Cass. civile, sez. I del 1984 numero 6419 (06/12/1984)


L'amministrazione della società in nome collettivo, secondo quanto dispone l'art. 2257 Codice civile per la società semplice, ma applicabile alla società in nome collettivo per effetto del rinvio contenuto nell'art. 2293 Codice civile, appartiene a ciascun socio; la regola ha carattere dispositivo e può essere derogata dai soci, i quali possono attribuire il potere di amministrazione e rappresentanza ad uno solo di essi. Il giudizio espresso dal giudice di merito sull'intervenuta stipulazione di un patto sociale derogativo della norma, che attribuisce a tutti i soci della società in nome collettivo il potere di amministrare, non è censurabile dalla Corte di cassazione se adeguatamente motivato. E' riservato alla competenza esclusiva del giudice di merito il giudizio sulla necessità di ammissione di nuove prove e tale giudizio non è sindacabile in sede di legittimità, ove dalla motivazione della sentenza risultino, anche solo per implicito, le ragioni del diniego. L'onere di provare che i cespiti attivi non siano stati sufficienti a pagare le passività di una società in nome collettivo in sede di liquidazione, incombe al liquidatore, il quale si sia rifiutato di rendere il conto, pur avendo amministrato la società e provveduto da solo alla liquidazione del patrimonio della medesima.

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