Illiceità della causa



Profilo di valutazione dell'elemento causale, ulteriore rispetto a quello della esistenza nota1 e della meritevolezza di tutela, è quello attinente ad un possibile apprezzamento negativo della causa da parte dell'ordinamento sotto l'aspetto della non conformità alla legge, vale a dire all'illiceità. Nel negozio in cui la causa è illecita essa esiste, è giuridicamente rilevante, ma è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico, ovvero al buon costume (art. 1343 cod.civ.). L'illiceità della causa produce la nullità del contratto (art. 1418 cod.civ.).

Il negozio contrario a norme imperative o all'ordine pubblico viene anche appellato come illegale, quello contrario al buon costume, che contrasta con i principi morali comunemente accolti, si chiama immorale nota2.

Analizziamo alcuni casi di negozio illegale. Quale esempio di contrarietà all'ordine pubblico si pensi all'accordo di vendita di voto, alle pattuizioni tra i coniugi in vista di una futura separazione personale (Cass. Civ., 11788/90 ; Cass. Civ., 3940/84 ; Cass. Civ., 7044/88). Neppure il rinvio pattizio alle norme di un diverso Paese può valere ad escludere una valutazione in chiave di nullità: cfr. Tribunale di Milano, 16 aprile 2015 in materia di attribuzioni patrimoniali una tantum in vista del divorzio. Si veda anche Cass. pen., Sez.VI 20801/2017 in relazione all'accordo modificativo relativo alle modalità di visita dei figli da parte del coniuge non affidatario.

Si è ravvisata contrarietà a norme imperative nella causa in concreto dedotta nella vendita con patto di riscatto o di retrovendita dissimulante un accordo che importi violazione al divieto del patto commissorio (art. 2744 cod.civ.) (Cass. Civ. Sez. Unite, 1611/89 ; Cass. Civ., 7882/94 ), all'atto posto in essere in spregio al divieto dei patti successori (art. 458 cod.civ.). L'antigiuridicità in parola non è stata, al contrario, ravvisata, nell'ipotesi della vendita di unità immobiliare priva dei requisiti di abitabilità (Cass. Civ. Sez. II, 24957/07).

Si pensi altresì all' emissione di assegni in bianco con funzione di garanzia (Cass. Civ. Sez. II, 4368/95 ), all'atto di disposizione del proprio corpo che cagioni, al di fuori delle ipotesi consentite eccezionalmente, una diminuzione permanente dell'integrità fisica (art. 5 cod.civ.).

Per quanto concerne l'illiceità per contrarietà al buon costume, può utilmente farsi riferimento ai contratti agevolati del gioco di azzardo, della prostituzione (attività che tuttavia non soltanto non può essere di per sè considerata illecita, ma che concorre a formare il PIL nazionale e che, quando abituale, va assoggettata anche a tassazione: cfr. CTP Savona, Sez. I, sent. n. 389/2016).

Nell'ambito del concetto di negozio immorale possono ritenersi ricompresi non soltanto i negozi contrari alle regole della decenza e del pudore sessuale, ma anche gli atti negoziali che contrastino con la morale etica e sociale, in quanto ad essi uniforma il suo comportamento la generalità delle persone oneste, corrette, di buona fede e di sani principi, in un determinato ambiente e in una determinata epoca.

L'immoralità può riguardare una sola parte dell'atto oppure coinvolgere entrambe le parti.

Nell'ipotesi in cui, allo scopo di liberare una persona sequestrata, Tizio provvede a pagare ai rapitori la somma richiesta, non pone in essere una azione immorale. L'immoralità è solo dalla parte dell' accipiens (i rapitori).

In tal caso spetta a chi ha pagato, il diritto di chiedere la restituzione di quanto oggetto di dazione ai rapitori.

La rilevanza della distinzione si può riassumere dalle cose che seguono. Quando sia stata effettuata una prestazione (è stata consegnata una somma di danaro) in esecuzione di un negozio avente causa illecita, essendo il negozio nullo e non producendo alcun effetto, chi l'ha eseguita avrebbe diritto ad ottenere la restituzione di ciò che ha dato secondo il principio di cui all'art. 2033 cod.civ., in tema di ripetizione dell'indebito. La ripetizione non è tuttavia sempre ammessa, come accade quando il pagamento deve considerarsi immorale anche in relazione a chi effettua la prestazione (cfr art. 2035 cod.civ.). Detta irripetibilità vale soltanto per il negozio immorale e non per quello illegale nota3.

Svolte queste osservazioni sui casi pratici, è possibile osservare che spesso l'illiceità della causa dipende o è connessa all'illiceità dell'oggetto: dunque la nullità del contratto potrebbe dipendere anche da quest'ultima nota4.

L'illiceità della causa possiede indubbiamente in ogni caso un rilievo autonomo: si pensi all'accordo di non compiere delitti verso un corrispettivo. Qui le prestazioni non sono di per sé illecite, è illecito il sinallagma e dunque l'aspetto causale.

La conferma della bontà della tesi che risolve la meritevolezza dell'interesse tutelato nella giuridicizzazione del vincolo, è confermata da quanto già riferito. Nell'ipotesi in cui la causa risulti illecita si dice infatti che la causa esiste, ma non può sicuramente sostenersi che l'interesse è meritevole di tutela: è tanto poco meritevole di tutela che la causa è per l'appunto illecita.

Se tuttavia concepiamo la meritevolezza come giuridicizzazione dell'intento dei contraenti, allora il cennato problema non sussiste.

Anche dopo aver svolto queste premesse, sorge un'ulteriore questione. Nella relazione al codice infatti si trova esposta l'idea per cui nei negozi tipici la causa non potrebbe mai essere considerata illecita. Qualora si acceda ad una nozione sostanziale di causa, non appiattita sul tipo legale, quale quella prospettata di causa astratta+concreta (che definiremo causa "sintetica"), appare evidente che anche un negozio tipico possa avere causa illecita.

Si noti, tra l'altro, che l'articolo 2126 primo comma cod.civ. a proposito del contratto di lavoro (dunque tipico) espressamente parla di illiceitá della causa (Cass. Civ. Sez. Unite, 6730/83).

Ad esempio è stata statuita la nullità di un contratto per illiceitá della causa in un'ipotesi in cui addirittura il negozio era stato stipulato sulla base di una preventiva autorizzazione del giudice. Nella specie trattavasi di autorizzazione all'alienazione di beni ereditari rilasciata all'amministratore dell'eredità, sulla scorta del fraudolento occultamento dell'effettiva consistenza dei beni. L'atto di vendita è stato ritenuto viziato da nullità per illiceitá della causa, essendo stato accertato il perseguimento in concreto di finalità contrarie ai principi giuridici tipici dell'ordinamento (Cass. Civ. Sez. II, 808/83).

Per evocare un'altra ipotesi si pensi al contratto diretto ad eludere la responsabilità limitata dell'unico azionista (la cessione ad un soggetto di una singola azione): esso è stato reputato viziato da illiceità della causa e/o frode alla legge (Cass. Civ. Sez. I, 3266/86).

La giurisprudenza che viene a configurare come nulla, per contrarietà al divieto del patto commissorio, la vendita con patto di riscatto nella quale l'evento inadempimento del debitore-venditore funziona da elemento che determina la perdita definitiva della possibilità da parte di quest'ultimo di ritornare nella disponibilità del proprio bene, non fa altro se non valutare la causa in concreto utilizzata dalle parti indipendentemente dalla causa astrattamente riconducibile al tipo negoziale. In relazione al riflesso processuale che la condotta della parte che abbia agito commettendo un illecito penale, imputando il risultato pratico della propria condotta (l'acquisto di un immobile a fronte di un finanziamento con tassi usurari) ad un'entità societaria, cfr. Cass. Civ. Sez. II, 886/2020.

Giova rilevare che la violazione delle norme imperative atta ad assumere la rilevanza di vera e propria causa di nullità del contratto deve pur sempre riguardare elementi attinenti alla struttura o al contenuto del contratto. Non potrebbe pertanto produrre la grave conseguenza della nullità la violazione delle regole (quali gli obblighi di informazione, di comportarsi secondo correttezza e buona fede) poste a presidio del corretto svolgimento delle fasi di formazione del vincolo contrattuale (Cass. Civ. Sez. I, 19024/05 ; cfr. anche Cass. Civ. Sez. Unite, 26724/07 ).

La valutazione dell'intento comune dei contraenti in relazione allo schema negoziale utilizzato ed il giudizio di contrarietà del primo rispetto a norme imperative di legge viene infine a porre altrettante ipotesi di nullità virtuale, categoria di alterazioni patologiche dell'atto che ha conosciuto nella prassi giurisprudenziale un notevole sviluppo.

Note

nota1

Breccia, Il contratto in generale, in Tratt.dir.priv., vol.XIII, tomo III, Torino, 1999, p.126 "è innegabile che la valutazione di illiceità verta su di un elemento già esistente (la causa)".
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nota2

Analogamente Torrente-Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, 1985, p.221. Peraltro questa distinzione non è unanimemente accolta, dal momento che parte della dottrina qualifica l'illegalità come categoria generale più ampia e distinta dalla illiceità: in particolare l'illegalità si configurerebbe quando il contratto è contrario a norme imperative, ma non con riguardo al profilo della causa, secondo il disposto dell'art.1418, I comma, cod.civ., mentre l'illiceità della causa farebbe riferimento all'art.1418, II comma cod.civ. (De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. critica dir. priv., 1985, pp.35 e ss. e Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt.dir. civ. e comm., diretto da Cicu-Messineo, Milano, III, 1988, p.231). Ancora si ritiene (Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1996, p.924) che l'illiceità potrebbe sussistere solo quando la norma imperativa violata sia diretta o indiretta espressione dei principi primari a tutela della collettività, ravvisando negli altri casi mera illegalità. In realtà "sembra eccessivo attribuire al legislatore una sottigliezza dogmatica nel fissare i confini fra illegalità ed illiceità" (Breccia, op.cit., p.120), dal momento che "l'illiceità null'altro può essere se non l'antigiuridicità (ossia l'illegalità) e viceversa" (Sacco, Il contratto, in Tratt.dir.priv., diretto da Rescigno, Vol.X, Torino, 1995, p.465 e ss., p.71).
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nota3

Conformi Torrente-Schlesinger, op.cit., p.221 e Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, p.188.
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nota4

Cfr., in tema di permuta di cosa persente contro cosa futura (nella specie appartamenti da edificarsi su area sottoposta a tutela ambientale) Cass. Civ., Sez. II, 21398/13; in dottrina si veda Galgano, op.cit., p.234 e Breccia, op.cit., p.135.
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Bibliografia

  • BRECCIA, Il contratto in generale, Torino, Trattato di diritto privato, XIII, 1999
  • DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, Riv. critica dir.priv., 1985
  • GALGANO, Il negozio giuridico, Milano, Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo , e continuato da Mengoni, 1988
  • GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006
  • SACCO, Il contratto, Torino, Tratt.dir.priv. dir. da Rescigno, X, 1993
  • SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002
  • TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale di diritto privato , Milano, 2007

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