Interessi moratori automatici nelle transazioni commerciali



Ai fini di conferire attuazione alla direttiva della Comunità europea 2000 n. 35, il D. Lgs. 231 del 2002 (successivamente novellato per effetto dell'emanazione del D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192 in ottemperanza alla Direttiva 2011/7/UE) ha introdotto una nuova disciplina degli interessi moratori relativi ai pagamenti da effettuare nell'ambito delle "transazioni commerciali" tra soggetti imprenditori o tra imprese e pubbliche amministrazioni che viene a porre fuori gioco le corrispondenti norme del codice civile (art. 1219 cod. civ.). Da notare come di fatto si venga a consolidare (sol che si pensi alla normativa in materia di clausole abusive) la creazione di un "doppio binario": da un lato rapporti tra consumatore ed impresa, dall'altro rapporti tra imprese nota1. Ciò in qualche modo evoca la dicotomia codice civile/codice commerciale di ottocentesca memoria. Da questo punto di vista la normativa viene a modificare anche l'art. 3 della legge 192/98 in tema di subfornitura, stabilendo nei rapporti tra impresa e subfornitore una disciplina analoga.

Giova preliminarmente osservare come l'art. 3 del D.Lgs. 231/02, nel disporre che il diritto del creditore in ordine alla corresponsione degli interessi moratori ed accessori sia comunque subordinato all'imputabilità dell'inadempimento del debitore, si pone come meramente reiterativo del modo di disporre dell'art. 1218 cod. civ. .

L'intervento del legislatore si articola in una pluralità di aspetti. L'art. 2 del D.Lgs. 231/02 si occupa degli aspetti definitori, precisando la nozione di "transazione commerciale" corrispondente ad ogni contratto, comunque denominato, che comporti in via esclusiva o prevalente la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo. La fattispecie sembra in qualche modo comprendere negoziazioni tipiche come la vendita, l'appalto, la somministrazione, la subfornitura nota2.

Altre disposizioni focalizzano il tema degli interessi moratori: ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. 231/02, essi decorrono automaticamente, senza pertanto che vi sia bisogno di alcuna costituzione in mora (art. 1219 cod. civ.), dal giorno successivo alla scadenza del termine stabilito per il pagamento. In assenza di un elemento temporale predeterminato, la norma seguita prescrivendo una serie di termini di trenta giorni variamente decorrenti, a far tempo dai quali gli interessi sono comunque dovuti indipendentemente da una formale costituzione in mora.

Per i prodotti alimentari il III comma dell'art. 4 del D.Lgs. 231/02 prevedeva una disciplina parzialmente differente. La relativa disposizione è stata abrogata per effetto dell'art. 62, comma 11, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, come modificato dalla Legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27.

Attualmente il III comma prescrive invece un'ulteriore articolazione della disciplina del termine di pagamento destinata ad operare:
a) tra imprese
b) tra impresa fornitrice e pubblica amministrazione.

Nelle transazioni commerciali tra imprese le parti possono pattuire un termine per il pagamento superiore rispetto a quello previsto dal comma II.
Termini superiori a sessanta giorni, purché non siano gravemente iniqui per il creditore ai sensi dell'articolo 7del D.Lgs. 231/02, devono essere pattuiti espressamente. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto.
Quando può essere definito "gravemente iniquo" il termine superiore a 60 giorni per provvedere al pagamento tra imprese? L'art. 7 predetto contiene un doppio riferimento alla grave iniquità della clausola relativa al pagamento. Il primo non ammette valutazioni, sostanziandosi in una presunzione juris et de jure di iniquità, il secondo invece introduce una presunzione juris tantum, dunque vincibile Ai sensi del III comma dell'art. 7del D.Lgs. 231/02 infatti "si considera gravemente iniqua la clausola che esclude l'applicazione di interessi di mora. Non è ammessa prova contraria; mentre il IV comma testualmente riferisce che "si presume che sia gravemente iniqua la clausola che esclude il risarcimento per i costi di recupero di cui all'articolo 6 del D.Lgs. 231/02.".

Questi limiti però non valgono quando il debitore sia la pubblica amministrazione. In tal caso, a sensi del IV comma dell'art. 4 del D.Lgs. 231/02, "le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore a quello previsto dal comma 2, quando ciò sia giustificato dalla natura o dall'oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. In ogni caso i termini di cui al comma 2 non possono essere superiori a sessanta giorni. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto." Non basta: ai sensi del V comma della disposizione in esame "I termini di cui al comma 2 sono raddoppiati:
a) per le imprese pubbliche che sono tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza di cui al decreto legislativo 11 novembre 2003, n. 333;
b) per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tale fine.

L'art. 5 del D. Lgs. 231/02 quantifica il saggio degli interessi moratori automatici. Nel testo originario la disposizione era particolarmente severa: al tasso di riferimento fissato dalla BCE venivano a tal proposito aggiunti sette punti percentuali nota3. Il testo attuale invece prescrive che "gli interessi moratori sono determinati nella misura degli interessi legali di mora. Nelle transazioni commerciali tra imprese è consentito alle parti di concordare un tasso di interesse diverso, nei limiti previsti dall'articolo 7 del D.Lgs. 231/02." D'altronde la misura deggli interessi legali di mora, a propria volta, è determinata dall'art. 2 lettera e) che fa menzione di "interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso che è pari a quello di riferimento (per operazioni di rifinanziamento BCE, ndr.) maggiorato di otto punti percentuali". I limiti degli accordi tra le parti in materia di determinazione degli interessi di mora è quello, specialmente tormentato in quanto rimesso ad una serie di valutazioni elastiche, della grave iniquità (cfr. art. 7 del D.Lgs. 231/02 cit.)

L'art. 6 del D.Lgs. 231/02 prevede inoltre la spettanza al creditore di un importo forfettario risarcitorio di euro 40, fatta salva la prova del maggior danno nota4 relativo ai costi di recupero del credito (la cui nozione pare corrispondente a quella di cui al II comma dell'art. 1224 cod. civ.).

L'art. 7 del D. Lgs. 231/02 si segnala per la previsione di una causa di nullità parziale dell'accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze relative al ritardato pagamento: di tale aspetto ci si occuperà specificamente.

Infine ai sensi dell'art. 8 del D. Lgs. 231/02 è contemplata per le associazioni di categoria degli imprenditori la legittimazione attiva in ordine ad azioni aventi ad oggetto l'accertamento giudiziale della grave iniquità di cui all'art. 7 del D. Lgs. 231/02 delle condizioni generali concernenti la data del pagamento o le conseguenze del relativo ritardo e di inibirne l'uso.

Note

nota1

La direttiva esclude infatti la sua applicabilità ai contratti conclusi con i consumatori: cfr. Zaccaria, La direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Studium iuris, 2001, fascicolo n. 3, p. 262.
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nota2

Sono invece esclusi quei pagamenti aventi ad oggetto somme di denaro relativi a crediti secondari, derivanti cioè da un obbligo di risarcimento del danno od in esecuzione di pene contrattuali o a titolo di restituzione, per i quali non avrebbe senso concedere al debitore che si sia reso colpevole di inadempimento un ulteriore periodo di trenta giorni (Zaccaria, cit., p. 262).
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nota3

E' però sempre fatto salvo il diverso accordo tra le parti (art. 5 del D.Lgs. 231/02), sia pure nei limiti di cui al susseguente novellato art. 7.
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nota4

Analogamente Zaccaria, cit., p. 268. E' tuttavia fatto salvo, in ogni caso, stabilire termini superiori, purché essi risultino da atto scritto, non risultino iniqui e siano soggetti al controllo delle associazioni di categoria.
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