Il giudizio di causalità materiale



Il giudizio di causalità materiale costituisce la prima fase di ricostruzione del nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno. Esso è volto ad accertare che la condotta illecita sia stata effettivamente la causa del danno verificatosi. Al riguardo, la giurisprudenza distingue, prima di tutto, la causa dalla mera occasione. Invero quest'ultima è solo un fatto coincidente, ma privo di qualunque efficacia causativa e, pertanto, inidoneo a dar luogo a qualsivoglia responsabilità (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 5962/00).

I criteri di accertamento del nesso causale sono quelli elaborati in sede penalistica.In primo luogo, deve ricordarsi la teoria condizionalistica, secondo la quale la condotta è causa dell'evento quando risulti essere una condicio sine qua non della lesione, vale a dire quando, espungendo la condotta mediante un procedimento di eliminazione mentale, si appura che il fatto non si sarebbe verificato. In fondo può essere reputata una variante di tale impostazione il ragionamento sulla condotta alternativa lecita, vale a dire la prospettazione ipotetica delle conseguenze che avrebbe avuto l'aver posto in essere (soprattutto con riferimento ai contegni illeciti omissivi) i comportamenti conformi a legge, a regolamenti, ovvero alle comuni norme di prudenza (Cass. Pen., Sez. IV, 48216/12).
La linea teorica della condicio sine qua non , pur trovando ancora riscontro in talune pronunce, è stata, tuttavia, superata dal criterio della c.d. causalità adeguata, in base alla quale il rapporto causa-effetto si manifesta in una sequenza costante, secondo un calcolo di regolarità statistica, in virtù della quale il danno si presenta quale conseguenza normale, non già straordinaria, della condotta.Sebbene la teoria della causalità adeguata sia quella di più frequente applicazione giurisprudenziale, deve rammentarsi che nello specifico settore della responsabilità professionale e, in particolare, in quello della responsabilità medica, la giurisprudenza non ricorre al criterio della probabilità statistica, ma a quello della probabilità scientifica, per cui oggetto d'esame - che si avvale, tra l'altro, di elementi tratti dalla ricerca scientifica e dall'esperienza clinica - non è la certezza degli effetti della condotta, ma la probabilità e l'idoneità della condotta a produrli. Speciali difficoltà presenta l'accertamento del nesso causale nell'illecito omissivo, ciò che postula la formulazione di un giudizio di probabilità in termini invertiti rispetto a quanto si pratica nell'ipotesi di illecito commissivo (Cass. Civ., Sez.II, 7997/05).

Inoltre, talvolta la giurisprudenza ha adottato la teoria della c.d. causalità umana, secondo cui può ritenersi sussistente il nesso eziologico tra una condotta e l'evento se l'uomo con la sua azione ha posto in essere un fattore causale del risultato e questo non è dovuto al concorso di circostanze eccezionali ed atipiche (cfr. Cass. Civ. Sez. Lavoro, 2037/00).

Quanto all'ipotesi in cui sussista una pluralità di fattori causativi di un danno, la giurisprudenza ha precisato che l'individuazione del rapporto di causalità tra l'evento e l'ultimo fattore di una serie causale non esclude la rilevanza di quelli anteriori che abbiano avuto come effetto di determinare la situazione su cui il successivo è venuto ad innestarsi, poiché il limite alla configurazione del rapporto di causalità tra antecedente ed evento è rappresentato solo dalla idoneità della causa successiva ad essere valutata, per la sua eccezionalità rispetto al decorso causale innescato dal fattore remoto, come causa sufficiente ed unica del danno (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 6023/01 ) nota1.

Qualora, poi, tra le concause vi sia un fattore naturale non imputabile, la giurisprudenza ha chiarito che esso non elide la responsabilità dell'autore della condotta. In particolare, secondo il Supremo Collegio, in base ai principi di cui agli art. 40 e 41 cod. pen., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell'uomo siano sufficienti a determinare l'evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l'autore dell'azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell'evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale. Viceversa, qualora quelle condizioni non possano dar luogo, senza l'apporto umano, all'evento di danno, l'autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità. In tal caso, infatti, non può operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 2335/01 ) nota2.

Note

nota1

Nell'enunciare tale principio, la Suprema Corte ha riconosciuto immune da censure la valutazione, contenuta nella sentenza impugnata, di sussistenza del nesso di causalità tra l'evento epatite da trasfusioni e un incidente stradale nel quale le lesioni prodotte avevano richiesto di eseguire sull'infortunato un intervento chirurgico, nel quale si era fatto ricorso alle trasfusioni.
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nota2

Nella specie, il giudice di merito aveva graduato percentualmente la responsabilità del medico in un caso in cui alla produzione del danno, tetraparesi spastica in neonato, avevano concorso il colposo ritardo nella somministrazione di farmaci ossitociti e nell'esecuzione del parto cesareo con conseguente asfissia neonatale del feto e un episodio di apnea verificatosi al trentaquattresimo giorno di vita; la Suprema Corte, in applicazione dell'esposto principio, ha cassato con rinvio.
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