Fondamento della collazione



La messa a fuoco della ratio della collazione ha notevolmente affaticato gli interpreti. Si è così fatto riferimento al superiore interesse della famiglia nota1. Pur dovendosi infatti rammentare della possibilità che operi la dispensa di cui all'ultima parte del I comma dell'art. 737 cod. civ. (norma modificata in esito all'entrata in vigore della riforma della filiazione per effetto del d.lgs. 154/2013), la collazione apparirebbe ispirata alla tutela dei coeredi non donatari che, componenti della stessa famiglia, vengono alla successione. Secondo un'altra assai diffusa impostazione il fondamento dell'istituto dovrebbe essere ravvisato nella presunta volontà del defunto nota2. L'intento di quest'ultimo si presumerebbe orientato a conservare una situazione di parità tra i coeredi. Risulta tuttavia difficile giustificare l'operatività di una volontà semplicemente supposta. Come è stato osservato nota3 la legge avrebbe dovuto allora permettere di dare conto di una contraria volontà del disponente, anche ulteriore rispetto all'esplicitazione che si sostanzia nella dispensa dalla collazione.
In realtà il filo che conduce all'intento dell'ereditando appare assai tenue: molto più appropriato pare il riferimento alla legge come motore dell'obbligo per il coerede donatario di procedere alla collazione. La legge tenderebbe ad evitare disparità di trattamento tra gli eredi, ove questa non fosse giustificata, in senso contrario, da una precisa volontà del de cuius.

In questo senso potrebbe essere interpretata l’opinione di chi ha invocato il fondamento della collazione nel principio di eguaglianza fra i coeredi nota4. Secondo questa impostazione la reintegrazione dell'asse ereditario che si ottiene conferendo quanto donato permetterebbe di perequare le sorti dei coeredi, altrimenti sbilanciate per effetto delle liberalità donative poste in essere durante la vita dell'ereditando. Non è questo tuttavia il risultato della collazione: essa infatti opera indipendentemente dall'entità della quota del coerede. Il testatore ben potrebbe infatti istituire ciascuno degli eredi in quote disparitarie: ciò non pertanto essi sarebbero esonerati dalla collazione relativamente alle donazioni ricevute. In altri termini la collazione non presuppone (come invece potrebbe dirsi per l'accrescimento) e non si propone di attuare una parità quantitativa tra i coeredi nota5. E' la volontà dell'ereditando che, concretamente disponendo delle proprie sostanze con l'atto di ultima volontà, viene a determinare la porzione spettante a ciascuno degli eredi, in maniera del tutto indipendente dal modo di operare della collazione. Questo asserto è utile anche a meglio comprendere l'efficacia della dispensa, tema che sarà oggetto di separata disamina.

In definitiva, pur dovendo in una certa misura concordare con chi ha rilevato come appaia, alla luce della dimensione storica dell'istituto e delle variazioni normative che si sono succedute, semplice esercitazione accademica voler dar conto di una ratio univoca dell'istituto, da qualificare piuttosto come operazione predivisionale nota6, sembra da accogliere l'opinione di chi reputa che la collazione abbia quale fine quello di assegnare alle liberalità donative la funzione di lasciti anticipatori della futura eredità, mantenendo tra i discendenti e il coniuge dell'ereditando che vengano alla successione la proporzione determinata dal testamento o dalla legge nota7. Quando il disponente pone in essere una donazione sarebbe presuntivamente animato dall'intento di anticipare in tutto o in parte la propria eredità (beninteso, sulla scorta del presupposto che il donatario sia successivamente istituito erede). Poichè quanto donato vale come acconto della futura eredità è conforme a logica che, una volta apertasi la successione, esso debba venire conferito nella massa ereditaria secondo le regole stabilite dalla legge in relazione alla natura (mobile, immobile, denaro) del cespite. Le predette opinioni, in un certo senso, devono essere integrate quantomeno sotto il profilo della assorbente rilevanza dell'aspetto qualitativo della composizione dell'asse ereditario. Con la collazione infatti viene posto in primo piano l'obbligazione del coerede intesa al conferimento del bene specificamente già oggetto della liberalità, di modo che appare evidente come questo aspetto debba possedere una qualche rilevanza. E' ben vero che il coerede può liberarsi anche prestando denaro, ma all'esito di una precisa scelta in questo senso.
E' chiaro che la situazione generale dei lasciti non può che palesarsi in modo definitivo se non successivamente all'apertura della successione, quando ormai la volontà dell'ereditando si possa dire cristallizzata definitivamente, ben potendo la dispensa dalla collazione essere effettuata anche nel testamento. In questo modo il disponente ha la possibilità di stabilire fino all'ultimo momento se la donazione, che al tempo in cui era stata fatta, era astrattamente concepibile come anticipazione d'eredità, deve piuttosto essere ritenuta come lascito da non conferire nella massa (dispensa dalla collazione) quando non addirittura come lascito da computare sulla disponibile (dispensa dall'imputazione ex se: art. 564 cod.civ.). Per di più occorre ribadire che il beneficiario potrebbe pur sempre sottrarsi alla vincolatività del meccanismo della collazione facendo rinunzia all'eredità, determinando cioè l'inoperatività dell'istituto che per l'appunto postula la qualità ereditaria.

Note

nota1

Santoro Passarelli, Vocazione legale e vocazione testamentaria, in Riv. dir. civ., 1942, p. 196; Cicu, Successioni per causa di morte, Milano, 1958, p. 484; Nicolò, La vocazione ereditaria diretta ed indiretta, Messina, 1934, p. 149; Gazzara, voce Collazione, in Enc.dir., p. 335. Una variante di questa impostazione appare la tesi della comproprietà familiare. Tutti i componenti della famiglia vanterebbero una pari aspettativa di beneficiare delle componenti attive del patrimonio dell'ereditando(Coviello, Delle successioni. Parte generale, Napoli, 1935, p. 423; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1972, p. 425). In effetti tanto la teorica dell'interesse superiore della famiglia quanto quella della comunione familiare appaiono fare riferimento del tutto genericamente al fondamento "morale" ultimo dell'istituto, prescindendo dalla concretezza della sua dinamica che non può certo in tal modo essere spiegata. Per di più il concetto stesso di comunione o comproprietà familiare, di derivazione germanistica, non pare concretamente riferibile nel nostro ordinamento ad una realtà normativa specifica. Le riferite opinioni meritano tuttavia una certa attenzione, nella misura in cui sono in grado di influenzare la conclusione circa l'individuazione dei coeredi che traggono profitto dalla collazione. Se questi, pur tenuto conto del succinto modo di disporre dell'art.737 cod. civ. , vanno individuati nei medesimi soggetti che sono tenuti al relativo obbligo, è allora vero che la collazione è intesa a proteggere l'interesse della famiglia globalmente considerata.
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nota2

Polacco, Delle successioni, vol.II, Roma, 1929, p. 353; D'Onofrio, Della divisione, in Comm. cod. civ., a cura di D'Amelio-Finzi, Firenze, 1941, p. 686; Azzariti-Martinez, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1959, p. 598; De Ruggiero-Maroi, Istituzioni di diritto privato, vol. I, Milano-Messina, 1950, p. 417; Brunelli-Zappulli, Il libro delle successioni e donazioni, Milano, 1940, pag. 470.
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nota3

Burdese, La divisione ereditaria, in Tratt.dir.civ.it., diretto da Vassalli, vol.XII, Torino, 1982, p.270.
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nota4

Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1944, p.183; Casulli, voce Collazione delle donazioni, in N.mo Dig.it., p.453.
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nota5

E' stato significativamente fatto l'esempio (cfr. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2002, p.718) di Tizio, che, avendo donato al primo figlio Caio 300, abbia istituito eredi in parti disparitarie i due figli, lasciando 1/3 a Caio e 2/3 a figlio Sempronio in relazione ad una massa ereditaria di 900. Ebbene: il coerede che ha ricevuto la liberalità donativa (Caio) conseguirà una quota minore sia del relictum, sia del donatum , come tale soggetto a collazione. In definitiva a Caio andrà un valore di 400 relativamente ad una massa ereditaria di 1200 (formata da un relictum pari a 900 incrementato dal donatum pari a 300) mentre Sempronio conseguirà 800.
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nota6

Andrini, La collazione in Successioni e donazioni, a cura di Pietro Rescigno vol.II, Padova, 1994, p.138; Burdese, Nuove prospettive sul fondamento e la natura giuridica della collazione, in Riv.dir.civ., 1988, II, p.371.
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nota7

Forchielli-Angeloni, Della divisione (Artt.713-768), in Comm.cod.civ., a cura di Scialoja-Branca, libro II, Bologna-Roma, 1978, p.218; Cannizzo, Le successioni. Divisione, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di Cendon, Torino, 1999, p.162; Visalli, Nuove prospettive sul fondamento e sulla natura giuridica della collazione, in Riv.dir.civ., 1989, p.384. Cfr. anche Torrente, Manuale di diritto privato, Milano, 1985, p.1046 ove, più in particolare viene proposto l'esempio che segue. "Se... il testatore, che aveva due figli, ha lasciato un patrimonio di 10 e al figlio A ha donato in vita 2, mentre per testamento ha disposto che ad A spetta 1/3 e a B i 2/3 del patrimonio ereditario, occorre aggiungere a ciò che è stato lasciato al momento della morte ( relictum ) ciò che è stato donato ( donatum ) (10 + 2 = 12): dopo di che si procede alla determinazione delle porzioni (ad A 1/3 di 12 e, cioè, 4; a B i 2/3 e, cioè, 8). Se ne inferisce che la "funzione della collazione consiste nel mantenere tra i discendenti e il coniuge del de cuius chiamati a succedergli la proporzione stabilita nel testamento o nella legge."


Bibliografia

  • ANDRINI, La collazione, Padova, Successioni e donazioni, II, 1994
  • BARASSI, Le successioni per causa di morte, Milano, 1947
  • BRUNELLI-ZAPPULLI, Il libro delle successioni e donazioni, Comm. nuovo cod.civ, 1956
  • BURDESE, La divisione ereditaria, Torino, vol. XX, 1980
  • BURDESE, Nuove prospettive sul fondamento e la natura giuridica della collazione, Riv.dir.civ, II, 1988
  • CANNIZZO, Le successioni. Divisione, Torino, Il dir.priv. nellla giurisprudenza, 1999
  • CASULLI, Collazione delle donazioni, N.mo Dig.it.
  • DE RUGGIERO-MAROI, Istituzioni di diritto privato, Milano, I, 1950
  • D'ONOFRIO, Della divisione, Firenze, Comm.cod.civ, 1941
  • GAZZARA, Collazione, Enc. dir.
  • MESSINEO, Manuale di diritto commerciale, Milano, III, 1959
  • NICOLO', La vocazione ereditaria diretta ed indiretta, Messina, 1934
  • POLACCO, Delle successioni, Roma, II, 1929
  • SANTORO PASSARELLI, Vocazione legale e vocazione testamentaria, Riv.dir.civ., 1942
  • VISALLI, Nuove prospettive sul fondamento e sulla natura giuridica della collazione, Riv.dir.civ., 1989

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