitare che il socio intenzionato ad alienare la sua partecipazione resti, come suol dirsi, prigioniero della società. Le soluzioni offerte dalla norma per riconoscere efficacia a tali clausole sono evidentemente due nota2:
- la prima consiste nella previsione statutaria che in caso di diniego del gradimento le azioni siano acquistate dagli altri soci o dalla stessa società;
- la seconda consiste nella previsione statutaria che il socio intenzionato ad alienare, di fronte al diniego di gradimento, possa recedere dalla società.
In entrambi i casi, tuttavia, si pone un problema di determinazione del corrispettivo dell'acquisto (nel primo caso) o dell'entità della liquidazione delle azioni (nel secondo). La norma detta a questo proposito una soluzione unitaria: tanto il prezzo di acquisto quanto la quota di liquidazione sono determinati " secondo le modalità e nella misura previste dall'articolo 2437 ter cod.civ. ", dettato in tema di disciplina generale del diritto di recesso. Se il potenziale (ma sgradito) acquirente offriva di più, l'operazione si chiude dunque in perdita per il socio alienante nota3.
Diversa dalla clausola di gradimento è la clausola di prelazione, con cui si stabilisce che il socio, ove intenda alienare le proprie azioni, deve preventivamente offrirle agli altri soci, di regola a parità di condizioni, (anche se lo statuto può prevedere criteri diversi). Tali clausole, che spesso prevedono complicate procedure d'attuazione, talora dettano anche particolari criteri per stabilire il prezzo di acquisto da parte degli altri soci nel caso che esercitino la prelazione. Per lo più esse prevedono un arbitraggio; ciò allo scopo di evitare il ricorso ad offerte d'acquisto simulate a prezzi esagerati, per forzare la mano agli altri soci interessati ad evitare l'entrata in società di acquirenti estranei. In questi casi si ritiene che il socio intenzionato alla vendita, una volta presa cognizione del prezzo stabilito dagli arbitratori, possa recedere dal suo intento.
Queste clausole chiaramente attengono, non già all'interesse della società, ma all'interesse dei singoli soci; di conseguenza possono anche essere stipulate al di fuori del contratto sociale, e quindi tra alcuni soltanto dei soci. Il fatto che siano inserite nell'atto costitutivo fa sì che acquistino la c.d. efficacia reale, per cui dalla loro violazione non nasce soltanto un diritto, in capo agli altri soci, al risarcimento dei danni, ma altresì l'inopponibilità dell'atto di trasferimento e la possibilità di agire nei confronti del cessionario per ottenere il riscatto delle azioni illegittimamente acquistato nota4.
Una forma non tanto di limitazione alla circolazione quanto di vera e propria espropriazione è quella nascente dalla clausola di riscatto, la quale ricorre per lo più come un obbligo imposto agli eredi del socio defunto di offrire in opzione agli altri soci le azioni già appartenenti al de cuius. La validità di questa clausola è discussa, ma la sua ammissibilità è ora avvallata dalla possibilità, consentita dall'art. 2437 sexies cod.civ. , di emettere addirittura azioni riscattabili.

Note

nota1

In via di principio è ben configurabile un interesse della società a "filtrare" le persone dei nuovi soci (si pensi al disagio di ritrovarsi come socio un esponente di una grossa impresa concorrente, o al danno conseguente all'entrata in società di una grossa impresa concorrente). Lo statuto che prevedesse clausole di gradimento in rapporto a simili situazioni difficilmente darebbe luogo a discussioni. Cfr. CORSI, Le nuove società di capitali, Milano, 2003, pp.127 e ss.
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nota

nota2

Cfr. Corsi, op.cit..
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nota3

Queste regole si applicano, secondo quanto dispone il III comma dell'art. 2355 bis cod.civ., anche a tutte le clausole (e quindi non solo a quelle di gradimento) che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento delle azioni a causa di morte, "salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso". Cfr. Corsi, op.cit..
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nota4

Il fatto che l'interesse con esse tutelato non sia quello sociale, ma quello dei singoli soci, costituiva, per parte della dottrina, argomento per sostenere che, non solo l'introduzione, ma anche l'abrogazione di simili clausole richiedesse il consenso di tutti i soci. La questione è ormai legislativamente risolta, consentendo ai soci dissenzienti il diritto di recesso. Cfr. Corsi, op.cit..
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Bibliografia

  • CORSI, Le nuove società di capitali, Milano, 2003

Prassi collegate

  • Quesito n. 202-2011/I, In house providing e clausole sull’intrasferibilità delle partecipazioni

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