Immedesimazione organica: nessi di imputazione dell' illecito



Nell'ipotesi di commissione di illecito da parte di un soggetto impersonante un organo, occorre distinguere tra illecito contrattuale ed extracontrattuale.
Per l'illecito di natura contrattuale non vi sono particolari problemi: l'ente risponde in modo diretto (se si trattasse di semplici soggetti dipendenti, la regola in tema di illecito contrattuale dovrebbe essere individuata nell'art. 1228 cod. civ. , in tema di illecito extracontrattuale occorre invece fare ricorso all'art. 2049 cod. civ. ).
Si noti che per gli Enti pubblici è di fondamentale importanza il disposto di cui all'art. 28 Cost. , norma che prevede una duplice responsabilità diretta e solidale tra ente e soggetto impersonante l'organo nota1.
Evocato questo contesto normativo, si impone una considerazione: sia l'art. 2049 cod. civ. , sia l'art. 28 Cost. postulano una dualità soggettiva tra soggetto danneggiante ed ente al quale viene imputata l'attività del primo, che mal si concilia con il nesso di imputazione organica, connotato propriamente da una diretta riconducibilità della condotta al soggetto rispetto al quale l'agente può considerarsi organo.
E' ben vero che esistono leggi speciali limitatrici della responsabilità civile dettate in settori di estrema importanza (Cass. Civ. Sez. III, 2463/95 ) ; d'altronde il principio dell'immedesimazione organica è tale da importare l'irrilevanza non solo di eventuali vizi di legittimità dell'atto posto in essere, ma addirittura dell'eventuale carenza di potere (Cass. Civ. Sez. Unite, 5428/79 ).
Al fine di meglio comprendere il fenomeno, occorre puntualizzare concetti, ai quali la giurisprudenza fa spesso riferimento al fine di riconnettere le conseguenze dell'illecito alla persona giuridica:
  1. nesso di occasionalità necessaria (art. 2049 cod. civ. ). Esso viene ravvisato in una particolare relazione tra l'evento dannoso, il soggetto agente e le mansioni alle quali egli è addetto, nel senso che esse devono aver facilitato, reso possibile la condotta dannosa (Cass. Civ. Sez. III, 75/83 , Cass. Civ. Sez. III, 12417/98 , Cass. Civ. Sez. III, 6341/98 Cass.Civ.Sez. Lav. 4951/02 );
  2. finalità egoistica (che assume rilievo non solo per la P.A. ma anche in tema di enti privati). La riconosciuta esistenza del fine egoistico, inteso come ispirazione della condotta dell'agente ad un fine del tutto estraneo rispetto alle finalità proprie delle mansioni assegnate al soggetto all'interno dell'ente, varrebbe ad escludere la riferibilità della condotta dannosa a quest'ultimo (Cass. Civ. Sez. Unite, 1963/95 ; Cass. Civ. Sez. I, 9935/93 ; Cass. Civ. Sez. Lavoro, 10814/91 ; Cass. Civ. Sez. III, 3719/81 ) nota2. Più di recente ha assunto evidenza un ulteriore orientamento volto a maggiormente tutelare il soggetto danneggiato. Si è così deciso nel senso che il perseguimento di uno scopo egoistico e comunque l'aver fatto uso di poteri che non rientravano nelle mansioni attribuite al dipendente non fa venir meno la responsabilità del datore di lavoro quando il danneggiato non fosse in grado di discernere questi elementi (Cass. Pen. 694/01 ). Per quanto concerne le entità soggettive prive di personalità giuridica (probabilmente non articolate in organi), si sono affermati principi sostanzialmente analoghi a quelli appena delineati, imperniati:
  • sulla riferibilità del fatto all'ambito dell'attività sociale;
  • sulla connessione del fatto ai fini sociali. La responsabilità in tema di illecito extracontrattuale può essere di vario genere.
Per la responsabilità di ordine penale vale il principio, sancito espressamente dall'art. 27 Cost. , in base al quale la responsabilità penale è personale. Anche quando la pena sia pecuniaria, il condannato si identifica nella persona fisica che ha compiuto il reato. La persona giuridica per cui la prima ha agito (come organo o come semplice dipendente) (ad eccezione dello Stato delle Province, dei Comuni, e delle Regioni), poteva dirsi soltanto obbligata, in via civile, a pagare la somma dovuta in caso d'insolvenza del condannato nota3.
Una vera e propria rivoluzione è stata introdotta per effetto dell'emanazione del D. Lgs. 231/01 , che prevede una responsabilità amministrativa degli enti in conseguenza dell'attività penalmente illecita dei soggetti che li impersonano. L'intervento del legislatore riguarda potenzialmente ogni ente (dotato o meno di personalità giuridica, avente o meno finalità lucrativa), con l'espressa esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli altri enti pubblici non economici (art. 1 D. Lgs. 231/01). L'art. 5 del testo normativo pone a fondamento della responsabilità nota4 due requisiti. Il primo, avente natura oggettiva, consiste nel fatto che il reato debba esser stato commesso nell'interesse dell'ente o a vantaggio del medesimo (sul significato di tale locuzione, cfr. Tribunale di Trani, 11 gennaio 2010). Il secondo requisito è di carattere soggettivo: il reato deve essere posto in essere da persone (fisiche) che rivestono "funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione o il controllo" oppure da "persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza" di uno dei soggetti già citati. Gli illeciti tributari tuttavia non costituiscono reato-presupposto, onde è stato deciso che non sia applicabile la sanzione della confisca alla Banca il cui CEO abbia posto in essere un reato tributario a vantaggio dell'ente (Cass. Pen., Sez. III, 1256/12).
L'art. 6 del D. Lgs. cit., consente comunque all'ente di sottrarsi ad ogni sanzione qualora fornisca una precisa prova liberatoria. Essa consiste nel dar conto che l'organo dirigente aveva adottato ed efficacemente attuato "modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi", che il compito di vigilare sull'osservanza di detti modelli fosse stato attribuito ad un organo dell'ente dotato di poteri autonomi, che colui che ha commesso l'illecito penale abbia fraudolentemente eluso i detti modelli di organizzazione ed, infine, che non vi sia stata "omessa o insufficiente vigilanza" da parte dell'organo deputato ai controlli nota5.
Per quanto attiene all'illecito civile ed alla correlativa responsabilità l'imputabilità diretta all'ente discende dalla premessa che gli atti degli "organi" della persona giuridica sono atti direttamente di questa. Se tali atti sono considerati illeciti e produttivi di danni ai terzi, l'ente ne risponde direttamente in forza dell'art. 2043 cod. civ. .
Si potrà invece fare riferimento all'art. 2049 cod. civ. per gli atti dei procuratori, compresi gli "institori" (rappresentanti veri e propri, istituiti dagli organi mediante procura) e di tutti coloro (commessi, ecc.) che agiscono per mandato o per preposizione della persona giuridica nota6. Analogo principio può essere ribadito anche in relazione all'illecito commesso dall'organo amministrativo di una società pur eccedente la loro competenza, richedendosi soltanto che l'atto si manifesti come esplicazione dell'attività della società (Cass. Civ., Sez.I, 25946/11).
Per quanto riguarda la responsabilità patrimoniale afferente alla commissione di illecito penale (cfr. art. 185 cod. pen. ) non v'è parimenti ostacolo a configurare un eguale esito (Cass. Civ. Sez. III, 12023/95). Giova osservare come i compensi degli amministratori, organi e non già meri dipendenti della società, siano integralmente pignorabili e non già nei limiti del quinto (Cass. Civ., Sez. Unite, 1545/2017).

Note

nota1

Cfr. Satta, Responsabilità della pubblica Amministrazione, in Enc. dir., p. 1369; Casetta, L'illecito degli enti pubblici, in Enc. giur. Treccani; Alpa, La responsabilità civile della pubblica amministrazione, in La responsabilità civile, a cura di Alpa-Bessone, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da Bigiavi, vol. III, Torino, p. 495.
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nota2

Si veda Bianca, Diritto civile, vol. I, Milano, 1990, p. 277.
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nota3

Cfr. Barbero, Il sistema del diritto privato, Torino, 1993, p. 107.
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nota4

In relazione alla quale vige pur sempre il principio di legalità che si compendia nella riserva di legge, nella tassatività della norma incriminatrice e nell'irretroattività del precetto sanzionatorio (cfr. art 2 D. Lgs. cit.).
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nota5

L'art.5 del D. Lgs. 231/01 prosegue indicando gli elementi che debbono necessariamente esser previsti nel modello organizzativo (le attività "a rischio" di commissione di reato, i protocolli di formazione della volontà dell'ente in relazione a detti possibili illeciti penali, etc.). All'ultimo comma della citata disposizione viene infine prevista la confisca del profitto che l'ente abbia tratto dal reato. L'art.8 del D. Lgs. in esame prescrive la responsabilità dell'ente anche nell'ipotesi in cui l'autore del reato non risulti essere identificabile, non sia imputabile o il reato venga dichiarato estinto per causa diversa dall'amnistia. Il sistema sanzionatorio di cui alla novella è composito. L'art. 9 prevede al I comma sanzioni di carattere amministrativo (sanzione pecuniaria, sanzione interdittiva, confisca, pubblicazione della sentenza), al II comma specificando le sanzioni interdittive nell'interdizione all'esercizio dell'attività, nella sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni, nel divieto di contrattare con la p.a., nell'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi, sussidi, nel divieto di fare pubblicità ai beni o servizi prodotti o commercializzati. Il capo II del testo normativo disciplina la responsabilità patrimoniale dell'ente (art.27 ) nonché l'influenza sulla responsabilità delle vicende modificative dell'ente (trasformazione: art.28 , fusione: art.29 , scissione: art. 30 e 31 ). Il procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative è minuziosamente disciplinato dagli artt. 34 e ss. (art.34 : disposizioni processuali applicabili; art.35 estensione della disciplina relativa all'imputato; art.36 attribuzioni del giudice penale; art. 37 casi di improcedibilità; art.38 riunione e separazione dei procedimenti; art.39 rappresentanza dell'ente; art.40 difensore d'ufficio; art. 41 contumacia dell'ente; art. 42 vicende modificative dell'ente nel corso del processo; art. 43 notificazioni all'ente). Notevole rilevanza giocano anche le disposizioni afferenti alle prove (art. 44 ) nonché alle misure cautelari (artt. 45 , 46 , 47 , 48 , 49 , 50 , 51 , 52 , 53 , 54 ). Quanto alla fase preliminare cfr. gli artt. 55 , 56 , 57 , 58 , 59 , 60 , 61 . Sono stati altresì contemplati procedimenti speciali (art. 62 : giudizio abbreviato, art.63 applicazione della sanzione su richiesta; art.64 : procedimento per decreto). Il giudizio e l'eventuale fase del gravame vengono regolamentati dagli artt. 65 , 66 , 67 , 68 , 69 , 70 , 71 , 72 . L'esecuzione infine è trattata negli artt. 74 , 75 , 76 , 77 , 78 , 79 , 80 , 81, 82 ).
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nota6

Bianca, Diritto civile, vol. V, Milano, 1994, p. 633, giustamente sottolinea la distinzione esistente fra atti compiuti da un organo nell'esercizio della sua funzione e quelli compiuti da un dipendente nell'esercizio delle proprie incombenze, in quanto i primi vengono imputati alla persona giuridica in forza del rapporto organico, i secondi in virtù del principio di preposizione. Analogamente si può dire con riferimento al fatto illecito commesso dal dipendente di una Pubblica Amministrazione. L'imputazione diretta all'ente della responsabilità già affermata in giurisprudenzasi giustificava per una ragione teorica ed un'altra pratica. La ragione teorica consisteva nell'impossibilità di attribuire alla P.A. una culpa in eligendo o in vigilando nella scelta dei dipendenti, normalmente effettuata col sistema del concorso. La motivazione pratica consisteva, invece, nella possibilità di escludere la responsabilità della P.A. per il fatto illecito doloso del dipendente, in un momento in cui, in giurisprudenza, prevaleva la tesi secondo cui il dolo dell'organo interrompesse il rapporto organico. Entrambe le motivazioni sono, oggi, cadute. Dal punto di vista dogmatico si esclude che la culpa in eligendo o in vigilando costituisca il fondamento della responsabilità ex art. 2049 cod. civ. . Dal punto di vista pratico, si afferma oggi che all'ente, anche pubblico, sono riferibili anche i fatti dolosi dei propri organi, purché posti in essere nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio al quale il dipendente è addetto. Non vi è, quindi, più ragione per qualificare il dipendente pubblico alla stregua di un "organo" della P.A. Sarebbe, pertanto, più corretto limitare l'imputazione diretta della responsabilità ai soli fatti dolosi o colposi commessi dagli organi della persona giuridica, ed affermare, invece, la responsabilità di quest'ultima ai sensi dell'art. 2049 cod. civ. alle ipotesi di fatto illecito commesso dal dipendente.
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Bibliografia

  • ALPA, La respons.civ.p.a., Torino, Giur.sist.civ. e comm., III
  • CASETTA, L'illecito degli enti pubblici, Enc.giur.Traccano
  • SATTA, Responsabilità della p.a., Enc.giur.

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