Cass. civile, sez. III del 1988 numero 3556 (21/05/1988)


Il ritardo nel pagamento dei debiti di valuta comporta, ai sensi dell' art. 1224 cod. civ., l' obbligo a carico del debitore di pagare non soltanto gli interessi legali, ma di risarcire il maggior danno causato dalla svalutazione monetaria che, quale fatto notorio, non necessita di una prova specifica, incidendo sul patrimonio del creditore in misura corrispondente al tasso di inflazione desumibile dagli indici ufficiali sul costo della vita.Ne consegue che, salva la prova, a carico del creditore, di un danno ancora maggiore (ad esempio, per l' impossibilità di attuare, a causa dell' inadempimento del debitore, specifici investimenti programmati, o per la necessità di procurarsi denaro a condizioni particolarmente svantaggiose, ovvero per la perdita di più consistenti utili derivanti dallo impiego della somma dovuta) e la prova contraria, incombente al debitore, dell' insussistenza del danno da svalutazione o della sua minore incidenza (rispetto al tasso d' inflazione), non è censurabile in sede di legittimità la pronuncia con cui il giudice del merito, su istanza del creditore, liquidi il maggior danno ex art. 1224 citato in base agli indici ufficiali istat (o con criteri equitativi), al fine di adeguare la prestazione al diminuito potere d' acquisto della moneta.

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