Contributi in denaro a carico dei soci nella società consortile per azioni


Massima

È legittima la clausola dello statuto di una società consortile per azioni che preveda che i soci siano tenuti ad effettuare contributi in denaro in favore della società, in presenza di perdite e nella misura complessiva necessaria a ripianare le stesse, purché la clausola indichi le modalità ed i criteri della determinazione degli apporti.

Motivazione

1. Il contributo in denaro come "soluzione tipicamente consortile"

L’art. 2615ter, secondo comma cod. civ. dispone che per espressa clausola statutaria i soci di una società consortile possono essere obbligati a versare contributi in denaro. Tale previsione, nell’ambito dell’art. 2615ter che ammette il perseguimento dello scopo consortile attraverso l’impiego della forma societaria, ha suggerito implicitamente ad alcuni interpreti una soluzione in via generale al problema della disciplina applicabile ai consorzi in tale forma costituiti.

È stato, infatti, da più parti osservato che la deroga esplicita - in quella sede - al principio generale della inammissibilità dell’obbligo di versare denaro ulteriore rispetto al conferimento, conduce ad escludere l’applicazione di norme consortili ad ogni altra diversa ipotesi ed a concludere che le società consortili sono disciplinate dal diritto societario e non dalle norme sul consorzio nota1.Non si può peraltro evitare di considerare nell’ambito di un qualsivoglia studio dedicato alla società consortile che lo scopo tipico del contratto di consorzio - la realizzazione di vantaggi patrimoniali direttamente nelle economie dei singoliconsorziati tramite la riduzione dei costi o l’aumento dei ricavi – diviene oggetto dellasocietà ai sensi dello stesso art. 2615ter per richiamo dell’art. 2602 cod. civ. nota2.

Conseguentemente, si confrontano nello stesso fenomeno scopo e forma organizzativa di derivazione tipologico-contrattuale diversa.
Tale peculiare circostanza informa l’analisi dei problemi che si presentano all’interprete, ben oltre la approssimativa deduzione, sopra indicata, della applicabilità alla società consortile della sola disciplina societaria. Non solo: l’applicazione pratica dell’opzione offerta dall’art. 2615ter cod. civ. è di gran lunga più complessa di quanto non traspare dal testo della norma. Questa, infatti,ammette in astratto una estensione massima, fino alla portata di un principio di responsabilità illimitata dei soci consorziati.

In proposito, se da una parte il legislatore, nel secondo comma dell’art. 2615ter cod. civ., ha suggerito un adattamento della disciplina allo scopo disponendo una “soluzione tipicamente consortile”, dall’altra, l’interazione fra la struttura formale societaria e la specifica causa rende aperto il problema circa la legittimità di clausole statutarie di una s.p.a. consortile che, in deroga alla relativa disciplina legale, tendano a conformare l’organizzazione della stessa allo scopo del consorzio. L’analisi, d’altra parte, non può essere limitata alle norme derogabili per volontà dei contraenti. Di fronte all’accoppiamento tra organizzazione societaria e scopo consortile, perfino norme di portata imperativa con riferimento alle società lucrativepotrebbero regredire al rango di norme dispositive laddove lo scopo perseguito sia di tipo consortile nota3.

Così, il secondo comma dell’art. 2615ter cod. civ. anziché presentare l’unica ipotesi ammissibile di deroga a principi della disciplina societaria, aprirebbe un panorama di possibili deviazioni convenzionali rispetto alle regole societarie. Si affaccia allora, più in generale, il problema dei limiti della autonomia privata in ordine alle clausole che adattano la disciplina della società alla causa consortile nota4.

Anche con riferimento alla ammissibile previsione statutaria dell’obbligo di versare contributi in denaro, fattispecie peraltro non disciplinata in dettaglio dalla norma del codice, si pone il problema di definire i confini della libertà dispositiva.

Se è vero, infatti, che la scelta di gravare i singoli soci dell’obbligo di effettuare versamenti in denaro è legittima per espressa previsione legislativa, viene da domandarsi quale sia la risposta in relazione a clausole che più esplicitamente associno il contributo in denaro a carico dei soci alle perdite prodotte dalla società, nonché alla misura di queste. Se la scelta di imporre per statuto ai soci il versamento di denaro anche in corso di attività possa considerarsi altrettanto legittima qualora configuri, dunque, una responsabilità per le perdite della gestione sociale. Come debba essere letta la clausola in relazione al principio della limitazione della responsabilità nella società per azioni nota5.

Quali correttivi eventualmente debbano essere previsti per la tutela degli interessi coinvolti.

Si tratta di un caso esemplare per la riflessione in punto di scelta della normativa applicabile: quella che si desume dalla presenza di una struttura organizzativa di s.p.a., o quella che si ricava dallo scopo-oggetto della società?

2. Le ragioni di una disciplina speciale per le società consortili e il fondamento dell’art. 2615ter cod. civ.

E’ stato già evidenziato che con il consorzio le imprese contraenti perseguono lo scopo di ottenere un vantaggio economico che si produca direttamente nelle rispettive attività imprenditoriali, aggregando in un centro operativo una o più fasi di tali attività.

Si crea così una correlazione necessaria fra le attività svolte dalle imprese consorziate e il cosiddetto nodo, dalla quale non si può prescindere nell’affrontare i problemi di disciplina. Le imprese consorziate affidano alla gestione della società una fase dell’attività, che altrimenti dovrebbero svolgere in house. Non possono evidentemente prescindere da tale fase e dai servizi che pervengono loro dal consorzio nel corso della relativa attività.

Se la società-consorzio svolge un’attività allo scopo di destinare determinati servizi alle imprese consorziate, le prestazioni dalla stessa devolute ai soci-imprenditori sono il risultato della organizzazione sociale, ma soprattutto sono influenzate dalle condizioni di mercato nelle quali la società consortile opera nota6.

Ciò significa che stabilire preventivamente il costo di tali servizi – nel momento della stipula dello statuto della società consortile – sarebbe pressoché impossibile e perfino inutile.

Altrettanto inutile sarebbe allora prevedere ab initio l’entità dei contributi che periodicamente o straordinariamente la società richiami, ciò che è espressamente ammesso dalla legge proprio in ragione delle peculiarità dell’attività consortile e del legame fra questa e le attività delle singole imprese in termini mutualistici.

Ciò rende il contratto, che essendo di durata è già esposto al mutamento delle condizioni di mercato, particolarmente vulnerabile al tempo e richiede una spiccata flessibilità proprio in merito ai costi di gestione dell’attività consortile in rapporto ai servizi che il consorzio è tenuto ad offrire ai soci. Come sul mercato mutafisiologicamente il prezzo dei prodotti di un’impresa in considerazione dell’aumento dei costi di gestione e produzione, anche all’interno della società consortile, nel rapporto fra questa e i singoli soci, muta fisiologicamente il prezzo dei servizi.

Tale circostanza può essere gestita di volta in volta, chiedendo ai soci il pagamento del prezzo - naturalmente ridotto rispetto a ciò che riuscirebbero a reperire sul mercato, ché altrimenti non vi sarebbe vantaggio mutualistico - oppure attivando l’obbligo statutario di versare in corso di attività contributi in denaro.

Una gestione non prudente in merito ai costi delle prestazioni può far risultare un disavanzo di esercizio nota7.

Quanto premesso dovrebbe risultare sufficiente per comprendere che la natura del fenomeno consortile insieme alla causa del relativo contratto, impongono una spiccata flessibilità nella raccolta dei fondi necessari per lo svolgimento dell’impresa sociale consortile, che è poi quanto corrisponde alla ratio dell’art. 2615ter cod. civ., secondo comma.

Il versamento dei contributi, dunque, è funzionale, nel caso appena descritto, alla copertura dei costi di gestione. Così inteso, oltre a non contrastare con l’esigenza di stabilità del rapporto consortile, è ad essa funzionale: la revisione nel tempo delle prestazioni dei soci favorisce, infatti, la longevità del rapporto ben più di quanto potrebbe un vincolo di contribuzione rigidamente determinato, che rischierebbe di divenire poco aderente alla gestione dell’attività comune ed ai bisogni, dunque, delle imprese consorziate.

Dalla premessa che l’impresa consortile “quando vige il principio della mutualità pura non è autonomamente produttiva di un reddito” non può che desumersi la ragione della previsione statutaria per la quale i soci, effettuando contributi in denaro ai sensi del secondo comma dell’art. 2615ter cod. civ., provvedano periodicamente a coprire i costi di gestione nota8.

3. Il confine della autonomia privata

Dovrebbe a questo punto essere più chiaro il fondamento dell’ampliamento della libertà di regolare il rapporto societario, ma anche la necessità di un ripensamento sulla tenuta della inderogabilità di alcune disposizioni in materia di società nell’ambito delle organizzazioni societarie che servono lo scopo consortile.

Con particolare riferimento alla clausola in commento, occorre suggerire, alla stregua di quanto osservato nel paragrafo precedente, un giudizio positivo sulla legittimità della stessa anche nella parte in cui prevede che i contributi siano forniti dai soci in presenza di perdite e nella misura complessiva necessaria a ripianare le stesse, con il correttivo di cui appresso nota9.

I dubbi sorgono in relazione al fatto che la clausola indichi nelle perdite della società e nell’importo necessario a ripianarle, la misura di riferimento dei contributi in denaro. Si teme, in proposito, la violazione del principio della limitazione della responsabilità da parte di una clausola che preveda versamenti dei soci funzionali alla copertura del disavanzo di gestione nota10.

Tuttavia, tali dubbi sono superabili proprio in un’ottica consortile che trova nella mutualità pura il suo fondamento: anziché porsi tout court come responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, rispetto a quanto inizialmente conferito dai soci, il contributo in denaro in corso di rapporto che configuri la prestazione a copertura del vantaggio a favore degli stessi soci destinato, è legittimo ai sensi dell’art. 2615ter cod. civ..

Ciò rappresenta, peraltro, anche il limite della legittimità della clausola. Giustifica la necessità di individuare una disciplina applicabile al caso in cui i versamenti dei soci ulteriori rispetto ai conferimenti iniziali siano commisurati alle perdite della società, proprio per evitare che dal fenomeno della riscossione in corso di rapporto di contributi necessari per lo svolgimento dell’attività consortile a vantaggio diretto dei soci, si versi nella richiesta di denaro che serva per coprire perdite derivanti da qualsiasi altra causa.

Ciò spiega anche che la legittimità di una clausola che, anziché limitarsi a prevedere l’obbligo per i soci di effettuare ulteriori apporti in denaro (che rappresenta una soluzione tipicamente consortile al problema di determinare il prezzo delle prestazioni destinate ai soci), riferisca genericamente alle perdite di gestione la misura dei contributi, debba determinare le modalità di quantificazione dei suddetti apporti e la ragione specifica del relativo ammontare.

La previsione delle modalità di determinazione dei contributi in base alle quali sia possibile ricostruire la provenienza delle suddette perdite è garanzia di tutela dell’interesse ad una limitata responsabilità per le obbligazioni sociali. E’ materia, questa, se non di statuto, di regolamento interno che potrà essere eventualmente essere sottoposto alla approvazione dell’assemblea generale dei soci da parte degli amministratori della società.

La ragione della necessaria previsione delle modalità di determinazione dei contributi nell’ambito della clausola che li commisuri alle perdite della società non è d’altra parte la stessa che corrisponde alla ratio della disciplina contenuta nell’art. 2345 cod. civ. che implica di considerare legittima la clausola che disponga l’obbligo di effettuare prestazioni (peraltro non in denaro) a carico dei soci di s.p.a. se solo ne preveda il contenuto, la durata e le modalità. Per le ragioni esposte nel paragrafo precedente, sarebbe infatti inutile e impossibile prevedere in statuto tali dettagli in relazione ai futuri contributi in denaro allorquando la forma societaria serva allo scopo consortile nota11.

Il confronto con la disciplina delle prestazioni accessorie non pare adeguato al riguardo, per la diversa natura e fondamento delle obbligazioni a carico dei soci: l’esigenza della società di acquisire specifiche prestazioni da parte dei soci (2345 cod. civ.) e l’esigenza di coprire regolarmente o straordinariamente i costi di gestione con i versamenti in denaro da parte dei soci (2615ter cod. civ.). Nulla toglie che in una s.p.a. consortile si rendano particolarmente giustificate talune prestazioni accessorie consistenti per esempio in attività lavorativa o specifiche forniture nota12.

Ma ciò non comporta di dover confondere tipologicamente le prestazioni accessorie con i contributi in denaro ex art. 2615ter cod. civ..

Questi, una volta previsti dalla legge, trovano una giustificazione ed una disciplina autonome.
Se è legittimo stabilire che i soci possono essere obbligati a versare contributi in denaro sul fondamento che questi permettano lo svolgimento dello scopo consortile a vantaggio degli stessi, l’imputazione dei versamenti alla copertura delle perdite non può che richiedere il correttivo della precisazione dei modi attraverso i quali si perviene alla determinazione di ulteriori apporti, proprio per sgombrare il campo dalla automatica responsabilità illimitata dei soci nota13.

L’indicazione nella clausola statutaria delle modalità di determinazione e dei criteri che la società richiedente il versamento dovrà impiegare al fine della determinazione, rappresentano la indispensabile cornice di legittimità della stessa, laddove non si intenda avvalorare la tesi della ammissibilità di una arbitraria pretesa da parte della società nota14. Una soluzione tipicamente consortile, dunque, quella offerta dall’art. 2615ter cod. civ. purché tale, che non rappresenti, cioè, un mero espediente elusivo di una disciplina societaria di applicazione necessaria.

Note

nota1

V. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 1, Torino 2006, pag. 274 e ss.; CASALE, Le società consortili tra diritto comune, diritto speciale e salutari ripensamenti della Cassazione, in La nuova giurisprudenza commentata, 2005, II, 1, pag. 363; SARALE, La posizione della Cassazione sulla disciplina delle società consortili: i limiti della rilevanza causale sulla forma societaria, in Giur. Comm. 2005, II, pag. 396 e ss.; ID., Consorzi e società consortili, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, vol. 3, pag. 541 e ss.; VOLPE PUTZOLU, Le società consortili, in Trattato delle società per azioni, diretto da COLOMBO e PORTALE, Torino, 1998, pag. 281; PROPERSI, ROSSI, I consorzi, Milano 1992, pag. 59; MARASÀ, Consorzi e società consortili, Torino 1990, p. 121 e ss.; MOSCO, I consorzi fra imprenditori, Milano 1988, pag. 300 e ss.; BORGIOLI, Consorzi e società consortili, Milano 1985, pag. 156 e ss.; SPOLIDORO, Le società consortili, Milano 1984, pag. 147. In giurisprudenza cfr. Cass. Civ., sez. I, 27 novembre 2003, n. 18113.
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nota2

Cfr. CAMPOBASSO, op. cit., pag. 271 e ss.; PROPERSI, ROSSI, op. cit., pag. 59; MOSCO, op. cit., pag. 260 e ss.; MARASÀ, op. cit., pag. 96 e ss.
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nota3

Così esattamente MARASÀ, op. cit., pag. 122; in tal senso, fra gli altri, CASALE, op. cit., pag. 364; SARALE, La posizione della Cassazione, cit., pag. 399; VOLPE PUTZOLU, op. cit., pag. 281; BORGIOLI, op. cit., pag. 162; SPOLIDORO, op. cit., pag. 152. Sostiene, invece, che “l’adattamento ai fini consortili degli schemi societari non può spingersi sino a rinnegare le regole societarie inderogabili”, DI SABATO, Istituzioni di diritto commerciale, Milano, 2001, p. 242.
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nota4

In tal senso v. Cass. Civ., sez. I, 27 novembre 2003, n. 18113.
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nota5

Secondo Cass., 27 novembre 2003, n. 18113, in Giur. it., 2004, p. 1203, non sarebbe ammissibile una alterazione delle regole societarie che identificano il tipo, rientrando fra queste il principio della responsabilità limitata.
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nota6

Sul punto, v. VOLPE PUTZOLU, Società consortile, cit., p. 825.
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nota7

Sul punto si tornerà in seguito, richiamando le puntuali osservazioni di VOLPE PUTZOLU, Società consortile, cit., p. 827, nota 111.
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nota8

BORGIOLI, Consorzi, cit., p. 163; VOLPE PUTZOLU, Società consortile, cit., p. 827; MARASÀ, Prime valutazioni sulla nuova normativa in tema di consorzi, in Riv. dir. civ., 1977, II, p. 552.
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nota9

In giurisprudenza, v. su tale ultima possibilità, Cass., 4 marzo 2005, n. 122, in Società, 2005, p. 466; Cass., 11 giugno 2004, n. 11081, in Società, 2005, p. 53.
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nota10

Così ha dubitato MARASÀ, Prime valutazioni, cit., p. 553 ss.; ID., Le società senza scopo di lucro, p. 245 ss.
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nota11

“La dottrina è unanime nel ritenere che l’indicazione dei contributi non sia essenziale ai fini della validità del contratto”, VOLPE PUTZOLU, Voce Consorzi tra imprenditori, Enciclopedia giuridica, 1988.
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nota12

ANGELICI, La costituzione della società per azioni, in Tratt. Rescigno, XVI, 1985, p. 256.
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nota13

Tale impostazione non convince neppure con riferimento al consorzio non in forma societaria. Risulta criticabile, infatti, e accuratamente lo ha fatto PERONE, L’interesse consortile, 2008, p. 222 e ss., l’orientamento che sulle difficoltà interpretative che sorgono dal testo dell’art. 2615 c.c., fonda una ricostruzione della disciplina del consorzio in chiave di responsabilità illimitata dei consorziati.
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nota14

MARASÀ, Prime valutazioni, cit., p. 553, ritiene che lo statuto dovrebbe almeno determinare il tipo di obbligazioni per il cui adempimento il contributo è richiesto, stante la necessità di salvaguardare il principio di responsabilità limitata dei soci.
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