Sotto il vigore della disciplina antecedente la riforma del 2003 si reputava unanimemente che lo scrutinio palese si ponesse quale condizione di validità della deliberazione assunta dal consiglio di amministrazione (cfr. Cfr. Tribunale di Ascoli Piceno, 17 marzo
1987 sulla nullità della clausola statutaria che prevesse lo scrutinio segreto per l'adozione delle deliberazioni consiliari). Si riteneva infatti che il procedimento palese di formazione del voto fosse caratteristica tipica degli organi collegiali in genere. Ciò veniva confermato dalla circostanza che i casi concreti di adozione dello scrutinio segreto, come talvolta praticato negli organi collegiali di tipo amministrativo, rinvenissero espressa previsione nella legge. che, tra l'altro, ne prevedeva un ambito applicativo molto limitato
nota1.
Queste conclusioni trovavano conforto anche nella necessità di individuare i consiglieri dissenzienti, al fine di consentire loro sia la facoltà di impugnazione della deliberazione stessa ai sensi dell'art.
2391, cod.civ. , sia di avvalersi della procedura di esonero da responsabilità prevista dall'art.
2392, III comma, cod.civ. , con l'osservanza degli adempimenti ivi indicati.
Il procedimento decisionale del consiglio di amministrazione doveva inoltre risultare da un documento materiale e tangibile, non essendo configurabile, al riguardo, una manifestazione tacita di volontà
nota2 La categoria delle deliberazioni cosiddette "implicite" è ampiamente riconosciuta nell'ambito delle società per azioni. Esse si caratterizzano per il fatto che "dalla dichiarazione contenuta in una delibera può risultare presupposta la volontà di un'altra dichiarazione che avrebbe dovuto essere contenuta in un'altra delibera"
nota3. Tali deliberazioni sono state reputate legittime anche in materia consiliare, in analogia a quanto consolidatosi in tema di assemblea
nota4.
In relazione a tutte le fattispecie ora esaminate, riconducibili comunque all'ipotesi di deliberazione consiliare adottata in violazione dell'art.
2388 cod.civ. , è stata configurata una condizione di annullabilità per inosservanza a disposizioni di legge, con l'applicazione analogica dell'art.
2377, cod.civ.
nota5.
Note
nota1
Cfr. Verbari, Organi collegiali, in Enc.dir..
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nota2
La giurisprudenza ha infatti escluso che un organo collegiale possa manifestare la propria volontà per
facta concludentia : Cass. Civ. Sez. I,
4402/88, in Le Società n. 10,1988,1026 con nota di Gilardi,
Ammissione di soci in cooperativa ; Tribunale di Catania, 21 giugno
1985, in Giur. comm., 1987, II, 165.
top2nota3
Romano Pavoni,
Le deliberazioni delle assemblee delle società, Milano 1951, p.76.
top3nota4
Sul punto, in dottrina, Romano Pavoni,
Aumento di capitale nella fase di liquidazione della società, in Dir. fall., 1954, p.237 e De Ferra,
La proroga delle società commerciali, Milano, 1957, p.139.
top4nota5
Cfr. Appello di Roma, 20 febbraio
1989, in Riv. dir. comm., 1991, p.175. Circa l'astratta possibilità di far valere l'accertata violazione dell'art. 2388, cod.civ., appare inequivoca l'affermazione di Tribunale di Roma, 18 marzo
1983, , secondo cui " tale previsione (l'art.
2388 cod.civ.) non avrebbe alcun significato se poi l'invalidità non potesse essere fatta valere".
top5Prassi collegate
- Quesito di Impresa 183-2013/I - 184/2013, Voto a mezzo di schede segrete, passaggio dalla modalità cartacea a quella elettronica