Corte cost. del 2014 numero 162 (09/04/2014)



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6.– Posta questa premessa, opportuna al fine della contestualizzazione del divieto in esame, occorre constatare che esso, impedendo alla coppia destinataria della legge n. 40 del 2004, ma assolutamente sterile o infertile, di utilizzare la tecnica di PMA eterologa, è privo di adeguato fondamento costituzionale.
Deve anzitutto essere ribadito che la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango (sentenza n. 332 del 2000). La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera. In tal senso va ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha sottolineato come la legge n. 40 del 2004 sia appunto preordinata alla «tutela delle esigenze di procreazione», da contemperare con ulteriori valori costituzionali, senza peraltro che sia stata riconosciuta a nessuno di essi una tutela assoluta, imponendosi un ragionevole bilanciamento tra gli stessi (sentenza n. 151 del 2009).
Va anche osservato che la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli (come è deducibile dalle sentenze n. 189 del 1991 e n. 123 del 1990). Nondimeno, il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, è favorevolmente considerata dall’ordinamento giuridico, in applicazione di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione. La considerazione che quest’ultimo mira prevalentemente a garantire una famiglia ai minori (come affermato da questa Corte sin dalla sentenza n. 11 del 1981) rende, comunque, evidente che il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa.
La libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia, nel senso sopra precisato, di sicuro non implica che la libertà in esame possa esplicarsi senza limiti. Tuttavia, questi limiti, anche se ispirati da considerazioni e convincimenti di ordine etico, pur meritevoli di attenzione in un ambito così delicato, non possono consistere in un divieto assoluto, come già sottolineato, a meno che lo stesso non sia l’unico mezzo per tutelare altri interessi di rango costituzionale.

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7.– La disciplina in esame incide, inoltre, sul diritto alla salute, che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, va inteso «nel significato, proprio dell’art. 32 Cost., comprensivo anche della salute pischica oltre che fisica» (sentenza n. 251 del 2008; analogamente, sentenze n. 113 del 2004; n. 253 del 2003) e «la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica» (sentenza n. 167 del 1999). Peraltro, questa nozione corrisponde a quella sancita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale «Il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano» (Atto di costituzione dell’OMS, firmato a New York il 22 luglio 1946).
In relazione a questo profilo, non sono dirimenti le differenze tra PMA di tipo omologo ed eterologo, benché soltanto la prima renda possibile la nascita di un figlio geneticamente riconducibile ad entrambi i componenti della coppia. Anche tenendo conto delle diversità che caratterizzano dette tecniche, è, infatti, certo che l’impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo, possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia, nell’accezione che al relativo diritto deve essere data, secondo quanto sopra esposto.
In coerenza con questa nozione di diritto alla salute, deve essere, quindi, ribadito che, «per giurisprudenza costante, gli atti dispositivi del proprio corpo, quando rivolti alla tutela della salute, devono ritenersi leciti» (sentenza n. 161 del 1985), sempre che non siano lesi altri interessi costituzionali.
Nel caso di patologie produttive di una disabilità – nozione che, per evidenti ragioni solidaristiche, va accolta in un’ampia accezione – la discrezionalità spettante al legislatore ordinario nell’individuare le misure a tutela di quanti ne sono affetti incontra, inoltre, il limite del «rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati» (sentenze n. 80 del 2010, n. 251 del 2008). Un intervento sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, non può nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore, ma deve tenere conto anche degli indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi a ciò deputati (sentenza n. 8 del 2011), anche in riferimento all’accertamento dell’esistenza di una lesione del diritto alla salute psichica ed alla idoneità e strumentalità di una determinata tecnica a garantirne la tutela nei termini nei quali essa si impone alla luce della nozione sopra posta. Pertanto, va ribadito che, «in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali» (sentenza n. 151 del 2009), fermo restando il potere del legislatore di intervenire in modo conforme ai precetti costituzionali. Non si tratta di soggettivizzare la nozione di salute, né di assecondare il desiderio di autocompiacimento dei componenti di una coppia, piegando la tecnica a fini consumistici, bensì di tenere conto che la nozione di patologia, anche psichica, la sua incidenza sul diritto alla salute e l’esistenza di pratiche terapeutiche idonee a tutelarlo vanno accertate alla luce delle valutazioni riservate alla scienza medica, ferma la necessità di verificare che la relativa scelta non si ponga in contrasto con interessi di pari rango.

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13.– Il censurato divieto, nella sua assolutezza, è pertanto il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di razionalità dell’ordinamento, non giustificabile neppure richiamando l’esigenza di intervenire con norme primarie o secondarie per stabilire alcuni profili della disciplina della PMA di tipo eterologo.
A tal proposito, va ricordato che la giurisprudenza costituzionale «ha desunto dall’art. 3 Cost. un canone di “razionalità” della legge svincolato da una normativa di raffronto, rintracciato nell’“esigenza di conformità dell’ordinamento a valori di giustizia e di equità” […] ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, che costituisce un presidio contro l’eventuale manifesta irrazionalità o iniquità delle conseguenze della stessa» (sentenza n. 87 del 2012). Lo scrutinio di ragionevolezza, in ambiti connotati da un’ampia discrezionalità legislativa, impone, inoltre, a questa Corte di verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). A questo scopo può essere utilizzato il test di proporzionalità, insieme con quello di ragionevolezza, che «richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi» (sentenza n. 1 del 2014).
In applicazione di tali principi, alla luce del dichiarato scopo della legge n. 40 del 2004 «di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana» (art. 1, comma 1), la preclusione assoluta di accesso alla PMA di tipo eterologo introduce un evidente elemento di irrazionalità, poiché la negazione assoluta del diritto a realizzare la genitorialità, alla formazione della famiglia con figli, con incidenza sul diritto alla salute, nei termini sopra esposti, è stabilita in danno delle coppie affette dalle patologie più gravi, in contrasto con la ratio legis. Non rileva che le situazioni in comparazione non sono completamente assimilabili, sia perché ciò è ininfluente in relazione al canone di razionalità della norma, sia perché «il principio di cui all’art. 3 Cost. è violato non solo quando i trattamenti messi a confronto sono formalmente contraddittori in ragione dell’identità delle fattispecie, ma anche quando la differenza di trattamento è irrazionale secondo le regole del discorso pratico, in quanto le rispettive fattispecie, pur diverse, sono ragionevolmente analoghe» (sentenza n. 1009 del 1988), come appunto nel caso in esame.
Il divieto in esame cagiona, in definitiva, una lesione della libertà fondamentale della coppia destinataria della legge n. 40 del 2004 di formare una famiglia con dei figli, senza che la sua assolutezza sia giustificata dalle esigenze di tutela del nato, le quali, in virtù di quanto sopra rilevato in ordine ad alcuni dei più importanti profili della situazione giuridica dello stesso, già desumibile dalle norme vigenti, devono ritenersi congruamente garantite.
La regolamentazione degli effetti della PMA di tipo eterologo praticata al di fuori del nostro Paese, benché sia correttamente ispirata allo scopo di offrire la dovuta tutela al nato, pone, infine, in evidenza un ulteriore elemento di irrazionalità della censurata disciplina. Questa realizza, infatti, un ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri Paesi. Ed è questo non un mero inconveniente di fatto, bensì il diretto effetto delle disposizioni in esame, conseguente ad un bilanciamento degli interessi manifestamente irragionevole. In definitiva, le norme censurate, pur nell’obiettivo di assicurare tutela ad un valore di rango costituzionale, stabiliscono una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, giungendo a realizzare una palese ed irreversibile lesione di alcuni di essi, in violazione dei parametri costituzionali sopra richiamati.

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P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui stabilisce per la coppia di cui all’art. 5, comma 1, della medesima legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge n. 40 del 2004, limitatamente alle parole «in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3»;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, della legge n. 40 del 2004, limitatamente alle parole «in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3»;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, della legge n. 40 del 2004.

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