L'enfiteusi: natura giuridica



L'enfiteusi consiste nel diritto di trarre ogni godimento di un fondo (comprese le sue accessioni) con l'obbligo di effettuarvi miglioramenti e di pagare quale corrispettivo un canone periodico in denaro o in prodotti naturali (artt. 959 , 960 cod.civ.).

Si verifica, in forza della costituzione dell'enfiteusi, la massima compressione possibile del diritto di proprietà, salva l'espansione di esso nel caso di estinzione del diritto dell'enfiteuta, configurabile come diritto sulla cosa altrui.

Dati salienti di questo diritto reale, che può essere costituito sia in relazione al miglioramento dei fondi rurali sia per quelli urbani, è l'ampio contenuto delle facoltà di godimento (che si pongono come aventi connotazioni più vaste rispetto a quelle riconducibili all'usufrutto, non essendovi in particolare il limite della salvezza della rerum substantia ), sostanzialmente analoghe a quelle riconosciute allo stesso proprietario (fino a comprendere anche l'acquisto del tesoro e il potere di disporre della destinazione economica del fondo), nonchè l'obbligo, da parte dell'enfiteuta, di tenere una determinata condotta positiva ulteriore rispetto a quella di pagare il canone: quella cioè di migliorare il bene. Si tratta di una specifica obbligazione di facere, avente contenuti determinati solo quanto al fine e non quanto alle concrete modalità esecutive, in relazione alle quali l'enfiteuta gode di una sostanziale libertà.

Si è detto sopra che, a differenza dell'usufruttuario, l'enfiteuta può anche mutare la destinazione del fondo: risulta tuttavia valido il patto intercorso tra le parti diretto a vietare le innovazioni.

Il potere di godimento spettante all'enfiteuta si appella dominio utile.

Il proprietario o concedente è invece titolare del c.d. dominio diretto il quale, concretamente, si riduce al diritto al canone nota1.

E' per questo motivo che vi è chi, in dottrinanota2, con riferimento alla natura dell'enfiteusi, ha concluso che l'enfiteuta si dovrebbe di fatto ritenere proprietario del fondo, riducendosi il diritto del concedente ad un mero diritto al canone. Sposando tale teorica si riscontrerebbero tuttavia serie difficoltà a qualificare il diritto del concedente ancora come un diritto di natura reale. In particolare, il solo fatto che esso si configurasse e si esaurisse come mera pretesa nell'ambito di un rapporto giuridico (precisamente quelle intercorrente tra concedente ed enfiteuta) varrebbe a porne in crisi la pretesa realità, piuttosto riconducendolo nell'ambito del rapporto obbligatorio (al più nell'ambito delle obbligazioni propter rem ).

Se si considera che il diritto dell'enfiteuta è invece soggetto, come tutti i diritti reali parziari, all'estinzione per non uso ventennale (art. 970 cod. civ.) mentre, al contrario, il diritto di proprietà non si estingue per prescrizione , si conclude tuttavia nel senso che il titolare del c.d. dominio utile non può essere considerato titolare di un diritto avente consistenza analoga a quella del diritto facente capo al proprietario nota3.

L'enfiteusi conobbe nel Medio Evo una diffusione ed un'utilità notevoli, favorendo la coltivazione di terre altrimenti abbandonate. Attualmente l'istituto è caduto in assoluta desuetudine, soprattutto perchè la facoltà di affrancazione possiede una forza tale da porre il concedente nella posizione di essere soggetto alla privazione radicale del diritto di proprietà sol che lo voglia l'enfiteuta; la figura conosce tuttavia una limitata applicazione in alcune zone nel Meridione dell'Italia, disciplinando situazioni già in essere da tempo.

L'enfiteusi venne mantenuta nel codice del 1942 essendo stato accolto il parere di chi riteneva l'istituto ancora idoneo a produrre una qualche utilità nota4.

Rispetto alla disciplina codicistica sono subentrati numerosi interventi normativi.

La legge 22 luglio 1966, n. 607 introdusse rimarchevoli mutamenti delle regole previste dal codice per quanto concerne le enfiteusi rustiche. Tali innovazioni non si sono sottratte all'intervento della Corte Costituzionale, che le ha ritenuti in parte illegittime (cfr. Corte Cost. 37/69 nonchè, da ultimo, Corte Cost.143/97 ) .

Con la legge 18 dicembre 1970, n. 1138 venne nuovamente modificata la disciplina dell'istituto in relazione alle enfiteusi rustiche ed anche a quelle urbane e c.d. "edificatorie" .

Pure questo nuovo intervento non si è sottratto in parte alle censure del Giudice delle Leggi (sentenze 145/73 e 53/74 ). Successivamente intervenne la Legge 14 giugno 1974 , n. 270 , la quale ha, tra l'altro, fissato i limiti massimi della misura del canone enfiteutico.

L'enfiteusi può essere perpetua (ciò che vale a differenziarla rispetto ai diritti di usufrutto, uso e abitazione che hanno durata intrinsecamente temporanea) o a tempo (comunque mai una durata inferiore a 20 anni: cfr. art. 958 cod.civ.).

L'art. 962 cod.civ. prevedeva una facoltà di revisione periodica del canone (ogni 10 anni). Tuttavia l'art. 18 della Legge 22 luglio 1966, n.607 ha abrogato la norma nota5.

Note

nota1

Mentre l'enfiteusi trae fondamento in epoca romana dalle locazioni degli agri vectigales ( vectigal era il canone corrisposto dal conduttore), la contrapposizione fra dominio utile e diretto è opera dei Glossatori, che per primi introdussero tale terminologia. Riguardo alle fonti romane si veda p.es. Paolo, libro XXI ad Edictum, in D. 6.3.1:" agri...vectigales vocantur qui in perpetuum locantur ". Sull'evoluzione di questo diritto si confrontino Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, Roma, 1980, p.426; Vaccari, Enfiteusi (storia), in Enc. dir., p.916.
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nota2

Riguardo alla tesi minoritaria che ritiene l'enfiteuta sostanzialmente vero e proprio proprietario, si confrontino Iannelli, La nuova enfiteusi, Napoli, 1975, p.54; Arangio-Ruiz, Ius in re aliena, in Diz. dir. priv., Milano, 1934, p.125.
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nota3

Prevalente è dunque la corrente dottrinaria che vede nell'enfiteusi la costituzione di un diritto reale che, pur essendo caratterizzato da una notevole ampiezza di contenuto nonchè da un suo esercizio libero ed incontrollato da parte del concessionario, pur tuttavia non può assolutamente essere assimilato alla piena proprietà, stante gli obblighi che sono connaturati alla posizione di enfiteuta. Si vedano, tra gli altri, Orlando Cascio, Enfiteusi (diritto privato), in Enc. dir., p.924; Cariota-Ferrara, L'enfiteusi, Torino, 1950, p.160; Palermo, L'enfiteusi, in Tratt.dir.priv., diretto da Rescigno, Torino, 1982, p.62; Torrente-Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, 1985, p.351.
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nota4

Alcuni Autori sottolineano come lo scopo del legislatore, dopo un iniziale tentativo di rilancio dell'istituto, sembra ormai essere quello di consentire all'enfiteuta l'acquisto della proprietà del fondo. Cfr. Alessi, Enfiteusi (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, p.1; Vitucci, Enfiteusi, in Dig. disc. priv., VII, 1991, p.463.
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nota5

La Corte Costituzionale ha ritenuto legittima l'abrogazione da parte della Legge 607/66 , dell'art. 962 cod.civ. , sancendo tuttavia, nella prima tra le pronunzie citate, la necessità che fossero periodicamente aggiornati i valori di riferimento per valutare l'affrancazione dei contratti d'enfiteusi costituiti dopo l'entrata in vigore del nuovo codice civile ed anteriormente alla Legge 607/66 . Con la seconda pronunzia si è invece deciso che lo stesso trattamento deve essere riservato anche ai contratti antecedenti l'entrata in vigore del nuovo codice.
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Bibliografia

  • ALESSI, voce Enfiteusi (diritto civile), Enc. giur. Treccani
  • ARANGIO RUIZ, Ius in re aliena, Milano, Diz. pratico dir. priv, 1934
  • CARIOTA FERRARA, L’enfiteusi, Torino, 1950
  • IANNELLI, La nuova enfiteusi, Napoli, 1975
  • ORLANDO CASCIO, Enfiteusi (diritto privato), Enc. dir., XIV
  • PALERMO, L'enfiteusi, Torino, Tratt.dir.priv.diretto da Rescigno, 1982
  • VACCARI, Enfiteusi, Enc. dir., XIV
  • VITUCCI, Enfiteusi, Dig.disc.priv., VII, 1991
  • VOLTERRA, Istituzioni di diritto privato romano, Roma, 1980

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