Il danno biologico



La figura del danno biologico, inteso come danno alla salute ed all'integrità fisica della persona, concepita come valore autonomo, nasce in giurisprudenza per superare le apparenti strettoie del sistema normativo degli artt. 2043 e 2059 cod. civ. . Quest'ultima norma limita, infatti, il risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge. Siffatta previsione ha assunto, in concreto, il significato di danni derivanti da reato, in virtù dell'art. 185 cod. pen. , che espressamente riconosce il risarcimento del danno non patrimoniale.

L'interpretazione tradizionale, pertanto, affermava che, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. , potessero essere risarciti soltanto i danni di contenuto patrimoniale, cioè quei danni suscettibili di essere apprezzati dal punto di vista del decremento del patrimonio del soggetto danneggiato, causato dalla perdita della capacità lavorativa specifica o generica.

Per capacità lavorativa generica si intende l'idoneità psico-fisica all'espletamento di un'attività lavorativa qualunque: esso costituisce, quindi, un'astrazione concettuale nella misura in cui prescinde dalle specifiche caratteristiche e attitudini del danneggiato.

Per capacità lavorativa specifica, si intende, invece, la peculiare idoneità del soggetto all'espletamento dell'attività concretamente svolta o di altra similare, tenuto conto delle caratteristiche fisiche o intellettuali del soggetto.

Lo stesso evento lesivo può incidere in modo diverso sull'una o sull'altra capacità lavorativa: è evidente, ad esempio, che lo sfregio subito da una modella incide sulla sua capacità lavorativa specifica, non preclude in assoluto alla donna lo svolgimento di altra attività lavorativa (ad es. l'attività di commessa o di telefonista).

Proprio l'interpretazione, che poneva un'inscindibile connessione tra condotta lesiva del diritto alla salute e conseguenze patrimoniali del danno, aveva condotto a decisioni, che la dottrina aveva giustamente definito "aberranti":
a) il Tribunale di Firenze, con sentenza 05/01/1967, aveva negato il risarcimento del danno alla salute di una persona anziana, affermando che "possono esistere uomini senza alcun valore" in quanto "totalmente inetti a qualunque occupazione redditizia";
b) con sentenza del 18 gennaio 1971, il Tribunale di Milano, nel determinare il danno risarcibile per una menomazione fisica subita da un bambino, aveva quantificato il danno stesso in base alla capacità lavorativa del padre, muovendo dalla presunzione che il bambino, divenuto adulto, avrebbe esplicato la stessa attività lavorativa del genitore, manovale generico.

Intorno alla metà degli anni '70 - accogliendo la tesi della valenza immediatamente precettiva dell'art. 32 Cost. - si registra un'inversione di tendenza e la giurisprudenza incomincia a riconoscere la risarcibilità di per sé del danno alla salute, indipendentemente da incidenze sul reddito percepito.

La difficoltà di adottare un metodo di liquidazione, in grado di garantire parità di trattamento e, nello tempo, flessibilità in relazione alle peculiarità del caso concreto, dà origine a due diversi metodi:
a) da un lato, il Tribunale di Genova adotta il criterio del triplo della pensione sociale, sulla base sostanzialmente di una fictio di incidenza reddituale del danno patito dal soggetto;
b) dall'altra, il Tribunale di Pisa opta per il c.d. criterio tabellare a punti, che, in seguito, si diffonderà nella maggior parte degli uffici giudiziari.

La Corte Costituzionale, con sentenza 88/79 , affermava solennemente che l'art. 32 Cost. tutela la salute non solo come interesse della collettività, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo, per dedurne che, in presenza di fatti lesivi, il risarcimento del danno «non può essere limitato alle conseguenze della violazione incidenti sull'attitudine a produrre reddito, ma deve comprendere anche gli effetti della lesione al diritto, considerato come posizione soggettiva autonoma, indipendentemente da ogni altra circostanza e conseguenza».

Si apre così la via giurisprudenziale alla categoria del danno alla salute, risarcibile indipendente dalle conseguenze di carattere patrimoniale.

Altra tappa significativa dell'evoluzione giurisprudenziale è costituita dalla sentenza della Corte Cost. 184/86, la quale - nel riconoscere l'applicabilità dell'art. 2043 cod. civ. anche alle lesioni di interessi non patrimoniali, ma suscettibili di valutazione economica - predilige la nozione di danno biologico, inteso come lesione dell'integrità psico-fisica del soggetto che configura un danno di per sé, risarcibile senza le limitazioni previste dall'art. 2059 cod. civ..

La citata sentenza 184/86 costituisce un momento fondamentale nell'evoluzione della problematica del danno alla persona. Molte delle affermazioni in essa contenute segnano la giurisprudenza degli anni successivi, mentre altre rappresentano il paramento di confronto critico per alcuni filoni successivi.

Le statuizioni fondamentali contenute in questa sentenza possono essere così sintetizzate:
1) Danno non patrimoniale e danno morale subiettivo: nella nozione di danno non patrimoniale, di cui all'art. 2059 cod. civ. , vanno compresi soltanto i danni morali subiettivi, intesi come ingiusto perturbamento dello stato d'animo del soggetto offeso, transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso.

Le ragioni dell'affermazione sono così individuate:

1) l'immediato "precedente" legislativo del risarcimento del danno non patrimoniale ex dell'art. 185, II comma, cod. pen. è da rintracciarsi nelle seguenti disposizioni:
- art. 38 del codice penale del 1889: "Oltre alle restituzioni e al risarcimento dei danni, il giudice, per ogni delitto che offenda l'onore della persona e della famiglia, ancorché non abbia cagionato danno, può assegnare alla parte offesa, che ne faccia domanda, una somma determinata a titolo di riparazione"
- art. 7 del codice di procedura penale del 1913: "Il reato può produrre azione civile per il risarcimento del danno e per le restituzioni. I delitti contro la persona e quelli che offendono la libertà individuale, l'onore della persona o della famiglia, l'inviolabilità del domicilio o dei segreti, anche se non abbiano cagionato danno, possono produrre azione civile per riparazione pecuniaria"
L'art. 185 cod. pen., al II comma , seguendo l'orientamento, già accolto dal codice di procedura penale del 1913, teso all'allargamento delle ipotesi di riparazione pecuniaria, estende a tutti i reati (e non soltanto ad alcuni delitti) la precitata riparazione, includendola nella generale nozione di risarcimento e definendo "non patrimoniale" il danno morale subiettivo.

2) Le ragioni del cambiamento dell'espressione "danno morale" con quella di "danno non patrimoniale" vengono chiarite, in maniera inequivocabile, dalla stessa relazione ministeriale al progetto definitivo del codice penale del 1930:
"Quanto alla designazione del concetto, ho creduto che la locuzione "danno non patrimoniale" sia preferibile a quella di "danno morale", tenuto conto che spesso nella terminologia corrente la locuzione di "danno morale" ha un valore equivoco e non riesce a differenziare il danno morale puro da quei danni che, sebbene abbiano radice in offese alla personalità morale, direttamente od indirettamente menomano il patrimonio".
Da ciò s'evince che, almeno nelle intenzioni del legislatore penale del 1930, il danno non patrimoniale, di cui al secondo comma dell'art. 185 cod. pen. , costituisce l'equivalente del danno morale subiettivo e che i danni direttamente od indirettamente incidenti sul patrimonio non possono essere compresi nei danni non patrimoniali ex art. 185 cod. pen..

La relazione ministeriale al vigente codice civile così si esprime: "Circa il risarcimento dei danni cosiddetti morali, ossia circa la riparazione o compensazione indiretta di quegli effetti dell'illecito che non hanno natura patrimoniale, si è ritenuto di non estendere a tutti la risarcibilità o la compensabilità che l'art. 185 del c.p. pone soltanto per i reati". Il legislatore chiarisce, poi, le ragioni della scelta contraria all'ulteriore (rispetto a quella già operata dal codice penale del 1930) estensione della risarcibilità dei danni morali, con queste parole: "La resistenza della giurisprudenza a tale estensione può considerarsi limpida espressione della nostra coscienza giuridica. Questa avverte che soltanto nel caso di reato è più intensa l'offesa all'ordine giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una più energica repressione con carattere anche preventivo".

3) L'art. 2059 cod. civ. si applica soltanto ai casi previsti dalla legge: la norma pone una riserva di legge e si applica soltanto quando all'illecito civile, costituente anche reato, consegue un danno morale subiettivo. La scelta legislativa operata con l'emanazione dell'art. 2059 cod. civ. (tra le opposte tesi della totale irrisarcibilità del danno morale subiettivo e della risarcibilità, in ogni caso, del medesimo) discende dall'opportunità di sanzionare in modo adeguato chi si è comportato in maniera vietata dalla legge. La responsabilità civile ben può assumere compiti preventivi e sanzionatori: per giungere a queste conclusioni non è neppur necessario aderire alla tesi che sostiene la natura di pena privata del risarcimento del danno non patrimoniale, essendo sufficiente sottolineare la non arbitrarietà d'una scelta discrezionalmente operata, nei casi più gravi, d'un particolare rafforzamento, attraverso la riparazione dei danni non patrimoniali, del carattere preventivo e sanzionatorio della responsabilità penale.

4) Distinzione tra danno-evento (danno biologico) e danno-conseguenza (danno patrimoniale e danno morale). Il danno biologico costituisce l'evento del fatto lesivo della salute, mentre il danno morale subiettivo (ed il danno patrimoniale) appartengono alla categoria del danno-conseguenza in senso stretto. Il danno biologico è l'evento interno al fatto lesivo della salute, che deve necessariamente esistere ed essere provato, non potendosi avere rilevanza delle eventuali conseguenze esterne all'intero fatto (morali o patrimoniali) senza la completa realizzazione di quest'ultimo, ivi compreso, ovviamente, l'evento della menomazione dell'integrità psico-fisica del soggetto offeso.

Il risarcimento del danno biologico costituisce un primo, essenziale, prioritario risarcimento, che ne condiziona ogni altro e, pertanto, anche quello del preindicato lucro cessante (non vi può esser risarcimento di danni patrimoniali derivanti da fatto illecito lesivo della salute senza il necessariamente preliminare risarcimento del danno biologico).

Il danno non patrimoniale è, quindi, un altro effetto dell'illecito (è, cioè, danno-conseguenza, al pari di quello patrimoniale) e il risarcimento dei danni non patrimoniali persegue scopi di più intensa repressione e prevenzione, certamente estranei al risarcimento degli altri tipi di danno.

Giova precisare che vale distinguere, anche in diritto privato (specie a seguito del riconoscimento di diritti, inviolabili costituzionalmente, validi anche nei rapporti tra privati) l'evento materiale, naturalistico, che, pur essendo conseguenza del comportamento, è momento od aspetto costitutivo del fatto, dalle conseguenze dannose, in senso proprio, di quest'ultimo, legate all'intero fatto illecito (e quindi anche all'evento) da un ulteriore nesso di causalità.

In tempi nei quali non erano prospettate ipotesi di specifici interessi garantiti anche nei rapporti tra privati, ritenendosi il danno ex art. 2043 cod. civ. limitato al danno emergente ed al lucro cessante (e cioè alla lesione direttamente od indirettamente incidente sul patrimonio del danneggiato) si è individuato un principio, valido in sede di responsabilità extracontrattuale, secondo il quale il danno si sostanzia esclusivamente nelle conseguenze patrimoniali (e non) dell'illecito. Gli interessi sostanziali, a tutela dei quali s'impone l'obbligazione risarcitoria, passavano in secondo piano: nessuno avvertiva il bisogno d'esplicitarli. Data, da un canto, la conclamata atipicità dell'illecito civile e dall'altro la facilità della prova del danno emergente e del lucro cessante, ogni indagine s'incentrava sull'obbligazione risarcitoria d'un danno patrimoniale (o non) comunque da provare, di volta in volta, conseguente all'illecito. Venute, invece, in rilievo esigenze di tutela, anche in sede di diritto privato, di specifici valori, determinati soprattutto dalla vigente Costituzione, valori personali, prioritari, non tutelabili, neppure in sede di diritto privato, soltanto in funzione dei danni patrimoniali (e non) conseguenti all'illecito, occorre fare un passo ulteriore, rompere lo schema dell'esistenza, in tema di responsabilità civile extracontrattuale, soltanto di danni - conseguenze, in senso stretto, e incentrando l'attenzione sul divieto primario violato dall'illecito extracontrattuale (e in particolare sui valori tutelati, lesi da quest'ultimo) chiarire gli effetti che il bene tutelato dal divieto primario opera sul precetto secondario del risarcimento del danno. È la natura (il valore, il significato giuridico) del bene garantito che, riverberandosi sul precetto secondario, lo condiziona, sottraendolo, ove del caso, ad arbitrarie determinazioni del legislatore ordinario.

5) L'art. 2059 cod. civ. come norma "limitativa" dell'ambito applicativo dell'art. 2043 cod. civ. : Il vigente art. 2043 cod. civ. (che corrisponde all'art. 1151 dell'abrogato cod. civ.), ove non esistesse altra disposizione relativa ai danni non patrimoniali (a parte, per un momento, il sistema di cui al titolo IX del libro IV del cod. civ.), potrebbe ritenersi estensibile a tutte le specie di danni: ma l'art. 2059 cod. civ. , operando una precisa scelta, sancendo che i danni non patrimoniali, corrispondenti ai soli danni morali subiettivi, vanno risarciti in ben precisati limiti e cioè solo nei casi determinati dalla legge, non soltanto esclude, almeno nelle intenzioni del legislatore del 1942, la risarcibilità di altri danni non patrimoniali ma sottrae questi ultimi alla comprensione dell'art. 2043 cod. civ..

Se è vero che l'art. 32 Cost. tutela la salute come diritto fondamentale del privato, e se è vero che tale diritto è primario e pienamente operante anche nei rapporti tra privati, allo stesso modo come non sono configurabili limiti alla risarcibilità del danno biologico, quali quelli posti dall'art. 2059 cod. civ. , non è ipotizzabile limite alla risarcibilità dello stesso danno, per sè considerato, ex art. 2043 cod. civ..

6) Art. 2043 cod. civ. come norma in bianco. La regola posta dalla norma evocata sarebbe una sorta di "norma in bianco". Mentre nello stesso articolo è espressamente e chiaramente indicata l'obbligazione risarcitoria, che consegue al fatto doloso o colposo, non sono individuati i beni giuridici la cui lesione è vietata: l'illiceità oggettiva del fatto, che condiziona il sorgere dell'obbligazione risarcitoria, viene indicata unicamente attraverso l'"ingiustizia" del danno prodotto dall'illecito.

Il riconoscimento del diritto alla salute, come fondamentale diritto della persona umana, comporta il riconoscimento che l'art. 32 Cost. integra l'art. 2043 cod. civ., completandone il precetto primario.

L'ingiustizia del danno biologico e la conseguente sua risarcibilità discendono direttamente dal collegamento tra gli artt. 32, I comma, Cost. e 2043 cod. civ. ; più precisamente dall'integrazione di quest'ultima disposizione con la prima.

Anche se l'art. 32 Cost. non contempla espressamente il risarcimento, in ogni caso, del danno biologico, è dallo stesso articolo che può desumersi, in considerazione dell'importanza dell'enunciazione costituzionale del diritto alla salute come diritto fondamentale del privato, la difesa giuridica che tuteli nella forma risarcitoria il bene della salute personale. Ciò non è, tuttavia, riferibile alla norma di cui all'art. 2059 cod. civ. (stante l'interpretazione limitativa che, come si è ricordato, il diritto vivente dà di quest'ultimo articolo) ma va ricondotto alla norma risultante dal combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 cod. civ. , giacché lo stesso diritto vivente quest'ultimo articolo ritiene, direttamente od indirettamente, applicabile al risarcimento del danno biologico.

La vigente Costituzione, garantendo principalmente valori personali, svela che l'art. 2043 cod. civ. va posto soprattutto in correlazione agli articoli dalla Carta fondamentale (che tutelano i predetti valori) e che, pertanto, va letto in modo idealmente idoneo a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell'illecito. L'art. 2043 cod. civ. , correlato all'art. 32 Cost. , va, necessariamente esteso fino a comprendere il risarcimento, non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma (esclusi, per le ragioni già indicate, i danni morali subiettivi) tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici della persona umana. Ed è questo il profondo significato innovativo della richiesta di autonomo risarcimento, in ogni caso, del danno biologico: tale richiesta contiene un implicito, ma ineludibile, invito ad una particolare attenzione alla norma primaria, la cui violazione fonda il risarcimento ex art. 2043 cod. civ. , al contenuto dell'iniuria, di cui allo stesso articolo, ed alla comprensione (non più limitata, quindi, alla garanzia di soli beni patrimoniali) del risarcimento della lesione di beni e valori personali.

7) Determinazione e liquidazione del danno biologico. Il criterio liquidativo dover risultare rispondente da un lato ad un'uniformità pecuniaria di base (lo stesso tipo di lesione non può essere valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto: è, infatti, la lesione, in se e per se considerata, che rileva, in quanto pregna del disvalore giuridico attribuito alla medesima dal divieto primario ex artt. 32 Cost. e 2043 cod. civ. ) e dall'altro ad elasticità e flessibilità, per adeguare la liquidazione del caso di specie all'effettiva incidenza dell'accertata menomazione sulle attività della vita quotidiana, attraverso le quali, in concreto, si manifesta l'efficienza psico - fisica del soggetto danneggiato.

Oltre alla voce relativa al risarcimento, per sè, del danno biologico, ove si verifichino, a seguito del fatto lesivo della salute, anche danni-conseguenze di carattere patrimoniale (esempio lucro cessante) anch'essi vanno risarciti, con altra autonoma voce, ex artt. 32 Cost. e 2043 cod. civ.. Così, ove dal fatto in discussione derivino danni morali, subiettivi, i medesimi, in presenza, nel fatto, anche dei caratteri del reato, vanno risarciti ex art. 2059 cod. civ. . Il cumulo tra le tre voci di danno, pur generando pericoli di sperequazioni (i soggetti che percepiscono un attuale reddito lavorativo hanno diritto a richiedere una voce di danno in più) dovrebbe consigliare cautela nella liquidazione dei danni in esame, onde evitare da un canto duplicazioni risarcitorie e dall'altro gravi sperequazioni nei casi concreti.

Sulla base di questa pronuncia si consolida in giurisprudenza l'orientamento volto a tutelare la salute del soggetto danneggiato con il riconoscimento di tre voci di danno:
1) il danno patrimoniale (art. 2043 cod. civ. ), consistente nelle perdite subite in conseguenza del fatto lesivo, sotto forma di danno emergente (ad esempio, la rottura dell'orologio) e, soprattutto, di lucro cessante (le retribuzioni perdute, la diminuzione del reddito annuo a causa della menomazione fisica, ecc.):
2) il danno biologico (art. 2043 cod. civ.) consistente nella lesione all'integrità psico-fisica;
3) il danno non patrimoniale, inteso come mero danno morale, cioè come patimento morale conseguente al fatto (risarcibile soltanto nel caso di condotta costituente reato).

Il risarcimento dei danni alla persona seguiva, così, uno schema tripartito:
  1. danno biologico: danno-evento, risarcibile a prescindere da qualsiasi compromissione reddituale;
  2. danno patrimoniale: danno-conseguenza, determinante un decremento della sfera patrimoniale del soggetto leso;
  3. danno morale subiettivo: danno-conseguenza, consistente nel patema d'animo, sofferto dall'offeso.

Soltanto in tempi più recenti la nozione di danno biologico può dirsi espressamente accolta in ambito legislativo con l'art. 5 della Legge 5 marzo 2001, n. 57, che ha inteso disciplinare il risarcimento dei danni alla persona di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. La legge afferma che "per danno biologico si intende la lesione all'integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale. Il danno biologico è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato". La disposizione, abrogata per effetto dell'entrata in vigore del Codice delle assicurazioni (D.Lgs. 7 settembre 2005, n.209 parzialmente novellato per effetto del D.L. 24 gennaio 2012, n.1, convertito con L. 27/12), è stata recepita organicamente e meglio precisata dall'art.139 del detto provvedimento normativo (nota1).
Secondo la disposizione, per danno biologico "si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito. In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente."
Così precisato il danno biologico si può reputare assorbente ogni altra voce di pregiudizio non avente riflessi immediatamente patrimoniali, quali ad esempio il c.d. danno alla vita di relazione ovvero la riduzione della capacità lavorativa generica (Cass.Civ. Sez.III, 9514/07). Occorre infatti stare attenti ad evitare la moltiplicazione delle istanze risarcitorie, che sotto le spoglie di ulteriori definizioni (danno estetico, danno alla vita di relazione, danno esistenziale, etc.) non possono, a meno dell'allegazione e della prova di circostanze eccezionali, non essere ricomprese nell'ambito del danno biologico (Cass. Civ., Sez. III, 23778/2014). Da questo punto di vista, il superamento delle indennità risarcitorie di cui alle "tabelle" elaborate dalla giurisprudenza di merito potrebbe essere attuato soltanto quando fossero debitamente valorizzate le specifiche circostanze fattuali che conducano ad una motivata personalizzazione del risarcimento (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 21939/2017).

Nell'ambito del danno biologico può dirsi rientrare il c.d. danno tanatologico, cioè il danno scaturente dalla estrema gravità della condotta lesiva che culmina nella morte del danneggiato. Quando tale evento si produca senza un apprezzabile cesura temporale rispetto al momento della condotta lesiva, il pregiudizio viene direttamente a prodursi in capo a soggetti quali i prossimi congiunti del defunto. Diverso è tuttavia il caso in cui sussista un lasso temporale di qualche rilievo tra il comportamento lesivo e il decesso del soggetto che, per tale motivo, ben può dirsi direttamente danneggiato. In tale ipotesi la maturazione del diritto al risarcimento può dirsi essere avvenuta in capo a chi, venendo meno in un secondo tempo, possa al più lasciarlo a titolo di successione mortis causa. Un diverso atteggiamento richiede che in ogni caso sia sussistito un lasso temporale apprezzabile tra evento lesivo e decesso (Cass. Civ., Sez. III, 6273/12). In altri termini quando tale intervallo temporale fosse irrilevante, non potrebbe dirsi maturato alcun danno biologico risarcibile, ovviamente ben potendo il pregiudizio scaturente dalla morte del congiunto essere altrimenti rilevante.
Quanto all'entità di tale risarcimento è stato deciso che essa debba essere proporzionata all'intensità della sofferenza patita dal de cuius (Cass.Civ. Sez.III, 3260/07).

Note

nota1

Da notarsi come il I comma dell'art.145 del citato codice delle assicurazioni subordini la possibilità di agire in giudizio da parte del danneggiato all'inutile spirare del termine di novanta giorni a far tempo dalla presentazione dell'istanza di risarcimento del danno. Tale disposizione è stata reputata costituzionalmente non illegittima, sulla scorta dell'osservazione in base alla quale lo strumento in esame si sostanzia in una forma di tutela degli interessi del danneggiato più efficace rispetto a quella predisposta dalla normativa comune (Corte Cost., 111/12).
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