Dispensa dalla collazione: nozione e causa


L'art. 737 cod. civ. prevede al II comma la possibilità che il disponente dispensi taluno dei coeredi dalla collazione, vale a dire dall'operazione consistente nel conferimento di quanto ricevuto a titolo di liberalità donativa in un'unica massa ai fini della distribuzione dell'attivo tra i coeredi stessi. La dispensa dalla collazione è, più precisamente, il negozio giuridico unilaterale per il cui tramite il disponente esonera il donatario dall'obbligo di conferire ai coeredi ciò che ha ricevuto dal defunto per donazione nota1.

Ai sensi del predetto II comma dell'art. 737 cod. civ. una siffatta dispensa non produce effetto, se non nei limiti della quota disponibile: la norma, potenzialmente ambigua per quanto sarà detto a proposito della differenza tra dispensa dalla collazione e dispensa dall'imputazione ex se (III comma art 564 cod. civ. ), significa in realtà semplicemente che la porzione legittima, la quota riservata agli (altri) legittimari, è intangibile (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 13660/2017). Il tema è dunque estraneo rispetto a quello della riunione fittizia di cui all'art.556 cod. civ. (Cass. Civ., Sez. II, ord. n. 15613 del 16 maggio 2022).

Dal momento che la dispensa dalla collazione non determina un incremento quantitativo della disposizione a favore del coerede, bensì una semplice agevolazione qualitativa, viene negato il carattere autonomo di essa nota2. Secondo l'opinione prevalente in giurisprudenza, la dispensa costituirebbe dunque una clausola accessoria (Cass. Civ. Sez. II, 2752/84 ), un mero rafforzamento di una liberalità considerata principale (che, tra l'altro, non si estenderebbe ai miglioramenti ed alle addizioni effettuate dal de cuius con denari propri successivamente alla donazione con la quale se ne era precedentemente spogliato: cfr. Cass. Civ. Sez. II, 4381/82). In questo senso la dispensa dalla collazione viene ritenuta una liberalità supplementare, simile al legato liberatorio (con il quale il legatario viene liberato da un'obbligazione che lo vincolava): il donatario dispensato viene esonerato dall'obbligazione ex lege di conferire la liberalità (per imputazione ovvero in natura)nota3.

E' stato osservato che colui che dona un bene dispensando il donatario dalla (futura) collazione non intende fare una duplice liberalità, vuole semplicemente che il bene donato sia attribuito in via definitiva al donatario, in modo tale che costui non sia tenuto a effettuarne né il conferimento in natura né per il tramite dell'imputazione mediante esborso di una somma di denaro pari al valore di esso. La donazione con dispensa sarebbe pertanto unitaria (come la donazione modale).

Nonostante la serietà delle argomentazioni esposte sembra tuttavia preferibile la tesi contraria, autorevolmente sostenuta in dottrinanota4, in base alla quale la dispensa deve essere considerata, come anzidetto, un atto negoziale unilaterale autonomo, ancorché connotato da un collegamento negoziale con la liberalità principale contenuta nella donazione. Il paragone con la donazione modale prova proprio il contrario di quanto dovrebbe suggerire: l'onere può infatti essere qualificato, secondo le più recenti e condivisibili indicazioni della dottrina, come disposizione autonoma.

La conferma della natura di negozio autonomo della dispensa si può trarre dalla disamina dell'elemento causale di essa. La dispensa dalla collazione si differenzia innegabilmente dalla donazione. Quest'ultima è una liberalità inter vivos, la prima invece concreta una disposizione mortis causa : il disponente viene infatti a disciplinare una vicenda che ha a che fare con l'attribuzione e la distribuzione delle attività non già come facenti parte del suo patrimonio attuale, bensì come appartenenti all'asse ereditario per il tempo in cui avrà cessato di vivere nota5.

Quanto all'unilateralità, prescindendo dall'esame della possibilità di porre in essere una dispensa in forza di autonomo atto inter vivos unilaterale, aspetto che verrà analizzato specificamente in relazione alla forma della dispensa, giova osservare che il tenore letterale dell'art. 737 cod. civ. è tale da autorizzare il parere secondo il quale, ai fini dell'operatività della dispensa, non è richiesta l'accettazione del donatario nota6. La legge parla infatti soltanto della dichiarazione di dispensa, configurandola come espressione di una volontà unilaterale; il problema non si pone neppure quando infine la dispensa è contenuta in un testamento, la cui struttura risulta necessariamente unipersonale.

Note

nota1

Bianca, Diritto civile, vol.II, Milano, 1985, p.651.
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nota2

Così Casulli, voce Collazione delle donazioni, in N.sso Dig.it., vol.III, 1959, p.462, a giudizio del quale si tratterebbe di una mera modalità della donazione. Contra Ziccardi, Le norme interpretative speciali, Milano, 1972, p. 139 nonché Cariota-Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1977, p. 687, per i quali la possibilità di una materiale separazione confermerebbe piuttosto la natura di negozio autonomo.
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nota3

Sostengono questa tesi, ritenendo che la dispensa costituisca una clausola accessoria, Tamburrino, Osservazioni sulla natura della dispensa dalla collazione, in Raccolta di scritti in onore di A.C. Jemolo, vol. II, Milano, 1963, p. 767 e Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1966, p. 611.
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nota4

Andrini, La dispensa dalla collazione e dall'imputazione, in Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, vol.II, Padova, 1994, p. 140; Forchielli, La collazione, Padova, 1958, p. 265 e De Michel, Il fondamento della collazione e la dispensa di cui all'art.737 c.c., in Giur.it., 1996, vol. I, p. 273, che sottolinea il collegamento esistente tra la dispensa e la donazione principale.
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nota5

Si ritiene cioè che, pur dovendo riconoscere sussistenti le caratteristiche proprie degli atti a struttura ed efficacia inter vivos, la dispensa "ha indubbiamente natura di negozio giuridico mortis causa, essendo finalizzato a regolare la successione del donante": così De Michel, cit., p. 273;
analogamente Capozzi, Successioni e donazioni, t.2, Milano, 1982, p. 742.
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nota6

Così Forchielli, voce Collazione, in Enc. Giur. Treccani, vol.VI, 1988, p. 4. La struttura soggettiva del negozio di dispensa non può non essere unilaterale. Quando fosse contenuta in una donazione essa varrebbe a qualificare il veicolo formale dell'atto come ospitante due distinti negozi collegati ciascuno qualificato da una distinta natura giuridica. La liberalità donativa possiederebbe natura contrattuale necessariamente bilaterale, la dispensa invece darebbe vita ad un negozio unilaterale mortis causa. Inutile si paleserebbe pertanto l'accettazione che il donatario facesse in relazione al beneficio di cui alla dispensa.
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Bibliografia

  • ANDRINI, La dispensa dalla collazione e dall'imputazione, Padova, Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, II, 1994
  • BIANCA, Diritto civile, Milano, III, 1985
  • CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, II, 1982
  • CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte, Parte generale, Napoli, 1977
  • CASULLI, Collazione delle donazioni, N.mo Dig.it.
  • DE MICHEL, Il fondamento della collazione e la dispensa, Giur.It., 1996
  • FORCHIELLI, Collazione, Enc. giur. Treccani
  • FORCHIELLI, La collazione, Padova, 1958
  • TAMBURRINO, Osservazioni sulla natura della dispensa dalla collazione, Milano, Raccolta di scritti in onore di A.C. Jemolo, II, 1963
  • ZICCARDI, Le norme interpretative speciali, Milano, 1972

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