Commerciabilità dei terreni soggetti ad uso civico


Ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 9 della Legge 1766/27, nell'ipotesi in cui non abbia luogo la legittimazione (procedimento di assegnazione del terreno al privato occupante che assoggetteremo a specifica disamina), le terre vanno restituite al Comune, o all'associazione o alla frazione del Comune "a qualunque epoca l'occupazione di esse rimonti".

Il II comma dell'art. 12 l.cit., prevede che i Comuni e le associazioni non possono, senza autorizzazione dell'autorità preposta, alienare i terreni soggetti a categoria a) (boschi e pascoli permanenti) o mutarne la destinazione.

Infine ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 21 Legge cit. le unità fondiarie ivi previste "prima dell'affrancazione non potranno essere divise, alienate, o cedute per qualsiasi titolo".
Da questo panorama normativo si desume che il terreno soggetto ad uso civico sia inalienabile, inusucapibile e immodificabile nella sua destinazione ad uso civico. Neppure è ipotizzabile che l'alienazione intervenga in esito ad esecuzione forzata (Cass. Civ., Sez. III, 19792/11). Questo esito interpretativo pare tuttavia essere stato ripensato radicalmente: cfr. Cass. Civ. Sez. II, 34476/2022. Nemmeno risulta possibile procedere legittimamente all'espropriazione per pubblica utilità, se non previa sdemanializzazione delle terre appartenenti alla collettività (cfr. Cass. Civ. Sez. II, sent. 12570/2023).

Ulteriore forza assumono queste considerazioni in funzione della qualificazione che spesso viene data delle terre assoggettate all'uso civico in chiave di terreni demanialinota1. Ciò non pare tuttavia sempre corrispondente alla realtà del fenomeno: l'uso civico può infatti riguardare sia terre appartenenti al demanio comunale, sia aree appartenenti al patrimonio del Comune o anche a privati.
Nel primo caso l'atto di alienazione del terreno gravato da uso civico si palesa, secondo un parere della giurisprudenza, come nullo. La nullità viene posta in correlazione all'impossibilità dell'oggetto (artt. 1345, II comma e 1418 cod.civ.) anche se non sono mancati i tentativi di ricondurre il fenomeno alla mera inefficacianota2.
Nel secondo caso (quando cioè il terreno appartenga a privati) è probabilmente possibile dar corso ad atti di disposizione del terreno, sia pure con l'avvertenza che su di esso grava un diritto di utilizzo da parte della collettività nota3.

Come accertarsi dell'esistenza dell'uso civico? Il vero problema è che non esistono strumenti pubblicitari codificati consultabili (tale non potendo essere considerato l'elenco delle terre gravate da uso civico previsto dalle legge 1927/1766). La soluzione pià pratica potrebbe essere considerata quella di porre a carico degli uffici comunali l'onere dell'accertamento, il cui esito dovrebbe essere riprodotto nelle risultanze del certificato di destinazione urbanistica da rilasciare quale necessario presupposto dell'atto di alienazione. Per tale motivo la S.C. da ultimo pare implicitamente aver imposto un tale obbligo, avendo statuito nel senso dell'assenza di responsabilità del notaio rogante ove il CdU non facesse menzione dell'uso civico (cfr. Cass. Civ. Sez. III, ord. n. 15035/2023).

Note

nota1

V'è chi ha rilevato a questo proposito (cfr. Petronio, voce Usi civici, in Enc. dir., pp. 949 e ss.) che l'assimilazione tra usi civici e demanio deriverebbe dalla legislazione postunitaria di fine '800.La giurisprudenza, che in un primo tempo si era accodata a detta assimilazione, forse sulla base del brocardo " ubi feuda ibi demania " (formula intesa ad affermare che la preesistenza di una popolazione e la costituzione di un feudo erano elementi sufficienti a denotare l'esistenza di un terreno soggetto ad uso civico), successivamente aveva ritenuto che gli usi civici avessero natura pubblicistica determinante non un'equiparazione, bensì un avvicinamento del regime dei beni di uso civico al regime dei beni demaniali (Cass. Civ. Sez. II, 3690/53; Cass. Civ. Sez.II, 698/51; Cass.Civ.Sez.II, 51/50; Cass. Civ. Sez. II, 1739/48 ). Vedi, peraltro, Cass.Civ.Sez.II, 6589/83, che parla di "perdita della natura di beni demaniali", mostrando in questo modo di assimilare in modo totale i beni soggetti ad uso civico ai beni demaniali e Cass. Civ. Sez. I, 4120/77, che parla di "conoscenza della demanialità". V., infine, Cass. Civ. Sez. I, 1750/74 che parla, per la legittimazione, di "trasformazione del demanio in allodio". E' pertanto da ritenersi che il termine "demanio" costituisca espressione riassuntiva per qualificare la disciplina dell'incommerciabilità, che del resto trovasi disciplinata all'art. 823 cod. civ. per il demanio pubblico, per il quale i beni del demanio "sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano".Da ultimo cfr. Cass. Civ. Sez.V, 11993/03 che riferisce del terreno appartenente al comune e gravato dall'uso civico in chiave di mero patrimonio indisponibile.
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nota2

E' questa una tesi singolare, il cui intento è certamente quello di salvaguardare gli atti notarili posti in essere malgrado l'esistenza di uso civico, e pertanto quello di escludere per il notaio l'applicazione dell'art. 28 l.n. (sulla base del rilievo che soltanto l'atto nullo, come ritiene una diffusa dottrina soprattutto di parte notarile, è tale da rendere applicabile l'art. 28 l.n. a tale teoria dimentica di valutare l'interesse dei soggetti che hanno stipulato l'atto notarile, soggetti che vedrebbero gli effetti negoziali posti in essere, in costante bilico dell'incertezza che accompagna la negoziazione del terreno di uso civico; in altre parole, sul piano delle certezze negoziali, quali prospettive potrebbero garantire i notai appellandosi al principio dell'inefficacia dell'atto nei confronti dei soggetti titolari dell'uso civico, soggetti che costituiscono un'intera collettività?
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nota3

Le terre private gravate da uso civico possono trovarsi in una delle seguenti situazioni:
a) procedura di liquidazione dell'uso civico non ancora iniziata o tuttora in corso;
b) procedura di liquidazione dell'uso civico già conclusa o con lo scorporo di una parte del terreno a favore del Comune, oppure con l'imposizione al privato proprietario di un canone a favore del Comune, canone che può essere affrancato o meno, fermo restando che l'estinzione dell'uso civico e la piena privatizzazione del fondo agricolo potrà aversi soltanto con l'affrancazione del canone, mediante il versamento, in unica soluzione, di una somma pari a venti volte l'importo del canone stesso.
Nell'ipotesi sub a) l'uso civico non è stato ancora liquidato, ma trattandosi di terreno di dominio privato, il terreno stesso è commerciabile, poichè nessuna norma nè della Legge del 1927 , nè delregolamento del 1928 ne prevede l'inalienabilità. E' peraltro chiaro che l'alienazione del terreno, pur valida sul piano civilistico, non sarà tale da estinguere gli usi civici, che continueranno ad insistere sul fondo, limitandone il dominio, ma non impedendo l'esercizio di facoltà, come la facoltà di alienazione, che possono convivere con l'utilizzazione del fondo per gli usi della collettività locale. I notai vengono consigliati in tal caso di far emergere dal testo del rogito gli usi civici gravanti sul terreno; ciò a dimostrazione dell'esigenza di informare la parte acquirente delle limitazioni cui essa va incontro con l'atto di acquisto.
In questo caso si assiste ad un fenomeno molto simile al diritto reale limitato su terreno altrui, ancorchè soltanto di recente la dottrina sia pervenuta ad una simile conclusione, mentre in passato l'uso civico insistente sul terreno privato veniva qualificato come attinente al diritto dominicale, alla stessa stregua di un condominio con facoltà differenziate, analogo alla comunione di diritto germanico.
Tende comunque a farsi strada, sulla base del superamento dei "miti" che hanno per tanto tempo contornato la trattazione degli usi civici, l'opinione che l'uso civico, sia nella sua dimensione di uso civico su terreno alieno, sia nella sua forma più impegnativa di uso civico su terreno della collettività, non attenga ad un diritto di dominio, bensì ad un diritto di uso: in ogni caso, cioè, l'uso civico sarebbe caratterizzato dalle utilità del terreno, ancorchè fatte assurgere a nesso stretto con la res che tali utilità garantisce; è come se l'utilità del terreno sia stata considerata alla stessa stregua della proprietà del terreno stesso.
Nell'ipotesi sub b) se si è verificata l'affrancazione, con il pagamento della somma pari a venti volte il canone di natura enfiteutica, il terreno può considerarsi del tutto liberato dagli usi civici, con la conseguenza che in tal caso il terreno sarebbe alienabile, suscettibile di utilizzazione diversa (anche edilizia) ed assoggettato a tutte le norme codicistiche che disciplinano il privato dominio. Se invece l'affrancazione non si è ancora verificata, il bene, pur trasferibile, deve ancora ritenersi assoggettato ad uso civico e sarebbe opportuno, sul piano del più lineare esercizio della professione notarile, che il notaio indicasse l'esistenza degli usi civici in atto, per informarne adeguatamente soprattutto la parte acquirente.Va in proposito sottolineato che l'art. 7 della Legge del 1927 parla di "canone di natura enfiteutica", espressione che, peraltro, secondo l'opinione della giurisprudenza, non significa "canone enfiteutico", tant'è che da parte della dottrina si ritiene che non trovi applicazione la disciplina codicistica: ad es. l'art. 972 cod.civ.(infatti il mancato pagamento del canone non dà luogo a devoluzione), l'art. 960 cod.civ. (non sussiste l'obbligo di migliorare il fondo proprio dell'enfiteuta), l'art. 970 cod.civ. (non sussiste la prescrizione per non uso ventennale prevista per il diritto dell'enfiteuta).
Resta da chiarire un ultimo punto: che accade se il privato abbia costruito un fabbricato sul proprio terreno assoggettato ad uso civico, nella fase in cui l'uso civico non sia stato ancora liquidato e il bene non sia stato affrancato da esso? Si può in linea di massima rispondere che se la costruzione sia avvenuta su una parte delimitata del fondo, in modo da non pregiudicare l'esercizio dell'uso civico, il manufatto possa legittimamente essere negoziato. Non altrettanto è a dirsi però nell'ipotesi in cui l'area di sedime dello stesso faccia parte di un terreno gravato dall'uso civico.
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