La prova liberatoria del caso fortuito (responsabilità per danno cagionato da animali)




La responsabilità di cui all'art. 2052 cod. civ. rinviene un limite solo nel caso fortuito, definito dalla giurisprudenza come quel fattore, esterno nella causazione del danno, che presenta i caratteri dell'imprevedibilità, dell'inevitabilità e della assoluta eccezionalità (Cass. Civ. Sez. III, 12161/00 ).

Quanto all'onere probatorio, il danneggiato - attore deve provare la sussistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo. Grava invece sul convenuto provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere il predetto nesso causale. Al riguardo, non è sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell'animale o della mansuetudine di questo (ex plurimus, Cass. Civ. Sez. III, 75/83 ).

Secondo la giurisprudenza, nella nozione di fortuito rientrano anche il fatto del terzo, la colpa del danneggiato e, in genere, ogni circostanza estranea al proprietario o all'utente, che si ponga come causa autonoma dell'evento dannoso (Cass. Civ., 3674/75 ).

In particolare, quanto alla colpa del danneggiato, la Suprema Corte precisa che, per avere effetti liberatori, essa deve consistere in un comportamento cosciente che assorba l'intero rapporto causale e cioè in una condotta che, esponendo il danneggiato al rischio e rendendo questo per ciò stesso possibile, s'inserisca in detto rapporto con forza determinante (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 1400/83 ).

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