La revoca degli amministratori (società per azioni)



Ai sensi del III comma dell'art. 2383 cod.civ. l'assemblea può, in qualunque tempo, revocare gli amministratori, anche se nominati nell'atto costitutivo, salvo il loro diritto al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa. La norma è stata reputata applicabile anche all'ipotesi di revoca della delega attribuita nell'ambito del Consiglio di amministrazione, per il quale la legge non detta specifiche disposizioni (Cass. Civ., Sez. I, 7587/2016). Il vero nodo è costituito dalla convocazione dell'assemblea, che come è noto tocca all'organo amministrativo. Quest'ultimo ben potrebbe, conoscendo di essere sotto attacco dai soci, ricusare di convocare l'organo assembleare. In tema di srl è stato deciso nel senso che i soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale possano provvedere alla convocazione (Cass. Civ., Sez. I, 10821/2016).

Come appare evidente, la giusta causa non rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie della legittima revoca, bensì esclusivamente una causa di esclusione della responsabilità risarcitoria a carico della società. Si badi all'apprezzamento sostanziale che in giurisprudenza è stato fatto in relazione alla pratica applicazione di clausole statutarie, la cui obliqua attivazione è atta a produrre un'efficacia analoga a quella della revoca dell'amministratore. Così è stata equiparata alla revoca in difetto di una giusta causa la decadenza dell'intero consiglio di amministrazione prodottasi per effetto delle dimissioni anche di uno soltanto dei componenti in presenza della clausola simul stabunt, simul cadent (Appello di Milano, 6 marzo 2007 ).

Problemi peculiari presenta la revoca di soggetti nominati dallo Stato od enti pubblici, sebbene l'art. 2383 cod.civ. non faccia, a differenza di quanto si può dire per la nomina, riferimento al disposto degli artt. 2449 (così come sostituito dall'art. 13, L. 25 febbraio 2008, n. 34) e 2450 cod.civ. (norma che prevedeva la possibilità per soggetti pubblici di occuparsi dell'attività di gestione e di controllo di società delle quali non sono soci, abrogata per effetto della Legge di conversione 6 aprile 2007, n.46 del D.L. 10/07 ). In tale ipotesi è stato sancito tuttavia che la revoca è consentita soltanto quando risulti accertato che, da parte del soggetto nominato dal precedente governo, l'attività di direzione non sia esercitata con il connotato dell'imparzialità e nel pieno rispetto delle regole del buon andamento, mirando la legge ad impedire che i dirigenti agiscano nella logica dell'interferenza politica nell'esercizio della loro attività esecutiva ed avendo essa il fine di salvaguardare il principio costituzionale di continuità dell'azione amministrativa.

Per quanto riguarda la giusta causa di revoca, essa riguarda circostanze, anche oggettive, non integranti necessariamente un inadempimento, idonee tuttavia a pregiudicare l'affidamento dei soci nelle attitudini e nella capacità degli amministratori e quindi, il rapporto fiduciario con i medesimi. Essa non può considerarsi integrata dal mero dissenso rispetto a qualche decisione o alla politica societaria, né dal disaccordo con gli altri amministratori.

Intervenuta in materia, la S.C. ha stabilito che la giusta causa di revoca, può derivare anche da fatti non integranti inadempimento, richiedendo tuttavia pur sempre un quid pluris rispetto al mero dissenso (alla radice di ogni recesso ad nutum ). Essa esige situazioni sopravvenute (provocate o meno dall'amministratore stesso) che minino il pactum fiduciae, elidendo l'affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e le capacità dell'organo di gestione (cfr. Cfr. Cass.Civ. Sez.I, 11801/98). Così l'adesione ad un patto parasociale consistente in un sindacato di gestione è stato ritenuta condotta contrastante con gli obblighi facenti capo ai membri del consiglio di amministrazione (Cass. Civ., Sez. I, 8221/12).

Prassi collegate

  • Quesito n. 82-2015/I, Clausola simul stabunt simul cadent nella s.r.l. e prorogatio dell’organo amministrativo

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