Coincidenza tra vocazione testamentaria e vocazione legale



La disputa circa la preminenza tra la successione testamentaria e quella legittima assume una certa rilevanza anche in quelle ipotesi, più volte all'attenzione della giurisprudenza, in cui la vocazione testamentaria coincide completamente con la vocazione legale. Ciò accade nel caso in cui vengano chiamati per testamento tutti gli eredi legittimi nelle stesse identiche quote che sarebbero spettate loro per legge, oppure ancora nell'ipotesi in cui pur a fronte di un testatore che disponga parzialmente del suo patrimonio, istituisca uno o più successori legittimi nella quota legale loro spettante.

In relazione a tali ipotesi la dottrina si presenta divisa: secondo un primo orientamento, tale fattispecie comporterebbe necessariamente l'assorbimento della successione testamentaria in quella legittima, per il valore preminente che viene riconosciuto a quest'ultima nota1. Altri autori, viceversa, negano tale prevalenza della successione legittima concludendo nel senso che il chiamato per testamento viene a concorrere nel residuo con gli altri eredi legittimi nota2,esplicandosi pienamente nel caso di specie sia la chiamata testamentaria, sia quella legale
nota3.

La giurisprudenza prevalente propende per la sussistenza di una sola delazione nel caso della suddetta coincidenza tra la quota
riconosciuta all'erede testamentario in quanto tale e la sua contemporanea veste di erede legittimo. Ciò anche nell'ipotesi di un completo richiamo
alla successione legittima (Cass.Civ. Sez.II, 1359/78). Tale tesi presuppone la valutazione in termini di prevalenza della successione testamentaria, sul presupposto che laddove quest'ultima si concretizzi, impedisce l'operare della successione legittima perché, pur richiamandosi per relationem le norme e le quote di questa, non è vero che per ciò stesso si abbia una carente manifestazione di volontà, concretizzata dal richiamo alla disciplina legale. Sarebbe piuttosto vero l'inverso: proprio il richiamo alle quote, per quanto coincidenti con quanto disposto dalle norme sulla successione legittima, impedirebbe l'operare di quest'ultima.
Il ragionamento pare complesso, ma in realtà parte da un assunto
difficilmente revocabile in dubbio. L'istituzione in quote presuppone una scelta, la volontà positiva di disporre del proprio patrimonio. Anche se ciò avviene per mezzo del richiamo alle quote disposte dalla legge per il caso di mancanza di una idonea o completa manifestazione di volontà, in realtà il richiamo è solo al quantum, non al presupposto per l'operatività di tale tipo di vocazione. Soltanto una disposizione puramente "negativa" sarebbe in grado di veder affermata la successione legittima ed il richiamo in questo senso non può limitarsi al valore della quota, ma deve investire l'intera vicenda successoria e trovare nell'affermata volontà di non disporre il terreno unico ed imprescindibile per l'applicabilità delle norme successorie legali.
Risulta chiaro come anche in questo caso la questione si ricolleghi direttamente all'interpretazione dell'art. 457 cod. civ. in ordine ai presupposti della delazione testamentaria.
Gli autori che si sono schierati a favore dell'applicazione, in questo caso, del regolamento legale ritengono che tra i requisiti di validità dell'istituzione di erede vi sia anche la deroga al contenuto della successione legittima. Nè potrebbe parlarsi nell'ipotesi, come pure si è fatto, di negozio inutile. Del resto la deroga alla successione legittima è possibile non solo sotto il profilo della determinazione dei beneficiari e delle quote, ma anche, se non soprattutto, sotto il profilo qualitativo dell'applicazione di determinate regole che valgono nella vocazione testamentaria e che non trovano il loro omologo in quella legittima. Si pensi, ad esempio, al testamento in cui vengono istituiti eredi l'unico figlio del testatore, chiamato nella sola legittima, nonchè un estraneo. Il figlio rinunzia all'eredità, o premuore, senza che vi sia luogo a
rappresentazione. Se si ritiene che la vocazione ereditaria del figlio trovi il proprio fondamento nel testamento, la quota vacante si accrescerà a favore dell'estraneo, che diventa perciò erede universale (salva l'eventuale azione di riduzione da parte degli ascendenti, a favore dei quali è sorto il diritto di legittima pari ad un terzo dell'eredità). Se invece si ritiene che l'istituzione del figlio non abbia effetto e che nella quota a lui riservata si sia aperta la successione legittima (ovviamente in concorso con la successione testamentaria dell'estraneo nell'altra quota), allora la quota vacante si devolverà ai successibili di grado ulteriore, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall'art. 522 cod.civ. nota4.

Ancora più complesso risulta il caso determinato dal testamento in cui sono istituiti eredi il genitore superstite in un terzo dell'eredità ed un estraneo nei restanti due terzi. L'estraneo istituito non può o non vuole accettare l'eredità. Ebbene, la giurisprudenza nell'ipotesi in esame ritiene che, limitatamente alla quota di un terzo attribuitagli dal testatore e pari alla sua legittima, l'ascendente sia erede testamentario a tutti gli effetti. La successione legittima si aprirebbe soltanto relativamente alla quota lasciata vacante dall'estraneo premorto o rinunziante e in essa concorrerebbe anche l'ascendente, cumulando la quota testamentaria con la quota intestata. Secondo una diversa impostazione, viceversa, si è affermato che la mancata venuta all'eredità dell'estraneo comporterebbe l'apertura della successione
legittima in tutta l'eredità, conseguentemente da dividersi tra l'ascendente e i fratelli del defunto, senza che il primo possa confermare il lascito di un terzo come anteparte.

Nel caso della istituzione " nella quota prevista per legge "(o affermazioni simili) si attua semplicemente un inserimento come contenuto delle relative disposizioni, al pari del richiamo operato ad ogni altro possibile criterio di determinazione delle quote stesse. Per questa via si respinge nettamente ogni tentativo, avanzato dalla dottrina contraria, di ritenere in questa circostanza il testamento nullo per difetto di una volontà valida. Si ritiene viceversa il testamento perfettamente valido perché una volontà è stata comunque espressa e precisamente una volontà avente come contenuto il richiamo alle norme che regolano la successione legittima nota5. Tuttavia, come evidenziato, questa impostazione non è affatto pacifica. Se il testatore in concreto si limita ad un mero rinvio alle disposizioni in materia di successione legittima, potrebbe dubitarsi dell'operatività di quella "impossibile convivenza" tra successione legittima e testamentaria relativamente alla parte di patrimonio coinvolta dal rinvio stesso. In altre parole, occorre comprendere quanto il rinvio implichi disinteresse alla disposizione del proprio patrimonio da parte del de cuius nota6. Naturalmente chi vi vede la massima espressione della volontà stessa, operata attraverso un semplice rinvio ad altre determinazioni quantitative, non dubiterà dell'operatività della successione testamentaria nel caso di specie.
Al contrario, chi ravvede in questo rinvio più che un richiamo alla quota, una vera e propria rinuncia a disporre, non mancherà di invocare la successione legittima, ricorrendone pienamente i presupposti.

Parzialmente differente è l'eventualità in cui il testatore non si limiti ad istituire gli eredi in quote che risultano uguali a quelle a lui riservate dalla legge, ma faccia un richiamo alla legge in maniera più o meno esplicita,
ricorrendo una vera e propria relatio esterna
nota7. Secondo la dottrina maggioritaria si aprirebbe in tal caso la successione legittima, non avendo manifestato il testatore una volontà completa e idonea a disporre delle sue sostanze. In particolare, ciò che secondo parte della dottrina svilirebbe la natura della successione testamentaria, è il richiamo all'intero sistema delle successioni legittime. La cosa finirebbe col far assumere alla disposizione un contenuto contraddittorio, non potendosi al tempo stesso da una parte volere l'apertura della successione testamentaria, dall'altra pretendere che essa venga regolata dalla disciplina che ne presuppone l'assenza. Come è facile intuire si tratta di conclusioni che molto hanno a che fare e che quasi inevitabilmente si ricollegano alla più generale impostazione data al problema della natura stessa che si riconosce alla vocazione legale.

All'esito dell'analisi condotta si può affermare che, laddove la coincidenza tra la chiamata testamentaria e quella legittima sia comunque il frutto di una precisa determinazione del testatore che a tali quote, per quanto occasionalmente identiche a quelle poste dalla legge, espressamente si richiami, la successione testamentaria svolgerà pienamente la sua funzione, non rinvenendosi nell'ordinamento l'esistenza di una regola che limiti l'autonomia testamentaria nella misura in cui questa coincida, anche solo occasionalmente, con i contenuti della successione legittima. Viceversa,
nel caso in cui il richiamo alla vocazione legale sia al tempo stesso l'espressione di un meccanismo di relatio sostanziale, dove la volontà del testatore sfuma fino al punto di rimettersi ad una regolamentazione esterna, la stessa non potrà che ritenersi inoperante e non compatibile con i principi
che dominano il nostro sistema successorio.


Il discrimen tra le due diverse modalità è conseguentemente rimesso alla sensibilità dell'interprete, a prescindere dai termini concretamente utilizzati.

Note

nota1

In questo senso, tra gli altri, Rescigno, Interpretazione del testamento, Napoli, 1942, p.149; Santoro Passarelli, Vocazione legale e vocazione testamentaria, in Riv. Dir. Civ., 1942, p.202; Nicolò, La vocazione ereditaria diretta ed indiretta, Messina, 1934, p.34; Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte. Parte generale, t.1, Napoli, 1959, p.205.
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nota2

Allara, La successione legittima, Torino, 1945, p.112; Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1941, p.44; Cattaneo, La vocazione legittima, in Tratt.dir.priv. diretto da Rescigno, Torino, 2000, p.438.
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nota3

Mengoni, Successione legittima, in Tratt.dir.civ. e comm., diretto da Cicù-Messineo, Milano, 2000, p.30 più esattamente è per la tesi della delazione testamentaria quando la chiamata ha ad oggetto una quota precisa, mentre ritiene operante la delazione legittima nel caso del mero richiamo alle norme della successione legittima.
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nota4

Così Mengoni, op.cit., p. 87.
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nota5

Tamburrino, voce Successione legittima, in Enc.dir., p.1326.
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nota6

Mengoni, op.cit., p.29 afferma che "L'inidoneità di una disposizione del tipo in esame (n.d.r. rinvio alle disposizioni vigenti in tema di successione legittima) a concretare il presupposto della delazione testamentaria si dimostra (.) riflettendo che essa non si limita a indicare nella legge una fonte estrinseca cui sia affidato solo il compito di designare i termini dell'attribuzione, bensì contiene un rinvio all'intero regolamento legale".
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nota7

In giurisprudenza si è affermato che "quando un legittimario sia chiamato dal testatore nella quota che gli è riservata, non si verifica un'ipotesi di vocazione ex lege, bensì un'ipotesi di vocazione testamentaria, senza che, di fronte ad un'inequivoca manifestazione di volontà in tal senso da parte del testatore, si possa operare un'interpretazione della disposizione testamentaria tendente ad accertare se il disponente si sia determinato liberamente oppure soltanto perché la legge gli impediva di disporre altrimenti della quota di riserva" Cass.Civ. Sez.II, 2/67 92/97).
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Bibliografia

  • ALLARA, La successione legittima, Torino, 1945
  • BARASSI, Le successioni per causa di morte, Milano, 1941
  • CARIOTA-FERRARA, Le successioni per causa di morte. Parte generale, Napoli, t. 1, 1959
  • CATTANEO, La vocazione legittima, Torino, Tratt.dir.priv. diretto da Rescigno, vol. V, 2000
  • MENGONI, Successione legittima, Milano, Tratt.dir.civ. e comm.diretto da Cicu-Messineo, 2000
  • NICOLO', La vocazione ereditaria diretta ed indiretta, Messina, 1934
  • RESCIGNO, Interpretazione del testamento, Napoli, 1952
  • SANTORO PASSARELLI, Vocazione legale e vocazione testamentaria, Riv.dir.civ., 1942
  • TAMBURRINO, Successione legittima, Enc.dir.

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