Il risarcimento del danno conseguente alla sussistenza di cause di invalidità del procedimento di fusione



Ai sensi dell'art. 2504 quater cod.civ., allorchè il procedimento di fusione diviene produttivo di effetti i soci ed i terzi aventi causa non potranno più far valere eventuali cause di invalidità del procedimento, potendo esclusivamente agire per l'eventuale risarcimento del danno.

A tal fine il danno nei confronti dei soci si può sostanziarsi essenzialmente nell'iniquità o nell'erroneità del rapporto di cambio deliberato in sede di fusione, mentre per i terzi (solitamente creditori) nel venir meno della garanzia rappresentata dal patrimonio della società fondente a causa, ad esempio, di situazioni patrimoniali non veritiere. Per gli obbligazionisti, infine, il danno potrà sostanziarsi nella mancata concessione della possibilità di esercitare il diritto di conversione ovvero nella mancata attribuzione di diritti equivalenti a quelli loro spettanti prima della fusione.

In presenza di tali eventualità, i soggetti lesi potranno agire per il risarcimento del danno loro cagionato dall'operazione di fusione.

Il codice civile non indica i soggetti passivi nei cui confronti è possibile esperire l'azione di risarcimento del danno. Tale indicazione la si trae tutttavia dalla Relazione al D.Lgs. n. 22/1991, in cui si afferma espressamente che per soggetti passivi della domanda di risarcimento si intendono sia gli amministratori delle società partecipanti all'operazione di fusione, sia la società incorporante o risultante dalla fusione.

Secondo alcuna dottrina nota1, l'articolo in commento produrrebbe un'ipotesi speciale di risarcibilità del danno derivante dalla perdita del valore economico della partecipazione del socio per effetto dell'operazione di fusione.

In particolare, il risarcimento del danno conseguente alla perdita di valore economico della partecipazione, causato dall'attività di gestione, potrebbe essere richiesto attraverso l'esperimento di un'azione proposta contro gli amministratori solo in caso di colpa di questi ultimi (per non essersi opposti a operazioni invalide), mentre, nel caso in cui fosse proposta nei confronti della società, si potrebbe prescindere da ogni requisito soggettivo. Ciò perchè, valendo il rimedio risarcitorio a sostanzialmente sostituire quello relativo all'azione volta a far dichiarare la nullità, non sarebbe spiegabile una riduzione delle ipotesi in cui la reazione è ammessa dall'ordinamento.

Secondo altra dottrina nota2, l'azione di risarcimento del danno derivato dall'operazione di fusione potrebbe essere esperita anche nei confronti dei soci di maggioranza o di controllo (anche in concorso con gli amministratori), per il solo fatto che essi abbiano deliberato la fusione in presenza di un concambio di cui conoscevano (o avrebbero dovuto conoscere), l'erroneità.

A tal fine potrà essere configurata un'azione di risarcimento in forma specifica da parte dei soci di minoranza nei confronti dei soci di maggioranza, azione tesa ad ottenere il trasferimento ai soci danneggiati di tante azioni o quote idonee a riflettere il rapporto di cambio che sarebbe stato corretto stabilire nota3.

Ciò esplicitato, da un punto di vista pratico, i soci (e i terzi) ben potranno impugnare la delibera di fusione per annullamento ex artt. 2377 cod. civ. e 2378 cod. civ., ovvero a cagione di nullità ex art. 2379 cod. civ. . In particolare, considerato il breve intervallo temporale decorrente tra la delibera di fusione e l'iscrizione dell'atto di fusione, l'unico strumento concesso ai soci sarà il ricorso al rimedio offerto dal citato art. 2378, III comma, cod. civ. , norma che consente la sospensione dell'esecuzione della deliberazione.

Ai sensi del citato articolo, infatti, in caso di eccezionale e motivata urgenza, il presidente del tribunale, senza convocare la società convenuta, provvede alla sospensione con decreto motivato, che deve contenere la designazione del giudice per la trattazione della causa di merito e la fissazione dell'udienza, dinanzi a quest'ultimo, per la conferma, modifica o revoca del decreto, entro quindici giorni dalla data della sua emanazione, nonchè la fissazione del termine per la notificazione alla controparte del ricorso e del decreto.

Il giudice designato per la trattazione della causa di merito, sentiti gli amministratori e i sindaci potrà esperire il tentativo di conciliazione, eventualmente suggerendo le modificazioni da apportare alla deliberazione impugnata, ovvero, dopo una attenta valutazione comparativa del pregiudizio che subirebbe il ricorrente dall'esecuzione della delibera e quello che subirebbe la società dalla sospensione dell'esecuzione della deliberazione, provvedere a confermare o revocare il decreto di sospensione, potendo altresì disporre, in caso di conferma, che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l'eventuale risarcimento dei danni.

Note

nota1

Cfr. Angelici, La nullità della Fusione, in Riv. Dir. Comm., vol. I, 1992.
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nota2

Cfr. Casadei, Invalidità della fusione ed azioni esperibili: con particolare riferimento all'incongruità del rapporto di cambio, Roma, 1993.
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nota3

Cfr. Serra-Spolidoro, op. cit..
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Bibliografia

  • ANGELICI, La nullità della fusione, Riv. dir. comm., I, 1992
  • CASADEI D., Invalidità della fusione ed azioni esperibili: con particolare rif. all'incongruità del rapporto di cambio, Roma, 1993
  • SERRA-SPOLIDORO, Fusioni e scissioni di società, Torino, Quaderni di dir. comm. europeo, 1994

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