Il fatto illecito del preposto (responsabilità dei padroni e dei committenti)




Il fatto commesso dal suo autore deve presentare tutti gli estremi richiesti dall'art. 2043 cod. civ. . Pertanto deve trattarsi di un fatto doloso o colposo di cui l'autore debba rispondere anche in proprio. Conseguentemente, se l'autore del fatto non può essere considerato responsabile, perché non ha commesso il fatto con dolo o colpa, o perché il fatto deriva da caso fortuito o forza maggiore, neppure il preponente risponde ai sensi dell'art. 2049 cod. civ. .

Se il fatto è commesso da un soggetto incapace di intendere e di volere, deve escludersi parimenti la responsabilità del preponente, proprio per mancanza di un fatto che si possa definire illecito. Del fatto commesso dal soggetto incapace di intendere e di volere risponde, infatti, colui che è tenuto alla sorveglianza, ai sensi dell'art. 2047 cod. civ. . A conclusione opposta è pervenuta la Corte di Cassazione in un caso di illecito commesso da un dipendente colto da improvviso raptus di follia (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 5851/79 ). Si tratta comunque di una decisione che non pare esattamente condivisibile, dal momento che fa ricadere un obbligo di vigilanza sul datore di lavoro del tutto ignaro della potenziale e non apparente follia del dipendente.

Posto che, come si è detto, si richiede il fatto illecito del preposto, ci si chiede se il danneggiato possa reclamare il risarcimento dal preponente nel caso in cui non risulti identificato l'autore dell'illecito. La giurisprudenza ha affermato, in questo caso, la responsabilità del preponente. Non è necessaria, infatti, l'identificazione personale dell'autore dell'illecito, ma semplicemente che un illecito sia stato commesso, anche se anonimo, ovviamente in un contesto tale da manifestare comunque la riconducibilità di esso all'ambito aziendale del preponente (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 1135/99 , Cass. Civ. Sez. III, 12023/95 ; Tribunale di Milano, 19/03/1990 ). La responsabilità sussiste, quindi, anche quando il fatto illecito sia riconducibile alla condotta di più soggetti, senza che vi sia la possibilità di attribuire ad uno solo di essi la realizzazione di un fatto illecito. Si è verificato il caso dell'esercizio di mescita di bevande in cui taluno dei commessi aveva collocato una bottiglia di liquido velenoso insieme ad altre ed altro commesso, senza verificare di quale tipo di bottiglia si trattasse, aveva servito il liquido al cliente che aveva espressamente indicato quella bottiglia. La responsabilità del titolare dell'esercizio è stata affermata senza pretendere che il danneggiato offrisse la prova di quale dei commessi avesse agito con colpa.

Anche il fatto doloso del preposto fa sorgere la responsabilità del preponente. Da questo punto di vista, non v'è dubbio che il fatto doloso integra un fatto illecito ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. . Il problema se il dolo possa o meno escludere la responsabilità del preponente si pone, dunque, soltanto sul piano dell'altro presupposto della norma, costituito dalla relazione tra il fatto illecito e l'esercizio dell'attività oggetto della preposizione. Ed è, quindi, in quel contesto che la questione deve essere affrontata.

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