La vocazione ereditaria, l'istituzione d'erede



Con la locuzione "vocazione" si intende significare la designazione, operata dal testatore o dalla legge, di un soggetto quale beneficiario di un'attribuzione mortis causa . Questa concezione, ampiamente diffusa tra gli interpreti nota1, ha finito per dare vita alla contrapposizione tra il termine "vocato" ed il termine "delato" (o "chiamato"). Semplicemente vocati, ma non titolari di una delazione attuale, sarebbero tutti quei soggetti che, istituiti sotto condizione sospensiva, soggetti nascituri (per il tramite dei propri rappresentanti), chiamati in subordine, non potrebbero sicuramente al tempo dell'apertura della successione porre efficacemente in essere un atto di accettazione, ciò che invece è possibile per il delato.

La riferita impostazione, che possiede l'indubbio pregio di sottolineare come il concetto di vocazione sia connesso all'aspetto soggettivo dell'individuazione del beneficiario del lascito mortis causa, mentre quello di delazione corrisponda all'aspetto oggettivo della concreta offerta dei benefici dell'istituzione d'erede o del legato nota2 , deve tuttavia essere assoggettata ad una verifica sotto il profilo dei dati normativi. Da questo punto di vista è il caso di rilevare come non sia dato di rinvenire nel codice civile alcuna disposizione che faccia menzione di "vocazione" e di "vocato", mentre più articoli si riferiscono alla nozione di "istituzione" e di "istituito". Si pensi all'art.641 cod. civ. (che si occupa dell'amministrazione dei beni ereditari lasciati all'erede sotto condizione sospensiva), all'art.480 cod. civ. (che analogamente si riferisce all'istituzione condizionale), all'art.688 cod. civ. (in tema di sostituzione ordinaria), all'art.692 cod. civ. (in materia di sostituzione fedecommissaria), etc..

Se le osservazioni svolte sono congruenti, ferma restando la possibilità di fruire di una terminologia più libera, dunque di appellare come "vocato" colui che non sia (ancora) chiamato, dunque titolare di una delazione attuale, si potrebbe molto più semplicemente parlare di "istituito" come del soggetto che sia semplicemente designato come erede, senza tuttavia poter ancora esprimere con un atto di accettazione la propria volontà di acquisire tale qualità. Va soltanto fatta avvertenza come il concetto di "istituito" sia tendenzialmente più ristretto rispetto a quello di "vocato", non potendo comprendere il beneficiario del legato. D'altronde, le questioni che si pongono in merito alla spettanza dei poteri e della protezione, competenti a colui che sia semplicemente vocato, hanno a che fare con un soggetto designato come successore a titolo universale, non certo a titolo di legato.

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Note

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Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte. Parte generale, Napoli, 1977, p. 97; Trimarchi, L'eredità giacente, Milano, 1954, p. 18; Piras, Successione per causa di morte. Milano, 1965, p. 68; Trabucchi-Rasi Caldogno, voce Successioni (dir.civ.): successione legittima, in N.mo Dig. it., p. 765; Rescigno, Manuale di diritto privato italiano, Napoli, 1990, p. 566.
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L'osservazione non è priva di rilievo pratico: se la delazione è l'effetto, sotto il profilo oggettivo, della vocazione, può dirsi che entrambe siano qualificate dagli stessi presupposti, che l'operatività della prima sia l'esito dell'efficacia della seconda, che della prima si diano gli stessi aspetti definitori e sostanziali propri dell'altra. Così per entrambe rileva l'apertura della successione, l'esistenza della capacità di succedere e l'assenza d'indegnità. In relazione all'una ed all'altra è possibile parlare di congiuntività, di solidarietà, di successività. Secondo un'impostazione (Barbero, Il sistema del diritto privato, Torino, 1993, p. 1142), si darebbero quattro specie di vocazione: vocazione legale, vocazione testamentaria, vocazione diretta e vocazione indiretta (entro il cui ambito collocare la rappresentazione). Nella vocazione indiretta il chiamato sarebbe tale in quanto figlio o discendente di un altro soggetto che sarebbe stato beneficiario di una vocazione, qualora un fatto ostativo, consistente nella premorienza, nella rinuncia o nell'indegnità, non ne avesse determinato l'inoperatività. Per colui che è vocato indirettamente la posizione viene determinata in relazione al rapporto fra il de cuius ed il proprio ascendente, del quale, invece, si viene alla successione. Non sarebbe l'unico caso di vocazione indiretta. Nella successione ab intestato, infatti, il I comma dell'art. 571 cod. civ. individuerebbe un'ipotesi di successione dell'ascendente al discendente: la quota del primo si determinerebbe in relazione a quella spettante al secondo. In definitiva la vocazione indiretta comprenderebbe ogni eventualità in cui un successibile (discendente od ascendente) viene chiamato nel luogo e nel grado di un altro, quando costui non possa o non voglia venire alla successione, "cosicché la determinazione della posizione del successore viene fatta, indirettamente, per il tramite della posizione che avrebbe assunto il primo chiamato, se fosse venuto alla successione" (Barbero, op.cit. , p. 1145).
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Bibliografia

  • CARIOTA - FERRARA, Le successioni per causa di morte. Parte generale , Napoli, 1955
  • PIRAS, Successione per causa di morte, Milano, 1965
  • RESCIGNO, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1990
  • TRABUCCHI - RASI CALDOGNO, Successioni: successione legittima, Torino, N.sso Dig. it., XVIII, 1971
  • TRIMARCHI, L'eredità giacente, Milano, 1954

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