Le azioni postergate nelle perdite: ratio e caratteri



L'ampia autonomia statutaria consente, come si è visto, di determinare liberamente il contenuto dei diritti inerenti alle azioni di categoria speciale, cosa che fa sì che la relativa regolamentazione non possa considerarsi governata da un principio di tipicità. Ciò tuttavia non toglie che il legislatore, nel vecchio come nel nuovo sistema, abbia previsto e disciplinato alcune fattispecie "tipiche" di azioni di categoria speciale, in considerazione della loro maggiore ricorrenza nella pratica.
In particolare, l'art. 2348, II comma cod.civ. dispone che i diritti diversi che caratterizzano le azioni di categoria speciale possono anche concernere "la incidenza delle perdite".
Il legislatore della riforma nota1 ha inteso in tal modo risolvere una questione assai dibattuta sotto il vigore della precedente disciplina, a fronte di un fenomeno che aveva trovato una certa diffusione nel settore delle società a partecipazione pubblica nota2.
Si tratta peraltro, come precisato nella relazione ministeriale, di uno " strumento spesso utile ed a volte indispensabile per il finanziamento dell'impresa sociale, specialmente nell'ambito di processi di ristrutturazione e tentativi di superamento di situazioni di crisi " nota3.
Il fenomeno della postergazione nelle perdite ricorre allorché sia statutariamente disposto che le azioni appartenenti ad una determinata categoria subiscano le perdite solo dopo che esse abbiano colpito le altre azioni.
Affinché si determini tale conseguenza è pertanto necessario stabilire che, in caso di riduzione del capitale sociale per perdite, dette azioni ne subiscano gli effetti soltanto dopo che siano state integralmente annullate le azioni ordinarie e, in caso di liquidazione della società, esse siano rimborsate prima delle azioni ordinarie medesime nota4.
Peraltro, in caso di riduzione del capitale sociale per perdite, la postergazione va coordinata col principio sancito dall'art. 2346, II comma cod.civ. , in forza del quale " se determinato nello statuto, il valore nominale di ciascuna azione corrisponde ad una frazione del capitale sociale; tale determinazione deve riferirsi senza eccezioni a tutte le azioni emesse dalla società ", donde l'assoluta necessità che le azioni siano tutte di uguale valore nominale indipendentemente dalla categoria di appartenenza.
Ne deriva che, l'eventuale riduzione del capitale sociale per perdite, non potrà che avvenire mediante proporzionale annullamento delle azioni in circolazione, con preferenza nelle azioni ordinarie rispetto a quelle postergate, e non mediante riduzione del valore nominale delle stesse. Ciò in quanto se si procedesse alla riduzione del valore nominale, potendo questa incidere, per effetto della postergazione, solo sulle azioni ordinarie, si creerebbe per ciò solo una diversità di valore nominale tra le azioni ordinarie e quelle postergate, la quale per le ragioni dette non può considerarsi legittima.
Del resto, ove la società avesse emesso azioni prive di valore nominale, come è oggi possibile nel sistema riformato (art. 2346, III comma cod.civ. ), non sarebbe materialmente possibile altra soluzione se non quella dell'annullamento di alcune azioni, non potendosi operare su un valore nominale ab origine inesistente.

La postergazione può essere totale o parziale.
Nel primo caso, le perdite non incidono sulle azioni postergate se non quando esse abbiano interamente consunto la parte del capitale sociale rappresentata dalle altre azioni.
Nel secondo caso, invece, la perdita graverà sulla parte del capitale rappresentato dalle azioni di categoria diversa da quelle postergate solo fino ad un determinato ammontare, mentre oltre tale importo la perdita tornerà a gravare proporzionalmente su tutte le azioni.

L'istituto della postergazione non deve essere considerato come una eccezione al divieto del patto leonino.
Infatti, come è stato già chiarito nel vigore del precedente sistema nota5, la postergazione non implica affatto un'esclusione dei titolari delle azioni postergate da qualsiasi partecipazione alle perdite, ma comporta semplicemente che tali soggetti rimangano esposti alle perdite con un grado di rischio minore. È infatti ben possibile che le perdite assorbano la parte del capitale rappresentato dalle azioni diverse da quelle postergate e finiscano per ripercuotersi comunque su dette azioni.

A questo punto ci si chiede se la previsione della postergazione nella partecipazione alle perdite debba necessariamente accompagnarsi ad una limitazione del diritto di voto in assemblea, alla stregua di quanto era previsto per le azioni di risparmio prima della novella di cui al D.Lgs. 58/98 .
Secondo la dottrina, tale principio non trovava conferma nemmeno nel sistema previgente, ove, come si è visto, il principio del bilanciamento tra poteri amministrativi e diritti patrimoniali operava solo unidirezionalmente; era infatti effettivamente disposto che, a fronte della limitazione del diritto di voto, dovesse essere previsto un privilegio patrimoniale, ma era per altro verso ben possibile che al riconoscimento di un privilegio patrimoniale non corrispondesse alcuna limitazione dei diritti amministrativi.
A maggior ragione, pertanto, tale conclusione non potrebbe trovare riscontro nel nuovo sistema, ove è stata disattesa anche la vecchia regola della necessaria attribuzione di un privilegio patrimoniale in caso di limitazione del diritto di voto in assemblea.

Rimane irrisolto il problema della necessità, affermata da talune pronunce giurisprudenziali nota6, secondo le quali la legittimità della previsione statutaria di azioni postergate è subordinata alla circostanza che, in ipotesi di aumento di capitale conseguente ad una precedente riduzione del capitale per perdite gravanti sulle sole azioni ordinarie, il diritto di opzione sulle azioni di nuova emissione sia attribuito ai titolari delle azioni ordinarie con preferenza rispetto ai titolari di quelle postergate, sino al ripristino della situazione precedente.
Ciò in quanto l'eventuale erosione delle azioni ordinarie ad opera delle perdite fa sì che, in caso di successivo aumento di capitale, il diritto di opzione verrebbe ad essere attribuito ai soci in misura corrispondente alle nuove quote di partecipazione al capitale sociale determinatesi per effetto delle perdite pregresse.
Ne consegue che i portatori delle azioni diverse da quelle postergate non avrebbero modo di conservare la propria originaria partecipazione al capitale sociale, e, in ipotesi di perdite che assorbano l'intera loro partecipazione sociale; essi non potrebbero conservare nemmeno la qualità di soci, con palese violazione dei principi che regolano il diritto di opzione.
L'art. 2348 cod.civ. si occupa del problema unicamente per stabilire che la diversità di diritti connessa alla creazione di una categoria speciale di azioni può inerire anche alla partecipazione alle perdite, ma nulla dice circa la regolamentazione del diritto di opzione nel caso di specie.
Nondimeno la ratio sottesa all'attribuzione del diritto di opzione conduce a ritenere che la disposizione che attribuisce tale diritto ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute (art. 2441 cod.civ. ) si riferisce all'ipotesi normale, in cui le perdite incidono indistintamente su tutte le azioni nella medesima misura nota7.

Ciò di cui si è parlato non deve esser confuso con il principio di postergazione del rimborso dei finanziamenti effettuati dai soci alla società di cui all'art. 2467 cod.civ. (novellato, con effetto dal 15 agosto 2020, dal D.Lgs. 14/2019).
La regola implica che, con specifico riferimento ad una situazione di crisi di impresa, il rimborso delle passività debba necessariamente prevedere un ordine nel quale i finanziamenti effettuati dai soci sono necessariamente posposti, quanto alla restituzione, rispetto a quelli erogati da terzi (Tribunale di Milano, 14 marzo 2014).

Note

nota1

La Relazione Ministeriale § 4.2 precisa infatti al riguardo che "si è cosi riconosciuta in materia espressa, nel primo periodo del II comma dell'art. 2351 cod.civ. , la possibilità che una categoria di azioni si caratterizzi per la diversa incidenza nei loro confronti delle perdite. Risulta in tal modo definitivamente chiarita l'ammissibilità di azioni postergate nelle perdite".
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nota

nota2

Cfr. Bione, Azioni, gruppi, in Tratt. delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, vol.II, t.1, Torino, 1994, p. 60 rileva che il fenomeno era diffuso "per permettere a società finanziarie regionali l'assunzione di partecipazioni e interventi di ricapitalizzazione a favore di imprese private, limitando nel contempo il rischio di impresa per farlo gravare, in primis, sugli altri soci".
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nota3

Relazione Ministeriale, § 4.2.
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nota4

Cfr. Bione, op.cit., p. 59 e Campobasso, Diritto delle società, in Diritto Commerciale 2, Torino, 2002, p.212. Un esempio concreto di tale fattispecie era data dalla vecchia disciplina delle azioni di risparmio di cui all'art. 15, VI e VII comma della L. 216/74 ove si precisava che "allo scioglimento della società le azioni di risparmio hanno prelazione nel rimborso del capitale per l'intero valore nominale. La riduzione del capitale sociale per perdite non importa riduzione del valore nominale delle azioni di risparmio se non per la parte della perdita che eccede il valore nominale complessivo delle altre azioni". Peraltro è noto che la nuova disciplina delle azioni di risparmio di cui al D.Lgs. 58/98 apri non prevede più una rigida predeterminazione legale del privilegio patrimoniale, lasciando libera l'autonomia statutaria di stabilire il contenuto dello stesso (art. 145, II comma, del citato D.Lgs.), ma sembra presupporre la possibilità che vengano emesse azioni postergate, laddove adotta alcune misure (art. 145, V comma, D.Lgs. 58/98) al fine di fare in modo che, in seguito alla riduzione del capitale per perdite, venga ripristinato il rapporto legale tra l'ammontare delle azioni di risparmio e delle azioni a voto limitato rispetto al capitale sociale. Detto rapporto può infatti essere alterato da una riduzione per perdite solo a seguito della postergazione.
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nota5

Cfr. Bione, op.cit., p. 61.
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nota6

Tribunale di Trieste, 02/06/1994 , in Le Società, 1995, p.87.
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nota7

Ma evidentemente tale regola, per conseguire lo scopo che le è proprio, deve subire degli adattamenti in presenza di azioni postergate, nel senso che in tal caso il diritto di opzione andrà commisurato non già alla ripartizione del capitale sociale risultante a seguito della riduzione per perdite, bensì alla ripartizione del capitale anteriore a detta riduzione. Cfr. Magliulo, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Milanofiori-Assago, 2004, p. 89.
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Bibliografia

  • BIONE, Azioni, gruppi, Torino, Tratt. delle società per azioni diretto , da Colombo-Portale, 1994, vol. 2, t. 1
  • CAMPOBASSO, Diritto delle società, Torino, Diritto commerciale 2, 2002
  • MAGLIULO, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Milanofiori-Assago, 2004

Prassi collegate

  • Quesito n. 994-2014/I, Finanziamento soci e raccolta di risparmio tra il pubblico

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