Circolare N. 1/E dell'Agenzia delle Entrate, Chiarimenti interpretativi relativi a quesiti posti dalla stampa specializzata


Roma, 15 febbraio 2013

1. ACCERTAMENTO E REDDITOMETRO

1.1 Redditest

Domanda

Durante la presentazione del Redditest si è confermato che in presenza di “luce verde” il contribuente non sarà selezionato ai fini dei controlli da accertamento sintetico. Ciò significa che se per ipotesi tale contribuente fosse comunque chiamato al contraddittorio preventivo potrà eccepire la tenuta del suo reddito con lo strumento di compliance Redditest?

Risposta

Il ReddiTest è esclusivamente uno strumento di autodiagnosi e orientamento per il contribuente nel quale lo stesso inserisce tutti i dati relativi alle spese sostenute dalla sua famiglia al fine di orientarsi circa la coerenza del proprio reddito familiare rispetto alle spese sostenute.

1.2 Redditometro e beni ad uso promiscuo

Domanda

Il decreto sul redditometro considera come non sostenute le spese per i beni e servizi relativi esclusivamente ed effettivamente all’attività d’impresa o di lavoro autonomo ma non dice nulla circa i beni ad uso promiscuo, quali ad esempio le autovetture. Come rileveranno pertanto tali beni ed in quale misura?

Risposta

I beni e servizi non esclusivamente ed effettivamente relativi all’attività d’impresa o di lavoro autonomo, come ad esempio le auto ad uso promiscuo, rilevano per la parte non riferibile al reddito professionale o d’impresa ovvero per la quota parte di spesa non fiscalmente deducibile.

1.3 Rapporti tra vecchio e nuovo redditometro

Domanda

Il nuovo redditometro presentato lo scorso 20 novembre a Roma è senza dubbio una versione “evoluta” di quello costruito sulla base del paniere di beni e servizi di cui al dm 10 settembre 1992. Come tale potrà essere utilizzato dai contribuenti se ad essi più favorevole durante i contraddittori relativi ad annualità basate ancora sul vecchio redditometro?

Risposta

La disposizione introdotta dall’art. 22 del decreto legge n. 78/2010, alla quale il decreto del 24 dicembre 2012 dà piena attuazione, prevede espressamente che le modifiche all’articolo 38, commi quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo del D.P.R. n. 600 del 1973 hanno “…effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del …decreto”, ossia per gli accertamenti relativi ai redditi dell’anno 2009 e seguenti.

1.4 Redditometro e quota di risparmio riscontrata

Domanda

In che termini, secondo l’Agenzia, rileva ai fini del redditometro la “quota di risparmio riscontrata”, prevista dal decreto attuativo del redditometro (articolo 3, comma 1, lettera e)?

Risposta

La quota di risparmio formatasi nel corso dell’anno e non utilizzata per spese di investimento o per consumi concorre alla determinazione del reddito complessivo accertabile, come previsto dall’art. 3 del decreto ministeriale 24/12/2012.

2. ACCERTAMENTO

2.1 Elenco clienti e fornitori

Domanda

L’articolo 36, comma 8-bis del decreto legge n. 179/2012, a seguito delle modifiche intervenute in sede di conversione nella legge n. 221/2012, con effetto dal 19 dicembre 2012, prevede l’obbligo di presentazione dell’elenco clienti e fornitori da parte degli agricoltori esonerati ai sensi dell’articolo 34, comma 6, del Dpr n. 633/72. Si chiede se tale obbligo sia già decorrente dalla prossima scadenza del 30 aprile 2013 per l’anno 2012 e se riguarda le operazioni di tutto l’anno 2012.

Risposta

L’articolo 36, comma 8-bis del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, inserito dalla legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221, ha espressamente previsto che i produttori agricoli di cui all’articolo 34, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 sono tenuti alla comunicazione annuale delle operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui all’articolo 21 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
Tanto premesso, si ritiene che l’obbligo di comunicazione espressamente previsto da detta disposizione entrata in vigore il 19 dicembre 2012, dato il limitato lasso di tempo trascorso fra tale ultima data e il 31 dicembre 2012, per finalità di semplificazione degli adempimenti, possa non essere adempiuto dai produttori agricoli per il 2012.

2.2 Transfer Pricing - Remunerazione attesa dalle Amministrazioni estere per l’attività di distribuzione.

Domanda

Tenuto conto che alcune Amministrazioni finanziarie estere presumono per le società controllate estere una percentuale di redditività costante per la remunerazione dell’attività di distribuzione, si chiede se la società italiana controllante, titolare dei marchi, possa legittimamente garantire tale minima remunerazione alle società distributrici mediante una politica di sconti volta a remunerare l’attività svolta, che non si esaurisce nella mera distribuzione ma comprende un’imprescindibile funzione di promotion (talvolta di difficile quantificazione e documentazione).

Risposta

In linea generale, l’applicazione del principio del valore normale si basa su una comparazione tra le condizioni presenti nella transazione effettuata tra parti correlate e quelle presenti in transazioni tra imprese indipendenti.
Per determinare la remunerazione a valore normale da riconoscere al distributore non si può prescindere, in generale, dall’analisi di tutti i fattori di comparabilità indicati dalle Guidelines OCSE: le caratteristiche dei beni o servizi venduti, il profilo funzionale e di rischio, le condizioni contrattuali, le circostanze economiche e le strategie di business.
In esito a tale analisi si procederà alla individuazione del metodo più appropriato e, conseguentemente, alla determinazione della remunerazione spettante al distributore che tenga conto delle funzioni svolte e dei rischi assunti dallo stesso distributore nello svolgimento della sua attività commerciale e promozionale.

2.3 Contenzioso

Domanda

La nuova procedura introdotta dalla legge di stabilità che consente ad istanza del contribuente di richiedere la sospensione della cartella e degli altri atti dell’agente della riscossione si applica anche agli accertamenti esecutivi atteso che le norma fa riferimento anche alle “somme affidate” all’agente della riscossione e non solo alle iscrizioni a ruolo/cartelle?

Risposta

La legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), all’art. 1, comma 537, ha previsto che, a decorrere dall’entrata in vigore della stessa, gli enti e le società incaricate per la riscossione dei tributi sono tenuti a sospendere immediatamente ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla riscossione dei tributi, su presentazione di una dichiarazione da parte del debitore, limitatamente alle partite relative agli atti espressamente indicati dal debitore, effettuata ai sensi del successivo comma 538.
In base al tenore letterale della norma, l’Agente della riscossione è tenuto, quindi, a sospendere l’attività di riscossione anche con riguardo alle somme affidate in seguito alla notifica di un accertamento con valore di titolo esecutivo per il quale sia trascorso inutilmente il termine ultimo di pagamento.
Ovviamente, il contribuente che abbia ricevuto la notifica di un accertamento esecutivo potrà richiedere la sospensione di cui trattasi solo dopo l’affidamento del carico all’agente della riscossione.

2.4 Autotutela

Domanda

Se l’ufficio riconosce alcuni errori nel proprio accertamento deve annullare l’atto ed emetterne uno nuovo o può limitarsi a comunicare al contribuente che tali rilievi, viziati da errori, si intendono annullati in via di autotutela? In questa seconda ipotesi i termini per impugnare da quando decorrono (dalla notifica dell’originario atto poi corretto o dalla comunicazione delle correzioni pro contribuente?)

Risposta

Il potere di annullare o revocare d’ufficio gli atti illegittimi di natura tributaria, deriva dal generale potere di autotutela richiamato dall’art. 2 quater del decreto legge n. 564 del 1994 e poi disciplinato nello specifico dal decreto ministeriale n. 37 del 1997.
Salvo che sia intervenuto giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria, la stessa, ai sensi dell’art. 2 di tale ultimo decreto può procedere all’annullamento totale o parziale dell’atto impositivo, senza necessità di istanza di parte, qualora l’atto o la pretesa impositiva risultino illegittimi o infondati per i motivi citati a titolo esemplificativo nell’ambito dell’articolo stesso.
Nell’ipotesi in cui i vizi siano tali da incidere sulla validità dell’atto impositivo, in quanto lo stesso sia carente di uno degli elementi essenziali indicati dall’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, l’ufficio ha la facoltà di annullarlo totalmente ed emetterne uno nuovo, compatibilmente con gli ordinari termini di decadenza dell’attività accertativa, con tutti i requisiti previsti per la sua validità.
Se invece i vizi non incidono sulla validità dell’atto, ad esempio si risolvono in un errore di calcolo, l’ufficio può procedere a rettificare la pretesa impositiva attraverso un’autotutela parziale, da comunicare al contribuente secondo quanto previsto dall’art. 4 del decreto ministeriale n. 37 del 1997.
In quest’ultimo caso, l’atto di autotutela parziale non si configura come un nuovo atto, sostitutivo del precedente annullato, bensì come una rettifica dell’originaria pretesa impositiva; di conseguenza i termini per la presentazione del ricorso decorrono ai sensi dell’art. 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, dalla data di notifica dell’atto originario.

2.5 Avviso di accertamento per adesione – Termini per l’impugnativa

Domanda

Se a seguito di avviso di accertamento e di sottoscrizione dell’adesione, il contribuente non provvede al pagamento nei 20 giorni successivi della somma prevista (o della prima rata) l’adesione non si intende perfezionata. In tale ipotesi i termini per impugnare l’avviso di accertamento si calcolano comunque in 150 giorni dalla data di notifica dell’accertamento?

Risposta

La presentazione dell’istanza ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo n. 218 del 1997 produce, in via preliminare, la sospensione del termine di impugnazione per un periodo di 90 giorni.
Il mancato perfezionamento della definizione ai sensi dell’art. 9 del medesimo decreto, non incide sul decorso del termine di sospensione, in quanto, non essendo previste cause di decadenza, non è correlato all’esito negativo.
Quindi, qualora il contribuente nei 20 giorni dalla sottoscrizione dell’atto di adesione non esegua il versamento delle somme dovute o della prima rata, rimane comunque in facoltà dello stesso di presentare ricorso, purchè entro il termine di 150 giorni calcolati dalla data di notifica dell’avviso di accertamento.
Pertanto, in linea con quanto precisato al paragrafo 4.2 della Circolare n. 65 del 28 giugno 2001, il mancato perfezionamento dell’adesione non preclude la ripresa del procedimento, nell’ambito dei residui termini di impugnazione ancora pendenti.

3. IVA

3.1 Iva per cassa e cessione del credito

Domanda

In relazione ai casi in cui l’esigibilità dell’Iva si ricollega al pagamento del corrispettivo (regime di cassa art. 32-bis, decreto legge n. 83/2012, esigibilità differita art. 6, quinto comma, del d.P.R 633/72), si chiede di sapere se, ad avviso dell’Agenzia, la cessione del credito realizzi oppure no il presupposto dell’esigibilità e se, in caso affermativo, occorra distinguere a seconda che si tratti di cessione pro soluto oppure pro solvendo.

Risposta

L’articolo 32-bis del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nel nostro ordinamento il regime IVA di cassa, in vigore dal 1° dicembre 2012, ora pienamente operativo anche per effetto della presa d’atto formale da parte del Comitato IVA (in esito alla procedura di consultazione avviata ai sensi dell’articolo 167-bis della Direttiva del Consiglio 2006/112/CE del 28 novembre 2006), le cui modalità di applicazione sono contenute nel decreto ministeriale 11 ottobre 2012 e nel provvedimento del Direttore dell’Agenzia 21 novembre 2012 .
In particolare, il citato articolo 32-bis prevede che “… per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate da soggetti passivi (…) nei confronti di cessionari o di committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione, l’imposta sul valore aggiunto diviene esigibile al momento del pagamento dei relativi corrispettivi”.
Analogamente, l’articolo 6, comma 5, del DPR n. 633 del 1972 dispone che “…per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi (…) fatte allo Stato, agli organi dello Stato, ancorché dotati di personalità giuridica, agli enti pubblici territoriali (…) l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi…” .
Dato il tenore letterale delle predette disposizioni si ritiene che la cessione del credito, pro solvendo o pro soluto, non realizzi il presupposto dell’esigibilità dell’imposta. Conseguentemente l’incasso del prezzo di cessione del credito non è assimilabile al pagamento del corrispettivo delle operazioni originarie e il cedente dovrà corrispondere la relativa imposta solamente nel momento in cui il debitore ceduto pagherà effettivamente il corrispettivo al cessionario del credito. Il soggetto passivo che trasferisce il credito avrà, pertanto, l’onere di informarsi circa l’avvenuto pagamento del credito ceduto, poiché è in tale momento che l’Iva relativa all’operazione originaria diventa esigibile e, quindi, deve essere inclusa nella relativa liquidazione di periodo. In alternativa, il soggetto passivo qualora non voglia farsi carico del predetto onere, al fine di non incorrere in sanzioni, può includere, anticipatamente, l’IVA relativa all’operazione originaria nella liquidazione del periodo in cui è avvenuta la cessione del credito.

3.2 Iva per cassa e pagamento non in contanti

Domanda

Con riferimento al regime per cassa di cui all’art. 32-bis, del decreto legge n. 83/2012, nella circolare n. 44/E del 26/11/2012 è stato precisato che, in caso di pagamento non effettuato per contanti, il cedente/prestatore farà riferimento alle risultanze dei propri conti dai quali risulta l’accreditamento del corrispettivo (es. RI.BA., bonifico bancario). Si chiede di chiarire se sia rilevante il momento in cui il creditore ha notizia dell’avvenuto accreditamento, oppure il momento dell’accreditamento, del quale il creditore potrebbe avere notizia ad esempio verificando tramite home banking i movimenti sul conto, indipendentemente dall’effettiva, formale conoscenza.

Risposta

Nel caso di pagamento del corrispettivo con mezzi diversi dal denaro contante – ad esempio, mediante bonifico bancario – lo stesso si considera incassato nel momento in cui si consegue l’effettiva disponibilità delle somme, ossia quando si riceve l’accredito sul proprio conto corrente, indipendentemente dalla sua formale conoscenza, che avviene attraverso l’invio del documento contabile da parte della banca. Si tratta, tecnicamente, della cosiddetta “data disponibile”, che indica il giorno a partire dal quale la somma di denaro accreditata può essere effettivamente utilizzata.

3.3 Iva per cassa e note di variazione

Domanda

Il contribuente che si avvale del regime per cassa di cui all’art. 32-bis, del decreto legge n. 83/2012, può trovarsi ad emettere note di variazione comportanti la riduzione dell’Iva sulle operazioni imponibili effettuate, oppure a ricevere note di variazione comportanti aumento dell’Iva detraibile. In relazione al caso in cui tali documenti rettificativi siano emessi/ricevuti successivamente all’incasso/pagamento della fattura originaria, si chiede di sapere se il contribuente, per poter contabilizzare la riduzione dell’imposta dovuta o la maggiore imposta detraibile, debba attendere la previa regolazione dell’aspetto finanziario con la controparte (o il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione).

Risposta

Come è noto, per coloro che applicano il regime IVA per cassa, l’articolo 32-bis del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, dispone che l’IVA relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nei confronti di altri soggetti passivi IVA diventa esigibile al momento del pagamento dei relativi corrispettivi, ovvero, al più tardi, decorso un anno dall’effettuazione operazione.
Nella circolare 44/E è stato chiarito che, qualora in pendenza del termine di un anno dall’effettuazione dell’operazione, sia emessa una nota di variazione in aumento ai sensi del primo comma dell’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, anche per il nuovo ammontare dell’imponibile o dell’imposta l’anno decorre dalla effettuazione della originaria operazione.
In proposito si precisa che qualora la nota di variazione in aumento sia emessa dopo il decorso di un anno l’imposta va computata nella prima liquidazione utile.
Con riguardo alle variazioni in diminuzione, effettuate nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 26, secondo e terzo comma, del DPR n. 633 del 1972, la predetta circolare ha precisato che dette variazioni che intervengono prima che l’imposta diventi esigibile rettificano direttamente l’imposta originaria. Diversamente, quelle che intervengono successivamente, possono essere computate nella prima liquidazione utile.

3.4 Iva per cassa e operazioni internazionali

Domanda

Secondo la circolare n. 44/2012, dal regime di cassa sono escluse anche le cessioni all’esportazione e intracomunitarie, le operazioni assimilate, le prestazioni di servizi internazionali. Posto che, trattandosi di operazioni non imponibili, la questione dell’esigibilità dell’Iva neppure si pone, si chiede se, affermando l’esclusione, la circolare abbia inteso salvaguardare l’ordinario criterio per la detrazione dell’Iva sugli acquisti afferenti tali operazioni. Inoltre, poiché, secondo la stessa circolare, per evitare che, in presenza di operazioni attive escluse dal regime di cassa, anche la detrazione degli acquisti afferenti tali operazioni sia differita al momento del pagamento, è necessario che il contribuente adotti la contabilità separata, si chiede conferma che, nell’ambito del regime di cassa, la separazione contabile riguardi, da un lato, le operazioni attive/passive rientranti nel regime particolare e, dall’altro, quelle escluse, indipendentemente dal fatto che si possano configurare o meno due distinte attività.

Risposta

La relazione tecnica al decreto ministeriale 11 ottobre 2012 chiarisce che, previa separazione dell’attività, ai sensi dell’articolo 36 del D.P.R. n. 633/1972, il regime dell’IVA per cassa può essere adottato per le operazioni effettuate in applicazione delle regole ordinarie dell’IVA, anche da soggetti che applicano sia regimi speciali IVA sia il regime ordinario.
Al riguardo si ricorda che, diversamente da quanto previsto dall’art. 7 del decreto legge n. 185/2008, il regime dell’IVA per cassa di cui all’art. 32-bis del decreto legge n. 83/2012 si riferisce non alle singole operazioni, ma all’attività nel suo complesso, cioè all’insieme delle operazioni attive e passive poste in essere dal contribuente. Di conseguenza, il differimento della detrazione dell’IVA al momento del pagamento del prezzo opera con riferimento a tutti gli acquisti, e cioè anche per quelli relativi ad operazioni attive escluse dall’IVA per cassa, a meno che queste ultime e i relativi acquisti costituiscano, ai sensi del citato articolo 36 del DPR n. 633 del 1972, attività separate.
Non è pertanto, possibile gestire separatamente le operazioni attive/passive escluse dal regime IVA per cassa, qualora queste non possano configurare una attività separata ai sensi del citato articolo 36.

4. RIVALUTAZIONE TERRENI E PARTECIPAZIONI

4.1 Corrispettivo inferiore al valore di perizia

Domanda

L’attuale situazione di crisi comporta sovente che la cessione delle partecipazioni o dei terreni avvenga per un corrispettivo inferiore al valore di perizia. Per quanto riguarda le partecipazioni tale circostanza non dovrebbe comportare conseguenze nel presupposto che la cessione ad un prezzo inferiore comunque non genera minusvalenza deducibile (articolo 5 legge n. 448/2001). Per quanto riguarda i terreni dovrebbe comunque essere possibile fermo restando l’obbligo di assolvere le imposte di registro ed ipocatastali sul valore di perizia (articolo 7 legge n. 448/2001). Solo a scelta del contribuente si potrebbe procedere a nuova perizia con un valore inferiore al precedente senza assolvere alcuna imposta sostitutiva ai sensi della lettera ee) dell’articolo 7, comma 2, del Dl n. 70/2011.
Sono corrette queste considerazioni?

Risposta

La cessione di partecipazioni non negoziate, il cui valore o costo di acquisto è stato rideterminato, ad un prezzo inferiore al valore di perizia non dà luogo a minusvalenze fiscalmente rilevanti.
Per quanto riguarda la cessione di terreni, affinché il valore “rideterminato” possa assumere rilievo agli effetti del calcolo della plusvalenza, è necessario che esso costituisca valore normale minimo di riferimento anche ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali (articolo 7, comma 6, della legge n. 448 del 2001).
Pertanto, qualora il contribuente intenda avvalersi del valore rideterminato deve necessariamente indicarlo nell’atto di cessione anche se il corrispettivo è inferiore.
In tal caso, le imposte di registro, ipotecarie e catastali devono essere assolte sul valore di perizia indicato nell’atto di trasferimento.
Nel caso in cui, invece, nell’atto di trasferimento sia indicato un valore inferiore a quello rivalutato, si rendono applicabili le regole ordinarie di determinazione delle plusvalenze indicate nell’articolo 68 del TUIR, senza tener conto del valore rideterminato.
Va tenuto presente, peraltro, che, il contribuente ha anche la possibilità di rideterminare nuovamente il valore del terreno detenuto, riferito alla data del 1° gennaio 2013.
Il contribuente che intende usufruire nuovamente della rideterminazione del valore del terreno (con riferimento alla data del 1° gennaio 2013), deve redigere la perizia giurata di stima entro il 30 giugno 2013, ovvero entro la data di stipula dell’atto se la cessione avviene prima di tale termine e deve provvedere al versamento dell’importo eventualmente dovuto entro il 1° luglio 2013 ( poiché il termine del 30 giugno 2013, previsto dalla norma, cade di domenica).
Qualora l’imposta pagata in occasione della precedente rideterminazione sia maggiore di quella dovuta entro il 30 giugno 2013 non deve essere effettuato alcun versamento.
Al riguardo, appare opportuno precisare che, in tal caso, per espressa previsione normativa, la parte eccedente non può essere chiesta a rimborso.
I dati relativi alla nuova rideterminazione devono essere indicati nel quadro RM del modello di dichiarazione UNICO relativo all’anno d’imposta 2013.

4.2 I diritti edificatori

Domanda

I diritti edificatori (cubatura) previsti dall’articolo 5 del decreto legge n. 70 del 2011 ceduti autonomamente dal terreno o dal fabbricato sono assimilati agli immobili e, pertanto, rientrano nella fattispecie di cui all’articolo 67 del TUIR? In caso di Risposta affermativa possono quindi essere oggetto di rivalutazione ai sensi del comma 473, articolo 1, legge n. 218/2012.

Risposta

I contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale sono trascrivibili, pertanto tali diritti godono del medesimo regime pubblicitario dei diritti reali su beni immobili.
Si ritiene, quindi, che ai fini della possibilità di usufruire della procedura di rideterminazione del valore dei beni, lo ius aedificandi possa essere considerato distintamente ed autonomamente rispetto al diritto di proprietà del terreno e che sia possibile provvedere alla rideterminazione del valore di tali diritti di cui il contribuente risulti titolare alla data del 1° gennaio 2013, facendo redigere apposita perizia giurata di stima entro il 30 giugno 2013 e versando entro la medesima data la relativa imposta sostitutiva dovuta ovvero la prima rata.

4.3 Gli effetti dell’omessa indicazione in Unico

Domanda

L’omessa indicazione nel modello Unico (quadri RM od RT) delle rivalutazioni delle partecipazioni e dei terreni ha carattere formale e non pregiudica in alcun modo gli effetti della rivalutazione. E’ corretta questa considerazione?

Risposta
Come chiarito nella circolare n. 35/E del 4 agosto 2004 l’opzione per la rideterminazione dei valori e la conseguente obbligazione tributaria si considerano perfezionate con il versamento dell’intero importo dell’imposta sostitutiva ovvero, in caso di pagamento rateale, con il versamento della prima rata.
Infatti, il contribuente può avvalersi immediatamente del nuovo valore di acquisto ai fini della determinazione delle plusvalenze di cui all’articolo 67 del TUIR.
Pertanto si ritiene che l’omessa indicazione nel modello Unico dei dati relativi costituisce una violazione formale, alla quale si rendono applicabili le sanzioni previste dal comma 1, dell’articolo 8 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (con un minimo di euro 258 fino ad un massimo di euro 2.065).
In ogni caso restano impregiudicati gli effetti della rideterminazione.

5. IRAP

5.1 Deduzione sulle spese del personale

Domanda

Nel modello per l’istanza di rimborso delle imposte dirette a fronte della deduzione Irap sulle spese del personale, in caso di operazioni straordinarie l’istanza viene presentata dall’avente causa. Si chiede conferma che questa procedura debba essere seguita anche nel caso degli eredi del contribuente deceduto, ovvero di conferimento di impresa individuale in società.

Risposta

L’art. 2, comma 1, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 ha previsto, a decorrere dal periodo d’imposta 2012, la deduzione, ai fini delle imposte sui redditi, dell’IRAP riguardante la quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato. Il successivo comma 1-quater (introdotto dall’art. 4, comma 2, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16) ha stabilito che la deduzione può essere fatta valere anche per i periodi di imposta precedenti a quello in corso al 2012, salvo che alla data del 28 dicembre 2011 non sia trascorso il termine di 48 mesi per chiedere il rimborso, ai sensi dell’art. 38 del dPR n. 602 del 1973.
Nelle istruzioni per la compilazione dell’istanza di rimborso vengono disciplinate le ipotesi di operazioni straordinarie con estinzione del soggetto dante causa (fusione per incorporazione e scissione totale). In particolare, viene evidenziato che l’incorporante o la beneficiaria devono presentare l’istanza per conto del soggetto estinto al fine di evidenziare le maggiori perdite rideterminate e maturate in un periodo di imposta anteriore al trasferimento. Dette maggiori perdite, se trasferite al soggetto avente causa, possono essere da questi utilizzate per la richiesta di rimborso ai sensi del citato comma 1-quater, mediante apposita istanza, oppure in caso di mancato utilizzo ai detti fini, a riduzione del reddito nella prima dichiarazione utile.
Tanto premesso, si ritiene che in caso di conferimento d’azienda il rimborso relativo alla deduzione riferita ad anni anteriori al trasferimento spetti al conferente, in quanto il credito non viene trasmesso alla conferitaria. Il conferimento non produce, infatti, gli stessi effetti delle sopra richiamate operazioni straordinarie e l’avente causa non subentra a titolo universale in tutte le posizioni attive e passive del dante causa.
Diversamente, in caso di successione mortis causa, la richiesta di rimborso deve essere presentata dall’erede che subentra nella stessa posizione giuridica del de cuius. In tale caso, l’erede del contribuente deceduto è tenuto a compilare il frontespizio indicando nella sezione “Dati del contribuente” i dati del de cuius e nella sezione “Dati relativi al rappresentante firmatario dell’istanza” i dati dell’erede che presenta l’istanza; inoltre, nel campo “Codice carica” di tale ultima sezione va indicato il codice carica 7 (Erede).

6. SCHEDE CARBURANTE

6.1 Acquisti di carburante esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o prepagate

Domanda

Il comma 3-bis dell’art. 1 del D.P.R. n. 444/1997, come introdotto dall’art. 7, comma 2, lett. P) del decreto legge n. 70/2011, stabilisce una deroga dall’obbligo di istituzione della scheda carburante per i soggetti “che effettuano gli acquisti di carburante esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o prepagate” emesse da operatori finanziari soggetti agli obblighi di comunicazione alla c.d. anagrafe tributaria. Nella Circolare 9 novembre 2012, n. 42 è stato affermato che l’utilizzo dell’avverbio “esclusivamente” determina una sostanziale alternatività fra le due modalità di certificazione – scheda carburante vs. strumenti di pagamento elettronico – che deve ritenersi vincolante per il contribuente per l’intero periodo d’imposta.
Tale rigorosa affermazione non trova immediato riscontro nella formulazione letterale della norma ed inoltre vanificherebbe parzialmente la ratio semplificatrice ad essa sottesa, posto che il contribuente che decidesse di passare in corso d’anno alla modalità di certificazione degli acquisti mediante strumenti di pagamento elettronico dovrebbe comunque attendere l’inizio del successivo periodo d’imposta per usufruire dell’esonero dall’obbligo di istituzione della scheda carburante. Ciò posto, si chiede di conoscere se, meglio apprezzata la materia, al contribuente che intenda passare in corso d’anno alla modalità di certificazione mediante utilizzo di strumenti di pagamento elettronico sia consentito l’accesso al regime di esenzione dalla scheda carburante anche nel corso del periodo d’imposta pur in presenza di taluni presidi come il fatto che (i) detto passaggio avvenga in concomitanza con la chiusura di uno dei periodi infra-annuali di liquidazione IVA e (ii) la nuova modalità di certificazione sia mantenuta dal contribuente sino al termine del periodo d’imposta.

Risposta

Come già chiarito con la circolare n. 42/E del 2012, le modifiche normative introdotte dal decreto sviluppo in materia di scheda carburante sono finalizzate ad introdurre, in un’ottica di semplificazione, un sistema documentale alternativo rispetto alla disciplina prevista dal d.P.R. n. 444 del 1997.
In base al tenore letterale della disposizione – che consente la certificazione dell’acquisto di carburante con modalità semplificate rispetto alla scheda carburante solamente per quanti effettuano i predetti acquisti “esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate” – è stato chiarito che i due sistemi di certificazione risultano tra loro alternativi.
L’utilizzo dell’avverbio esclusivamente deve, infatti, ritenersi riferito alla modalità di certificazione scelta dal contribuente per documentare tali spese/costi. La possibilità riconosciuta dal legislatore di avvalersi di un sistema di documentazione semplificato rispetto a quello della scheda carburante per la documentazione delle operazioni di acquisto del carburante deve ritenersi limitata alle ipotesi in cui la scelta di tale sistema documentale sia integrale.
Ciò nondimeno, l’esclusività nelle modalità di certificazione di tali operazioni – che deve ritenersi comunque necessaria – non pregiudica la possibilità, per il contribuente, di passare in corso d’anno dal vecchio al nuovo sistema di certificazione. Ciò, purché, a partire da tale momento – verosimilmente coincidente con la conclusione delle operazioni per la liquidazione dell’Iva -, le operazioni di acquisto di carburante vengano documentate “esclusivamente” mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate.

7. SOCIETA’ IN PERDITA

7.1 Società in perdita sistematica che detengono partecipazioni – Causa di disapplicazione

Domanda

Si chiede se una società in perdita sistematica che detiene partecipazioni immobilizzate in società indicate nella lettera d), nn. 1-2-3, del provvedimento direttoriale in data 11 giugno 2012, ma che non è in grado di utilizzare la causa di disapplicazione ivi prevista (in quanto svolge attività diverse da quelle strettamente funzionali alle partecipazioni), può, nel calcolo del reddito minimo previsto dall’articolo 30 della L. 724/1994, non considerare il valore di tali partecipazioni, analogamente a quanto stabilito per le società non operative dalla lettera e) del provvedimento direttoriale del 14 febbraio 2008 e dalla circolare 9/E/2008.

Risposta

A differenza di quanto previsto dall’analoga causa di disapplicazione della disciplina sulle società “non operative” prevista dalla lettera e) del paragrafo 1 del Provvedimento del 14 febbraio 2008 (in cui è espressamente previsto che: “…La disapplicazione opera limitatamente alle predette partecipazioni.”), la causa di disapplicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica di cui alla lettera d) del paragrafo 1 del Provvedimento dell’11 giugno 2012 non opera in modo “parziale”.
Come si evince dalla lettura di quest’ultimo provvedimento, infatti, la causa di disapplicazione in esame implica un giudizio di “prevalenza” che è inconciliabile con una disapplicazione “parziale” della disciplina in esame.
Pertanto, il soggetto interessato potrà disapplicare in toto la disciplina delle società in perdita sistematica qualora il valore economico delle proprie partecipazioni, iscritte esclusivamente tra le immobilizzazioni finanziarie, riconducibile alle società indicate ai nn. 1, 2 e 3 della citata lettera d), sia prevalente rispetto al valore (economico) di tutte le partecipazioni di cui dispone.

7.2 Società in perdita sistematica – Divieto di compensazione del credito IVA: decorrenza

Domanda

Si chiede di conoscere l’esercizio a partire dal quale ad una società in perdita fiscale nel triennio 2009-2011, che non usufruisce di alcuna causa di esclusione o disapplicazione, e che diventa dunque di comodo nell’esercizio 2012, è preclusa la compensazione del credito annuale IVA. Si ritiene che il divieto in esame scatti dal 1° gennaio 2013 con riferimento al credito emergente dalla dichiarazione riferita al 2012, che costituisce il periodo di imposta di applicazione della norma. Dovrebbe a nostro avviso escludersi che tale preclusione possa invece riguardare le compensazioni avvenute nel 2012 e riferite al credito annuale 2011.

Risposta

Per le società non operative è stato chiarito (con la Circolare del 4 maggio 2007, n. 25/E e con la Risoluzione del 10 agosto 2007, n. 225/E) che le limitazioni all’utilizzo dell’eccedenza annuale IVA a credito di cui all’articolo 30, comma 4, primo periodo, della legge n. 724 del 1994, si riferiscono al credito IVA risultante dalla dichiarazione annuale del periodo d’imposta relativamente al quale non è stato superato il c.d. test di operatività di cui al comma 1 del citato articolo 30.
Con riferimento alle società in perdita sistematica, la circostanza che si siano verificati tre periodi di imposta consecutivi in perdita fiscale concretizza il presupposto per applicare la disciplina delle società “di comodo” a decorrere dal quarto periodo di imposta successivo, anche ai fini delle limitazioni all’utilizzo del credito IVA di cui al richiamato comma 4, primo periodo.
Pertanto, tali limitazioni si riferiscono all’eccedenza relativa al periodo d’imposta in cui trova applicazione la disciplina sulle società “di comodo”.
Conseguentemente, con riferimento alla situazione illustrata nell’esempio proposto, le limitazioni all’utilizzo del credito annuale IVA, disposte dall’articolo 30, comma 4, primo periodo, opereranno in riferimento al credito annuale IVA emergente dalla dichiarazione annuale relativa al periodo d’imposta 2012.

7.3 Società in perdita sistematica – Calcolo della perdita fiscale

Domanda

In relazione alla disposizione sulle società in perdita sistematica, si chiede come debba essere considerato, ai fini della verifica della esistenza della condizione che fa scattare la norma, un reddito dichiarato per importo superiore al minimo degli enti di comodo, che viene compensato con perdite pregresse fino al ridurlo al di sotto della soglia. Ad esempio: una società ha realizzato nel 2009 una perdita di 1.200 e nel 2010 una perdita di 500. Nell’esercizio 2011 la società consegue un reddito di 1.000, ridotto a 200 a seguito dell’utilizzo all’80% di perdite pregresse. Ipotizzando che il reddito minimo per le società di comodo sia 900, il reddito dell’esercizio 2011 va considerato superiore o inferiore a tale reddito minimo? E conseguentemente la società è o non è in perdita sistematica nel triennio 2009-2011?

Risposta

Il comma 36-undecies dell’articolo 2 del decreto legge n. 138 del 2011 prevede che la disciplina sulle società in perdita sistematica trova applicazione anche qualora, nel c.d. triennio di osservazione, il soggetto interessato sia per due periodi d’imposta in perdita fiscale ed in uno abbia dichiarato un reddito inferiore all’ammontare determinato ai sensi dell’articolo 30, comma 3, della legge n. 724 del 1994 (il c.d. reddito minimo presunto).
Dato il rinvio del legislatore al “reddito dichiarato”, si deve intendere che questo si riferisca al reddito ai fini Ires del periodo d’imposta come risultante dalla relativa dichiarazione, cioè, al reddito complessivo al lordo dell’utilizzo delle eventuali perdite dei precedenti esercizi.
In Risposta all’esempio proposto, dunque, per verificare se il “reddito dichiarato” è inferiore al reddito minimo presunto ai fini del triennio di osservazione, il soggetto interessato dovrà raffrontare l’ammontare del reddito imponibile minimo, con il reddito complessivo analiticamente determinato. Ne deriva che il soggetto in questione non è considerato in perdita fiscale ai fini della disciplina in esame per il periodo d’imposta 2011 perché il suo reddito complessivo (1.000) è superiore al reddito imponibile minimo (900).

7.4 Società in perdita triennale – Calcolo della perdita fiscale

Domanda

Si chiede come debba essere considerato, ai fini della verifica della esistenza di una perdita fiscale nel periodo di osservazione, il reddito adeguato al minimo per effetto della applicazione della normativa sugli enti di comodo. Ad esempio: una società è in perdita fiscale nel triennio 2009-2011; nell’esercizio 2012, la società consegue una ulteriore perdita, ma dichiara un reddito pari al minimo delle società di comodo. Per il nuovo periodo di osservazione valido per l’esercizio 2013 (triennio 2010-2012), il reddito del periodo di imposta 2012 come si considera: perdita o reddito non inferiore al minimo? La società è di comodo per il 2013?

Risposta

Il comma 36-decies dell’articolo 2 del decreto legge n. 138 del 2011 individua come presupposti per l’applicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica la presenza di “dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d’imposta”. A decorrere dal successivo quarto anno, i soggetti interessati saranno considerati come non operativi e dovranno dichiarare un reddito non inferiore a quello c.d. minimo presunto determinato secondo l’articolo 30, comma 3, della legge n. 724 del 1994.
Ai fini della verifica della esistenza di una perdita fiscale nel periodo di osservazione, il reddito adeguato al minimo per effetto della applicazione della normativa sugli enti di comodo non assume alcuna rilevanza, dovendo il soggetto interessato fare riferimento al reddito imponibile complessivo analiticamente determinato.
Rispondendo all’esempio formulato: data una perdita fiscale per i periodi d’imposta 2009, 2010 e 2011, la società è considerata in perdita sistematica per il successivo anno 2012 (a prescindere dal suo risultato di periodo). In quest’ultimo anno, pertanto, dovrà dichiarare un reddito almeno pari al c.d. reddito minimo presunto di cui all’articolo 30, comma 3, della L. n. 724 del 1994.
Per verificare l’applicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica per il 2013, la medesima società dovrà prendere in considerazione i risultati del triennio di osservazione costituito dai periodi d’imposta: 2010, 2011 e 2012. A tal fine, per il 2012, rileverà il risultato di periodo analiticamente determinato.
Pertanto, essendo il 2010, 2011 e 2012 in perdita fiscale (come riportato nell’esempio), per il 2013, la società sarà considerata in perdita sistematica, a nulla rilevando che abbia dichiarato un reddito minimo presunto.

8. ALTRE MISURE PER LE IMPRESE

8.1 Distruzione accidentale di immobili rivalutati ai sensi del dl 185/2008

Domanda

Molte società con sede nei comuni colpiti dal sisma del maggio 2012 hanno subito la distruzione di fabbricati strumentali per i quali avevano usufruito della rivalutazione prevista dall’articolo 15, commi 16 e segg., decreto legge n. 185/2008, con affrancamento fiscale dei maggiori valori. Si chiede conferma del fatto che, non essendo la distruzione (oppure il danneggiamento accidentale a seguito, ad esempio, di un incendio) ricompresa tra le ipotesi che, qualora verificatesi prima del 2014, fanno decadere gli effetti della rivalutazione (cessione a titolo oneroso, assegnazione ai soci, destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa), la minusvalenza realizzata sull’immobile distrutto, per la parte corrispondente alla rivalutazione, dovrà essere recuperata a tassazione nel 2012, per essere poi dedotta, in unica soluzione, nel 2013 (variazione in diminuzione nel mod. Unico 2014), esercizio di ordinaria decorrenza degli effetti della rivalutazione in esame.

Risposta

La disciplina di rivalutazione prevista dall’articolo 15, commi 16 e seguenti del decreto legge n. 185 del 2008 prevede il venir meno degli effetti fiscali nell’ipotesi in cui, prima del 2014 (contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare), i beni rivalutati siano ceduti a titolo oneroso, assegnati ai soci, destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa o al consumo personale o familiare dell’imprenditore. In tali ipotesi, è, comunque, riconosciuto al cedente un credito d’imposta pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva riferibile alla rivalutazione dei beni ceduti.
Ciò premesso, si evidenzia che la distruzione, il danneggiamento o la perdita dei beni rivalutati, come conseguenza dell’evento sismico avvenuto nel 2012, non rientra tra le predette ipotesi di decadenza (cfr. anche circolare n. 9 del 10 aprile 1991 del Ministero delle Finanze a commento della precedente legge di rivalutazione n. 408 del 29 dicembre 1990). Di conseguenza, il maggior valore rivalutato, imputato a conto economico nel 2012, potrà essere fiscalmente riconosciuto nel 2013, ossia nel periodo d’imposta in cui ordinariamente decorrono gli effetti fiscali della rivalutazione in esame.

9. BLACK LIST

9.1 Costi

Domanda

Un’impresa ha effettuato acquisti con operatori black list, omettendo di indicare separatamente i relativi importi nella dichiarazione dei redditi nel periodo di riferimento. Qualora, in sede di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria, la predetta impresa riesca a dimostrare l’esistenza di una delle esimenti richiamate nell’articolo 110, comma 11, del TUIR, può essere sanzionata esclusivamente in misura fissa per la violazione formale dell’omessa indicazione separata, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997?

Risposta

Il quesito posto può essere risolto rinviando all’orientamento espresso con la Circolare del 3 novembre 2009, n. 46/E, paragrafo 4.2, in cui è stato affrontato il caso di un contribuente che, pur avendo fornito le esimenti previste ai fini della disapplicazione della norma antielusiva, ha omesso di indicare separatamente nella dichiarazione dei redditi i costi sostenuti nei confronti di operatori residenti in Paesi a fiscalità privilegiata e non ha presentato la dichiarazione integrativa con l’indicazione dei predetti costi, ovvero ha presentato tale dichiarazione solo successivamente alla formale conoscenza dell’avvio dei controlli dell’Amministrazione finanziaria.
Con il citato documento di prassi è stato chiarito che a tale fattispecie risulta applicabile la sanzione proporzionale di cui all’articolo 8, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 471 del 1997, stabilita in misura pari al 10 per cento dell’importo complessivo dei costi non indicati separatamente, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000.
Tale sanzione, infatti, è volta proprio a preservare l’obbligo dichiarativo che consente all’Amministrazione finanziaria di indirizzare puntualmente i controlli verso quelle operazioni per le quali il legislatore ha voluto alzare la soglia di attenzione, poiché effettuate con soggetti residenti o localizzati in Paesi a fiscalità privilegiata e, quindi, potenzialmente elusive.
Naturalmente, in questa ipotesi, avendo l’impresa dimostrato la sussistenza di una delle esimenti di cui all’articolo 110, comma 11, del TUIR, è ammessa la deducibilità dei costi in esame ai fini della determinazione del reddito complessivo.

10. CONTENZIOSO

10.1 Contributo unificato

Domanda

Il contributo unificato nel processo tributario ha assorbito in buona sostanza la precedente imposta di bollo per gli atti del processo. In tale contesto è ancora dovuta l’imposta di bollo per la delega alla partecipazione alla pubblica udienza che viene rilasciata ad altro difensore?

Risposta

L’articolo 18, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), come riformulato con la legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), prevede che: “Agli atti e provvedimenti del processo penale, con la esclusione dei certificati penali, non si applica l’imposta di bollo. L’imposta di bollo non si applica altresì agli atti e provvedimenti del processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, del processo amministrativo e nel processo tributario, soggetti al contributo unificato. L’imposta di bollo non si applica, inoltre, alle copie autentiche, comprese quelle esecutive, degli atti e dei provvedimenti, purché richieste dalle parti processuali. Atti e provvedimenti del processo sono tutti gli atti processuali, inclusi quelli antecedenti, necessari o funzionali”.
Con riferimento a tale ultimo periodo, con circolare 14 agosto 2002, n. 70, è stato chiarito che deve intendersi per
atti antecedenti, quelli che precedono in senso logico il procedimento stesso. L’antecedenza, però, non deve essere interpretata nel senso puramente cronologico, quanto, piuttosto, nel suo rapporto di funzionalità o di necessarietà con il procedimento giurisdizionale;
atti “necessari” , gli atti e provvedimenti indispensabili (conditio sine qua non) per l’esistenza di quelli strettamente procedimentali, anche se non hanno la stessa natura di quest’ultimi perché non fanno parte del procedimento giurisdizionale (criterio della necessità);
atti “funzionali”, quelli posti in essere in dipendenza o al fine di ottenere un atto o provvedimento del procedimento giurisdizionale, ovvero, più genericamente, in vista degli stessi, anche se la loro esistenza non è condizione necessaria di procedibilità (criterio teleologico).
A parere dell’Agenzia, anche l’atto di delega alla partecipazione alla pubblica udienza rilasciato al difensore rientra tra gli atti funzionali al processo tributario e, in quanto tale, non deve essere assoggettato all’imposta di bollo.

11. IMPOSTA DI BOLLO

11.1 Bollo ordinario su prodotti finanziari

Domanda

E’ corretto ritenere che se una polizza finanziaria estera è intestata ad una fiduciaria italiana e la compagnia estera non ha optato per il versamento del bollo virtuale, la fiduciaria computa l’imposta di bollo ordinaria annualmente, ma la preleva e la versa all’erario solo alla scadenza della polizza?

Risposta

Con riferimento alle polizze assicurative, il decreto ministeriale 24 maggio 2012 all’articolo 3, comma 7, chiarisce che l’imposta di bollo di cui all’articolo 13, comma 2-ter, calcolata per ciascun anno, è dovuta all’atto del rimborso o del riscatto.
In merito, la circolare 48/E del 2012 ha precisato che nel caso in cui le imprese di assicurazione estere operanti in Italia in regime di libertà di prestazione di servizi non esercitino l’opzione di cui all’articolo 26-ter del dPR 600/73 o non richiedano l’autorizzazione al pagamento dell’imposta di bollo in modo virtuale, se le polizze sono oggetto di un contratto di amministrazione con una società fiduciaria residente o sono custodite, amministrate o gestite da intermediari residenti, è comunque dovuta, a decorrere dal 2012, l’imposta di bollo di cui al citato articolo 13, comma 2-ter, del dPR n. 642 del 1972.
In tal caso, l’imposta deve essere applicata dalla società fiduciaria o dall’intermediario residente secondo le modalità sopraindicate, ovvero occorre procedere al calcolo dell’imposta per ciascun anno ed applicare l’imposta all’atto del rimborso o del riscatto della polizza.
Con la circolare 2 luglio 2012, n. 28, è stato, inoltre, precisato che nel caso in cui il rapporto con la fiduciaria o con l’intermediario residente si interrompe, tali soggetti devono applicare fino a tale data l’imposta di bollo calcolata per ciascun anno.

12. SERVIZI AI CONTRIBUENTI

12.1 Cambio di quota di possesso di un’attività finanziaria

Domanda

Se in corso d’anno cambia la quota di possesso di un’attività finanziaria, nella colonna 2 (“Quota di possesso”) cosa si indica? Poiché deve essere compilata una riga per ogni conto corrente, libretto di risparmio o altro investimento, probabilmente nella colonna 2 in questi casi occorre indicare la quota di possesso ponderata con i giorni di possesso. Ad esempio, se una persona fisica ha detenuto un titolo al 100% per 146 giorni e al 50% per 219 giorni, la quota di possesso sarà (100% x 146+ 50% x 219) : 365 = 70%. E’ corretto?

Risposta

L’imposta sul valore della attività finanziarie detenute all’estero è dovuta proporzionalmente alla quota e al periodo di detenzione ai sensi dell’articolo 19, comma 19, del decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011, come precisato con la circolare n. 28/E del 2012.
Pertanto, nel modello Unico PF, quadro RM, l’IVAFE è calcolata per tutte le attività finanziarie detenute all’estero, compresi i conti correnti e libretti, in relazione alla quota e al periodo di possesso.
Il modello è predisposto per l’indicazione analitica delle attività finanziarie; per ciascuna attività, esclusi i conti correnti e i libretti, devono essere compilati più righi qualora nel corso dell’anno siano variati la quota o il periodo di possesso.
Pertanto, nell’esempio riportato nel quesito occorre compilare due distinti righi:
in un rigo va indicato nella colonna 2 (quota di possesso) il valore 100 e nella colonna 3 (periodo) il valore 146;
nel secondo rigo va indicato nella colonna 2 (quota di possesso) il valore 50 e nella colonna 3 (periodo) il valore 219.
Nel caso in cui l’attività finanziaria detenuta all’estero riguardi conti correnti o libretti, considerato che il limite per il pagamento dell’imposta si riferisce al valore medio di giacenza pro quota, il contribuente deve compilare un solo rigo anche nel caso in cui sia variata la quota di possesso nel corso dell’anno. Solamente in tale ipotesi, nella colonna 2 la quota di possesso deve essere ponderata con riferimento ai giorni di possesso.
Pertanto qualora l’esempio riportato nel quesito fosse riferito ad un conto corrente con il valore di giacenza media pari a 10.000 euro, deve essere compilato un solo rigo indicando:
nella colonna 1 (valore attività finanziaria) 10.000;
nella colonna 2 (quota di possesso) il valore 70 (quota di possesso ponderata con riferimento ai giorni di possesso);
nella colonna 3 (periodo) il valore 365;
nella colonna 4 (imposta calcolata) (34,20 x 70% x 365): 365, pari a 23,94, importo arrotondato a 24 che, in assenza di credito d’imposta, costituisce anche l’importo di colonna 6.

Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.

Documenti collegati

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  • La vendita immobiliare

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