Cass. civile, sez. III del 2000 numero 11497 (01/09/2000)


In tema di responsabilità disciplinare dei notai, la questione interpretativa del disposto dell'art. 28 n. 3 della l. n. 89 del 1913 (a mente del quale il notaro non puo' ricevere atti se contengano disposizioni che interessino lui stesso, la moglie sua, o alcuni dei suoi parenti od affini di cui al precedente n. 2) va risolta nel senso che la nozione di "interesse", in assenza di esplicita disposizione legislativa, va individuata in base alla "ratio" posta a fondamento del divieto di rogare atti riguardanti parenti od affini, divieto operante ogni qual volta vi sia una compromissione, sia pur soltanto potenziale, della posizione di terzietà del notaio. Ne consegue che, con riferimento ad un atto di compravendita, la posizione di socio e di amministratore della societa' alienante rivestita dal figlio del notaio rogante concretizza l'interesse posto a fondamento della norma citata, a nulla rilevando, in proposito, l'esistenza dello schermo societario, poiché e' innegabile che gli atti di una società immancabilmente "interessano" i relativi soci e gli amministratori, a prescindere dalla distinzione tra società' e persone fisiche, cosi' che non puo' legittimamente predicarsi la "terzietà", rispetto alla società (tanto di persone, quanto di capitali), del notaio ovvero di un suo familiare che ne sia socio od amministratore.

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