Cass. civile, sez. Lavoro del 1988 numero 303 (16/01/1988)


Nel rapporto di agenzia, il preponente, anche in mancanza di una clausola contrattuale che espressamente riservi al predetto la facoltà di accettare o meno gli affari proposti dall'agente, non è obbligato a concludere tutti i contratti proposti da quest'ultimo, indipendentemente dalla valutazione della loro convenienza, risultandone, in caso contrario, una inammissibile limitazione dell'iniziativa economica e della libertà di organizzazione e gestione dell'imprese proprie del preponente stesso, che è responsabile nei confronti dell'agente, per le provvigioni da questo perdute, solo nel caso di sistematico ed ingiustificato rifiuto degli affari promossi, e non anche nel caso di non pretestuoso rifiuto di singole proposte.In tema d' interpretazione dei contratti, sia il criterio della interpretazione secondo buona fede (art. 1366 cod. civ.) sia quello dell' equo contemperamento degli interessi (art. 1371 cod. civ.) costituiscono regole ermeneutiche sussidiarie, alle quali è consentito ricorrere solo quando non sia possibile individuare il senso delle clausole e la volontà effettiva delle parti alla stregua delle regole interpretative dettate dagli articoli precedenti. (Nella specie, l' impugnata sentenza - confermata dalla S.C. - aveva, in particolare, ritenuto che al preponente, in virtù di specifica clausola del contratto di agenzia, fosse riservata un' ampia facoltà di accettazione o rifiuto degli affari promossi dall' agente).

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