Il compimento di atti estranei all'oggetto sociale (amministrazione società per azioni)



La definizione di un atto come "estraneo all'oggetto sociale", pone non pochi problemi all'operatore giuridico, che si trova innanzi una categoria di atti quanto mai articolata. È infatti tutt'altro che semplice stabilire se e quando un'operazione sia da considerarsi estranea all'oggetto sociale. La questione non pare avere molto a che fare con la distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione (Cass. Civ., Sez.I, 5152/10). La difficoltà principale che si incontra nella determinazione dell'estraneità o meno dell'atto compiuto rispetto all'oggetto sociale consiste proprio nell'individuazione di quel confine, che in alcuni casi può veramente apparire impalpabile e sfumato, che separa l'attività gestionale vera e propria dall'attività extra-gestionale, anche tenuto conto dell'evoluzione del programma di sviluppo tracciato dall'organo di gestione nota1.

L'estraneità all'oggetto sociale di un atto, dovrebbe quindi essere valutata in base al concreto rapporto di strumentalità tra lo specifico atto compiuto ed il programma economico stabilito nell'oggetto sociale: in base, cioè alla idoneità in concreto di uno specifico atto od operazione all'effettivo perseguimento o attuazione dell'oggetto sociale nota2. L'appartenenza della società ad un gruppo può inoltre condurre ad apprezzare la funzionalità del singolo atto di gestione a soddisfare anche interessi economici mediati ed indiretti, sia pure da supportare in forza di concrete valutazioni dei c.d. "vantaggi compensativi" (cfr. Cass. Civ. Sez. I, 26325/06). Si pensi al rilascio di una garanzia fidejussoria da parte della società partecipante per obbligazioni della partecipata (Cass. Civ., Sez. I, 9475/2014).

La previsione del divieto per la società di compiere atti estranei all'oggetto sociale rientra nell'ottica della tutela dell'interesse alla corretta gestione dell'impresa. La violazione di esso può quindi costituire una fonte di responsabilità per gli amministratori di società di capitali, responsabilità che deve essere valutata alla stregua delle nozioni di estraneità e connessione dell'atto rispetto all'oggetto sociale (cfr. Appello di Milano, 16 giugno 1995 , Appello di Milano, 15 settembre 1994 e Appello di Milano, 19 ottobre 1993 ).

A tal proposito, ampio è stato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, onde in questa sede se ne fornirà un resoconto meramente esemplificativo e non esaustivo.

Sotto il vigore del previgente art. 2384 bis cod.civ. (ai sensi del quale l'estraneità dell'atto all'oggetto sociale non avrebbe potuto essere opposta al terzo di buona fede, vale a dire inconsapevole di siffatta estraneità: cfr. Cass. Civ., Sez. I, 25296/2013) , dottrina e giurisprudenza hanno tentato di individuare alcuni criteri di valutazione della connessione o dell'estraneità dell'atto. Non poche sono state le difficoltà riscontrate in merito, atteso che, nella maggior parte dei casi, l'atto presenta caratteri di potenziale compatibilità rispetto all'oggetto sociale e quindi la sua effettiva destinazione alla realizzazione dell'attività dell'impresa finisce per dipendere dalle intenzioni e dai successivi comportamenti degli amministratori. Tuttavia il riportare il giudizio sull'estraneità o meno dell'atto al momento della sua conclusione finirebbe per rendere sostanzialmente inapplicabile il limite dell'oggetto sociale e vanificare la sua funzione di garanzia. Il giudizio di pertinenza o di estraneità deve quindi poter prescindere dall'effettiva utilizzazione dell'atto dopo il suo compimento.

In particolare la condizione necessaria affinché l'oggetto sociale possa costituire un limite al potere di rappresentanza degli amministratori consiste nella possibilità di formulare un giudizio prognostico ex ante di astratta inidoneità dell'atto alla realizzazione dell'attività sociale al momento del suo perfezionamento. Potranno, ad esempio, essere considerati estranei all'oggetto sociale soltanto quegli atti che, per il loro concreto contenuto, non presentano alcun rapporto di strumentalità, neppure potenziale, con l'attività della società, secondo un criterio di normalità, che tenga presente la gestione caratteristica di ciascuna specifica attività di impresa nota3.

Poiché tale criterio, tuttavia, istituisce un rapporto quanto mai generico di strumentalità, tra l'atto e l'oggetto, v'è chi ha provato a distinguere tra atti che sono direttamente strumentali all'attività economica della società ("atti tipici") ed atti che non rientrano tra quelli attraverso i quali si svolge tipicamente l'attività economica oggetto della società, ma che possono solo indirettamente essere a questa ricondotti ("atti atipici"). Se per i primi si tende ad escludere l'opportunità di applicare criteri basati su valutazioni anche quantitative, con riguardo al secondo gruppo di atti (riferibili alla gestione extra-caratteristica) si sostiene che debba almeno esistere un rapporto di proporzionalità degli stessi con il fine che essi sono diretti a realizzare, "misurata in relazione al ruolo che, secondo un criterio di normalità, si può ragionevolmente assegnare a quel fine nell'ambito di quella specifica attività economica, a prescindere dalle dimensioni con cui essa viene esercitata" nota4.

L'utilizzo di criteri sostanziali (o meglio quantitativi) da un lato contribuisce ad operare una valutazione dell'estraneità dell'atto maggiormente ancorata alla realtà dei fatti, avendo tuttavia il difetto di lasciare ampio spazio alla discrezionalità dei giudici. Essi ben potranno, di volta in volta, ed in dipendenza del momento storico attraversato dalla società (società in espansione, in crisi ecc..), ritenere o meno lo stesso atto estraneo all'oggetto sociale.

Varie e talvolta contrastanti, sono state infatti le pronunce in materia, che hanno ricollegato al compimento dell'atto anche conseguenze diverse, in alcuni casi ritenendo l'attività degli amministratori una grave irregolarità ai sensi del (previgente) art. 2409 cod.civ., in altri qualificando il medesimo comportamento fonte di responsabilità ai sensi del (previgente) art. 2393 cod.civ. che prevedeva l'azione sociale di responsabilità nota5.

Caso emblematico può essere rappresentato quello relativo al compimento di atti a titolo gratuito, che hanno non poco affaticato la giurisprudenza in materia.

Note

nota1

Si veda in proposito in proposito le osservazioni di De Angelis, a commento di Appello di Milano, 16 giugno 1995, in Le società, n. 12,1995, pp. 1562 e ss., secondo cui "La Corte sembra cadere in una contraddizione, o quanto meno dilatare oltre misura la nozione di oggetto sociale, allorché afferma l'estraneità all'oggetto sociale de La Centrale, delle operazioni relative all'acquisizione di partecipazioni in società editoriali. Essa sembra cioè equivocare fra l'oggetto sociale (e l'oggetto sociale di una finanziaria è l'assunzione di partecipazioni) e i settori nei quali la società operava, che erano quello bancario, assicurativo e finanziario, ovverosia i suoi settori programmatici di intervento fra cui non rientrava, almeno in precedenza, quello editoriale. Una cosa è, infatti, che un'attività negoziale compiuta dagli amministratori in nome e per conto della società amministrata non rientri nell'oggetto sociale; altra cosa, e ben diversa, è che tale attività fuoriesca dalle linee programmatiche tradizionalmente seguite dalla società nel compimento dei propri affari: linee programmatiche che, ove se ne ravvisi l'opportunità, l'organo amministrativo può in qualunque momento meglio definire o anche modificare, come nella specie fece il consiglio di amministrazione de La Centrale, assumendo deliberazioni con cui le acquisizioni, dirette o indirette, delle partecipazioni nelle società Editoriale Rizzoli Editore s.p.a. e Finanziaria Veneto Friulana s.p.a. vennero approvate".
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nota2

Bonelli, Gli Amministratori di S.p.A. dopo la Riforma delle Società, Milano 2004.
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nota3

Utile, seppur datata, appare in tal senso la lettura di Zanelli, La nozione di oggetto sociale, Milano, 1962, pp.398 e ss.
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nota4

Cfr. Calandra Buonaura, Gli atti estranei all'oggetto sociale, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, Torino, 1991, vol. IV, pp.185 e ss., in particolare alla nt. 13; Pubusa, Poteri di rappresentanza degli amministratori di società per azioni e loro limiti ai sensi degli artt. 2384 e 2384 bis c.c., in Banca borsa e tit. cred., 1972, vol.I, pp.381 e ss.. Circa poi la necessità di valutare la rispondenza di un atto all'oggetto sociale, in presenza di clausole statutarie generiche e onnicomprensive (quali sono la maggior parte di esse), vedi Cass.Civ. Sez. I, 1506/93, in Le Società, 1993, p.923, con nota di Fabrizio e in Foro it., 1994, p.165, con nota di Nazzicone; Cass. Civ., 3360/85 , in Le Società, 1985, p.2231; Cass. Civ. Sez. I, 1759/92, in Giur. comm., 1993, p.502 con nota di Spaggiari; Appello di Genova, 30 novembre 1987, in Le Società, 1988, p.371; Tribunale di Genova, 29 gennaio 1985, in Le società, 1986, p.47; Appello di Bologna, 26 marzo 1992, in Giur. comm., 1993, p.502. Contra, con varie articolazioni e sfumature Tribunale di Venezia, 25 giugno 1996, in Giur. comm., 1996, p.797, con nota di Bertacchini; Appello di Roma, 22 febbraio 1996, in Giur. it., 1996, p.643, con nota di Scali; Tribunale di Milano, 20 giugno 1991, in Giur. it., 1991,1p.854, con nota di Weigmann ed in Giur. comm., 1992, p.101, con nota di Perrino.
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nota5

Cfr. Appello di Milano, 19 ottobre 1993 , che ha ritenuto che costituiscano gravi irregolarità rilevanti ex art. 2409 cod.civ."l'attività dell'amministratore volta ad una radicale ristrutturazione dell'assetto aziendale con relativa consistente riduzione della produzione industriale (...), nonché la concessione da parte dell'amministratore della società controllata di un ingente finanziamento a favore della società controllante"; Appello di Milano, 15 settembre 1994 , che ha ritenuto legittima "la revoca dell'amministratore unico sul rilievo di un evidente intento fraudolento finalizzato al depauperamento del patrimonio sociale con operazioni finanziarie che per nulla attengono all'oggetto sociale". In particolare cfr. Appello di Milano, 16 giugno 1995 , cit., che ha ritenuto che "l'accertamento del fatto che gli amministratori agirono per scopi extrasociali, e dunque in modo certamente illecito, è sufficiente per l'affermazione della loro responsabilità nei confronti della società". La decisione richiamata si riferisce alla nota vicenda relativa all'acquisto da parte della società La Centrale, controllata dal Banco Ambrosiano, di partecipazioni (nella Rizzoli Editore s.p.a. e nella Finanziaria Veneto Friulana s.p.a. finalizzate all'acquisizione rispettivamente delle testate editoriali del Corriere della Sera e del Gazzettino) effettuate secondo modalità e criteri ritenuti dai giudici milanesi idonei a configurare in capo agli amministratori della società acquirente un comportamento ritenuto illegittimo per i seguenti motivi: a) a seguito dell'intervento finanziario nella Rizzoli Editore sarebbe risultato modificata in modo significativo la composizione del portafoglio titoli della società, che avrebbe ormai riguardato "solo per i due terzi il settore bancario, assicurativo e finanziario sebbene l'indirizzo programmatico fosse incentrato nei settori citati"; b) l'intervento de La Centrale in un settore del tutto estraneo a quelli suoi programmatici di intervento, quale il settore editoriale, coincideva con le operazioni in perdita compiute a sostegno della testata veneta "Il Gazzettino": il che ha portato i giudici della Corte milanese ad escludere l'asserita credibilità degli scopi finanziari dell'operazione; c) l'avere escluso tale finalità ha portato il collegio giudicante ad escludere altresì che si fosse trattato di una scelta di gestione imprenditoriale, come tale insindacabile: essa si poneva infatti in contrasto con l'oggetto sociale che gli amministratori erano obbligati a perseguire nell'adempimento degli obblighi contratti nei confronti della società; d) le richiamate operazioni di acquisizione di partecipazioni si configuravano inoltre come uno strumento di elusione del divieto per le società esercenti attività nel settore bancario di assumere partecipazioni in società editoriali mediante l'acquisizione indiretta di tali partecipazioni per il tramite di società controllate; e) il danno derivante alla società dal compimento di tali operazioni consisteva, a parere della Corte milanese, nel depauperamento di risorse finanziarie destinate a finalità estranee a quelle statutariamente previste.
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Bibliografia

  • BONELLI, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004
  • CALANDRA-BUONAURA, Gli atti estranei all'oggetto sociale, Torino, Tratt.delle soc. per azioni dir da Colombo-Portale, 1991
  • PUBUSA, Poteri di rappresentanza degli amministratori di spa e loro limiti ai sensi degli artt. 2384 e 2384bis c.c., Banca, borsa e titoli di credito, 1972
  • ZANELLI, La nozione di oggetto sociale, Milano, 1962

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