Le azioni a voto limitato o escluso



L'art. 2351, I comma, cod.civ. dispone che "lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative".
A fronte di tali rilevanti innovazioni la riforma ha tuttavia mantenuto i tradizionali principi secondo cui non possono emettersi azioni a voto plurimo (art. 2351, III comma, cod.civ.) e il valore delle azioni a voto limitato o escluso non può complessivamente superare la metà del capitale sociale (art. 2351, I comma cod.civ.) nota1.
Ciò posto deve sottolinearsi che l'art. 2351, I comma, cod.civ., in realtà accomuna una serie di fattispecie diverse.

È innanzitutto prevista la possibilità di creare azioni senza diritto di voto. Si tratta di una novità assoluta perché nel sistema precedente tale possibilità era riservata al solo istituto delle azioni di risparmio, a fronte del riconoscimento di particolari privilegi patrimoniali nonché dei penetranti controlli e delle rigorose regole di corporate governance cui sono sottoposti i mercati regolamentati, nel cui ambito era confinata l'operatività di tale istituto.
Si è in tal modo preso atto di un tendenza, sempre più diffusa nei sistemi a capitalismo avanzato, alla esautorazione dei poteri amministrativi dei soci risparmiatori, e si è sostanzialmente rinunciato, almeno nelle società non quotate, ad una tutela legale di tali categorie di soci attraverso il riconoscimento obbligatorio di privilegi patrimoniali, lasciando ampio spazio all'autonomia privata.
Ciò comporta per altro verso un aggravamento ulteriore della posizione del socio privo di diritto di voto, considerato che nel sistema della riforma alla privazione di tale diritto consegue il venir meno anche di altri diritti amministrativi, quali il diritto di intervento in assemblea (art. 2370, I comma, 2370 cod.civ.) e il diritto di impugnare le delibere assembleari (art. 2377, II comma, cod.civ.).

Del pari innovativa è la disciplina delle azioni a voto limitato.
Nel vecchio sistema il contenuto della possibile limitazione statutaria al diritto di voto era rigorosamente predeterminato, potendosi soltanto escludere il diritto di voto nell'assemblea ordinaria.
Nel nuovo ordinamento societario, invece, è riconosciuta piena libertà all'autonomia delle parti, essendo rimessa allo statuto la concreta determinazione del contenuto delle limitazioni al diritto di voto.
In particolare, tali limitazioni possono essere di due tipi. In primo luogo può trattarsi di una limitazione per argomenti: in tal caso potranno essere previsti gli argomenti più disparati, non essendo indispensabile che detta limitazione sia determinata con riferimento alla mera tipologia (ordinaria o straordinaria) dell'assemblea e comunque non necessariamente con riferimento ad argomenti di competenza dell'assemblea straordinaria.
In secondo luogo, la limitazione può consistere nella subordinazione dell'attribuzione del diritto di voto al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative.
In tal caso, astrattamente il socio potrà votare su qualsiasi argomento, ma la spettanza in concreto del voto nella singola assemblea dipenderà dall'avveramento della condizione prevista nello statuto nota2.
Il concetto stesso di condizione implica che essa faccia riferimento ad un evento non solo incerto, ma anche futuro. Detta futurità può essere tale rispetto alla redazione dello statuto, ma ovviamente non può esserlo rispetto alla singola assemblea. In quel momento infatti la condizione o si è verificata o non si è verificata.
Deve peraltro trattarsi di condizione non meramente potestativa nota3. A tale riguardo la legge non precisa se la volontà arbitraria cui si riferisce la potestatività della condizione sia esclusivamente quella della società e dei suoi organi ovvero anche quella di altri soci.
Nondimeno sembra che su tale punto debba propendersi per una interpretazione ampia della norma poiché essa appare funzionale al principio generale dell'ordinamento che vieta la soggezione di una parte all'arbitrio della controparte.
La condizione, peraltro, deve essere ovviamente, oltre che possibile, anche lecita e perciò, ad esempio, non potrebbero considerarsi tali quelle relative alla mancata impugnazione di delibere assembleari ovvero al mancato esercizio di azioni giudiziarie non temerarie contro la società o i suoi organi, in quanto limitative del diritto, di rilevanza costituzionale, alla tutela giurisdizionale.
Probabilmente sono inoltre da considerarsi invalide, perché troppo generiche, clausole che prevedono l'esclusione dal diritto di voto per il socio che abbia tenuto una condotta riprovevole, che fomenti dissidi o faccia opera ostruzionistica in assemblea.
Quanto alla individuazione del possibile contenuto di siffatte condizioni, e senza alcuna pretesa di esaustività, si può ipotizzare che esse possano inerire:
- all'azione (ad es. la condizione dell'avvenuto versamento dei decimi residui pur in mancanza di morosità vera e propria, non avendo la società effettuato la diffida ad adempiere; la condizione che le azioni non siano state trasferite o vincolate; la condizione, già prospettata in dottrina nota4, che il socio non abbia potuto vendere l'azione per mancato gradimento della società);
- alla persona del socio portatore dell'azione (ad es. la condizione che il socio rivesta determinate qualità soggettive, quali l'appartenenza a determinati gruppi familiari; la condizione che il socio abbia finanziato la società; la condizione che si siano instaurati determinati rapporti contrattuali tra la società e il socio ovvero che questi non si trovi in concorrenza con la prima);
- alla società (ad es. la condizione che la società abbia superato o meno determinati standard quali il numero dei soci, determinati importi di fatturato o di patrimonio netto o di utili ovvero, come è stato ipotizzato nota5, che la società non abbia distribuito utili per alcuni esercizi);
- alle situazioni del mercato finanziario (ad es. la condizione che venga lanciata un'o.p.a. nota6).
La legge non precisa a chi competa l'accertamento dell'avveramento della condizione in oggetto, ma deve evidentemente ritenersi che tale incombenza spetti al presidente dell'assemblea in forza dell'art. 2371 cod.civ..
Tale norma infatti attribuisce espressamente al presidente il potere di escludere dall'assemblea i soggetti privi della legittimazione ad intervenirvi.
Naturalmente l'operato del presidente potrà essere oggetto di sindacato giudiziario in sede di impugnativa della delibera.

L'art. 2351 II comma, cod.civ. afferma che " lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o disporne scaglionamenti ".
E' di conseguenza possibile che il diritto di voto sia computato secondo le regole ordinarie (un voto per ogni azione) fino al raggiungimento di una determinata quota di possesso del capitale sociale e sia escluso per la quota eccedente. Oppure il voto potrà essere computato secondo le regole ordinarie fino al raggiungimento di una determinata quota di possesso del capitale sociale, sia attribuito in misura minore rispetto a quella ordinaria per una ulteriore quota di possesso e sia computato in misura ancora minore o sia addirittura escluso per ulteriori quote (cd. voto a scalare in senso proprio).
Tale disposizione risolve una questione dibattuta sotto la vecchia normativa, ma essa non ha in realtà nulla a che fare con le azioni di categoria, poiché la limitazione del diritto di voto non è in questo caso connessa alla singola azione, che pertanto non può dirsi munita di diritti diversi, ma afferisce alla posizione globale dell'azionista.
Anzi, al contrario, si è in presenza di una di quelle fattispecie in cui, in deroga al principio della spersonalizzazione della partecipazione sociale, caratteristico delle azioni, rileva la persona del socio più che la singola azione.
Pertanto, se il socio che non può esercitare il diritto di voto per effetto del supermento della soglia prevista dallo statuto aliena le azioni eccedenti è ben possibile che queste vengano a riacquistare il diritto di voto, laddove invece le azioni di categoria, istituzionalmente e non occasionalmente prive del diritto di voto, non possono riacquistarlo per effetto dell'alienazione del titolo.
Non v'è dubbio che, normalmente, si tratta di limiti connessi al possesso da parte di chiunque di determinate soglie azionarie.
Ma occorre chiedersi se lo statuto possa prevedere che il limite di possesso azionario, oltre il quale non sono riconosciuti diritti di voto, sia legato alla persona di un determinato socio o di un determinato gruppo di soci.
Della liceità di codesta clausola si è dubitato in relazione al rispetto del principio della parità di trattamento tra i soci.
Nondimeno si è visto che tale ultimo principio è derogabile con il consenso degli aventi diritto e pertanto esso si limita ad impedire che la maggioranza possa imporre alla minoranza dissenziente una modifica che operi esclusivamente a danno di quest'ultima.
Ne consegue che, ove una determinata disparità di trattamento sia accettata da tutti gli interessati, essa non può considerarsi illegittima.
È del pari dubbio, nel silenzio della legge, se l'istituto del voto a scalare possa addirittura legittimare l'attribuzione statutaria di un solo voto per ciascun socio, indipendentemente dal numero delle azioni possedute.
Nondimeno non sembra che tale pattuizione possa considerarsi vietata sulla base del rilievo che essa potrebbe pregiudicare la causa lucrativa delle s.p.a., in quanto tipicamente funzionale al perseguimento della causa mutualistica.
A tale proposito è stato infatti osservato che la metodologia di attribuzione del diritto di voto non può rappresentare l'unico elemento differenziale tra la causa mutualistica e causa lucrativa e che comunque, anche alla stregua della riforma, l'elemento causale nel fenomeno societario ha assunto un'importanza sempre più ridotta nota7.

Note

nota1

Nel senso che tali limiti sono ormai gli unici diretti a mantenere un minimo equilibrio tra apporto di capitale di rischio e potere di gestione, cfr. Abriani-Callosa-Ferri Jr.-Giannelli-Guerriera-Guizzi-Notaro-Paciello-Restio-Rosapepe-Stella Richter Jr.-Toffoletto, Diritto delle società di capitali-Manuale breve, Milano, 2003, p.66.
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nota2

Non può escludersi, peraltro, che l'autonomia statutaria possa elaborare clausole nelle quali coesistano limitazioni al diritto di voto per argomenti e limitazioni dipendenti da condizioni, non meramente potestative.
È inoltre ben possibile che l'avveramento della condizione possa verificarsi o non verificarsi con riferimento ad ogni singola assemblea, determinando di volta in volta, a seconda dei casi, l'attribuzione o la soppressione del diritto di voto (cfr. Magliulo, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Milanofiori-Assago, 2004, p. 94). Nello stesso senso v. Notari, Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari partecipativi nella riforma delle società, in relazione al Convegno "Riforma del diritto societario", organizzato dal Consiglio Nazionale del Notariato, Roma, 27/29 novembre 2003, p. 19, il quale sottolinea anche che, ove invece l'avveramento della condizione determini l'attribuzione del voto in via definitiva, si verificherebbe anche un'automatica conversione delle azioni relative in azioni ordinarie.
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nota3

Quanto alla nozione di condizione non meramente potestativa, che si contrappone in sede di teoria generale del negozio giuridico a quella di condizione potestativa semplice (non vietata dall'ordinamento), deve farsi riferimento alla tradizionale opinione secondo cui è meramente potestativa la condizione che di riferisca ad un comportamento che, per il soggetto in questione, è del tutto indifferente compiere.
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nota4

AA.VV., La riforma delle società, a cura di Sandulli-Santoro, Torino, 2003, p. 149.
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nota5

Campobasso, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, Aggiornamento della V edizione del Diritto commerciale, 2. Diritto delle società, Torino, 2004, p. 53.
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nota6

Notari, op.cit., p. 19.
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nota7

A ciò può aggiungersi che se si vietasse il voto capitario nelle s.p.a. bisognerebbe a quel punto chiedersi se siano lecite clausole, strutturate sulla base dell'art. 2351 comma 2 c.c., che, pur non giungendo all'attribuzione di un solo voto per ciascun socio, riducano comunque fortissimamente la rilevanza del possesso di capitale sin quasi ad annullarla. Cfr. AA.VV., op.cit., p. 151.
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Bibliografia

  • AAVV, Diritto delle società di capitali: manale breve, Milano, 2003
  • AAVV, La riforma delle società: commentario del D.LGS. 17 gennaio 2003, n.6, Torino, a cura di Sandulli-Santoro, 2003
  • MAGLIULO, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Milanofiori-Assago, 2004
  • NOTARI, Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari partecipativi nella riforma delle società, Roma, Relazione al convegno "Riforma del dir. soc." , organizzato dal CNN 27/29 novembre 2003, 2003

Prassi collegate

  • Quesito n. 36-2015/I, Categorie di azioni e nomina di componente del CDA

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