Dalla cosiddetta legge ponte alla legge sulla casa



L'incremento dell'attività edificatoria in esito alla crescita economica degli anni '60 ben presto rese evidente l'indispensabilità di adottare una normativa adeguata alle esigenze dei tempi. Da un lato occorreva rendere più celere l'adozione degli strumenti urbanistici, dall'altro assicurare la pratica attuazione delle prescrizioni in essi contenute, tutelando il territorio e le scelte urbanistiche degli enti territoriali.

L'approvazione della Legge 6 agosto 1967 n. 765, denominata legge ponte poichè avrebbe dovuto servire quasi come un ponte per collegare la vecchia normativa con quella di riforma del sistema urbanistico, era funzionale al superamento delle difficoltà di formazione dei piani particolareggiati. La dimostrazione di completa copertura finanziaria delle opere previste venne sostituita da una semplice relazione di previsione di spesa. Venne inoltre conferita ai comuni la possibilità di creare vincoli di inedificabilità, per 10 anni, nelle zone destinate ad attrezzature. Parallelamente si introdusse la previsione necessaria di standards minimi di servizi e la fissazione di norme di salvaguardia per il territorio non pianificato. In difetto di adozione di un piano urbanistico generale la legge prevedeva limiti tassativi all'attività edilizia.

Le procedure di approvazione dei piani urbanistici registrarono una semplificazione, prevedendosi la fissazione di termini perentori e di poteri sostitutivi nei casi di inadempienza degli organi comunali. Tra i punti qualificanti possiamo ricordare:
  1. l'introduzione del piano di lottizzazione convezionato in alternativa al piano particolareggiato di attuazione al fine di dare concreta esecuzione del piano regolatore generale;
  2. la previsione dell'obbligo di munirsi preventivamente della licenza edilizia al fine di dar corso a qualsiasi costruzione da effettuarsi in ogni parte del territorio comunale (non solo, come per l'innanzi, nell'ambito del centro abitato);
  3. la previsione della facoltà per tutti i cittadini della possibilità di opporsi al rilascio di licenze edilizie contrastanti con prescrizioni di legge e regolamenti La legge ponte contemplava un termine di un anno di moratoria. Ciò venne di fatto a sortire effetti opposti rispetto a quelli che ci si proponeva, affrettando l'azione dell'abusivismo speculativo.

Nel frattempo venne in considerazione la questione dei vincoli di inedificabilità previsti dalla legge urbanistica in relazione alle aree da adibirsi a standards. La Corte Costituzionale, con sentenza 55/68 , dichiarò costituzionalmente illegittimi, alla stregua degli artt. 3 e 42 della Costituzione, gli artt.7 e 40 della Legge 1150/42, nella parte in cui non prevedevano un indennizzo per l' imposizione, a tempo indeterminato, di vincoli di inedificabilità assoluta per le aree destinate a servizi pubblici.

Si trattava infatti di aree di proprietà privata, che, stante il vincolo, non potevano essere utilizzate dal proprietario. Grave era che l'ente locale, il quale pure avrebbe dovuto acquisirle allo scopo di soddisfare le programmate esigenze di realizzazione dei servizi, a tanto non provvedeva (per lo più per motivi economici, non disponendo delle risorse necessarie per provvedere all'erogazione dell'indennizzo espropriativo).

A questa situazione di fatto conseguiva l'indeterminatezza temporale del vincolo, pur in difetto di indennizzo: ciò che per l'appunto la Corte ritenne costituzionalmente illegittimo.Per questi motivi venne emanata la Legge 19 novembre 1968, n. 1187 , in forza della quale venne previsto che i vincoli in parola avrebbero perduto efficacia nel caso in cui, decorsi cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale, le amministrazioni comunali non avessero approvato i susseguenti piani particolareggiati o non avessero autorizzato piani di lottizzazione convenzionati.

Decorsi i cinque anni previsti dalla Legge 1187/68 , tuttavia le condizioni erano rimaste identiche.Venne emanata conseguentemente una proroga ulteriore del regime vincolistico, per il tramite della Legge 30 novembre 1973, n. 756 (per questo motivo denominata icasticamente legge-tampone ) avente durata biennale.

In tale occasione il Governo assunse l'impegno di promuovere l'emanazione di una legge-quadro in base alla quale consentire alle regioni di esprimere la propria potestà normativa in materia. Giunti al termine di scadenza della proroga alla fine del mese di novembre del 1975 senza che fosse stato approntato alcun provvedimento idoneo a risolvere il problema, si poneva il gravissimo rischio di mettere gli enti locali di fronte ad un bivio: indennizzare i proprietari di aree vincolate oppure rendere disponibili le aree già vincolate a fini edificatori.Per questo motivo, con il D.l. 29 novembre 1975, n. 562 , convertito nella Legge 22 dicembre 1975, n. 696 , venne approvato un nuovo provvedimento avente funzione di ulteriore "tampone", contenente una nuova proroga dei vincoli fino al 31 dicembre 1976, senza prevedere alcunchè in tema di indennizzo.Un'ulteriore proroga, fino al 31 gennaio 1977, venne stabilita col D.l. 26 novembre 1976, n. 781 convertito nella Legge 24 gennaio 1977, n. 6 .

Si ritenne di aver risolto il problema con la emanazione della c.d. legge Bucalossi (Legge 28 gennaio 1977, n.10 ), la quale, sulla base dello scorporo dello jus aedificandi rispetto al diritto di proprietà, avrebbe consentito il superamento delle problematiche afferenti ai vincoli di inedificabilità e consentito, nelle intenzioni del legislatore, una più efficace tutela del territorio.

La Corte Costituzionale, con sentenza 5/80 , venne a dichiarare, come vedremo partitamente, l'illegittimità costituzionale del sistema di determinazione degli indennizzi di esproprio previsto dalla Legge 22 ottobre 1971, n. 865 (c.d. legge sulla casa ) e dalla Legge 28 gennaio 1977, n. 10 , riaffermando la permanenza delle facoltà di edificare nell'ambito del contenuto essenziale del diritto di proprietà.

Occorre da ultimo esaminare l'ulteriore legislazione finalizzata a consentire l'edificazione di alloggi pubblici. La Legge 22 ottobre 1971, n. 865, cosiddetta "legge di riforma della casa", previde una serie di prescrizioni volte ad agevolare la costruzione di alloggi di edilizia popolare.

Da un lato l'edificazione di alloggi popolari, ad opera delle imprese e cooperative, venne subordinata alla stipulazione di un'apposita convenzione con l'ente locale volta a disciplinare, oltre al pagamento della concessione del diritto di superficie ed alle prescrizioni volte a consentire la realizzazione delle opere di urbanizzazione, i criteri per la determinazione del prezzo di cessione degli alloggi e quelli atti a consentire la revisione periodica dei canoni di locazione (cfr. l'art.35 l.cit.). Dall'altro lato si diede la possibilità di addivenire all' espropriazione dei suoli nell'ambito dei c.d. "piani di zona", limitando l'indennizzo al mero prezzo pari al valore agricolo degli stessi.

E' di tutta evidenza l'importanza di tale prescrizione, venendosi a porre un criterio radicalmente diverso da quello corrispondente al valore venale o a correttivi come la semisomma tra esso ed i fitti coacervati dell'ultimo decennio, anteriormente utilizzati.

La legge sulla casa venne seguita dal trasferimento alle Regioni a Statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale ad opera del D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 . Venne anche trasferita la competenza relativa alla formazione ed all'approvazione del piano paesistico previsto all'articolo 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, già abrogata dall'art. 166 D. Lgs. 490/99 , successivamente sostituito dal Codice dei beni culturali di cui al D. Lgs. 42/04 . Questa attività viene attualmente spesso subdelegata dalla Regione al Comune (con l'eccezione del caso in cui vi siano vincoli relativi a parchi il cui territorio si estende oltre il Comune interessato).

Permane la competenza dello Stato relativamente alla funzione di indirizzo e di coordinamento delle attività regionali, per la salvaguardia di esigenze di carattere unitario.Il D.P.R. n. 8 del 1972 , infatti, ha riservato agli organi statali l'identificazione delle "linee fondamentali dell'assetto del territorio".

Anche il D.P.R. 27 luglio 1977, n. 616 , norma cardine ai fini della concreta attuazione dell'ordinamento regionale, ha ribadito questo principio con particolare riferimento all'articolazione degli interventi di interesse statale e alla tutela ambientale ed ecologica del territorio, nonché alla difesa del suolo.

Prassi collegate

  • Studio n. 55-2009/T, Agevolazioni fiscali per piani di recupero, piani per gli insediamenti produttivi e piani per l'edilizia economica popolare
  • Quesito n. 38-2008/C, Questioni in tema di convenzioni su piano di zona
  • Quesito n. 267-2008/T, Agevolazioni per piani particolareggiati
  • Quesito n. 245-2007/T, In tema di cessione da parte di un Comune di area industriale
  • Risoluzione N. 333/E, Cessione alloggi ATER, imposte di registro, ipotecaria e catastale
  • Quesito n. 279-2007/C, Edilizia residenziale pubblica convenzionata
  • Quesito n. 575-2007/C, Edilizia residenziale pubblica, convenzione in piano di zona e valenza degli obblighi ivi previsti
  • Quesito n. 146-2007/C, Immobile su aera PEEP e limiti di godimento decennali e ventennali contenuti nella convenzione
  • Quesito n. 6046/C, Autodichiarazione errata di costruzione ante '67 e art. 28 legge notarile


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