Cass. civile, sez. II del 2013 numero 23278 (14/10/2013)



Anche nella successione mortis causa regolata dal codice civile del 1865, la disposizione testamentaria lesiva della legittima non è nulla, ma solo esposta a riduzione, conseguente all'accoglimento della domanda del legittimario pretermesso, e, dunque, inefficace nei confronti di quest'ultimo.

In materia di testamento, la clausola si sine liberis decesserit non realizza una duplice e successiva istituzione, come nel fedecommesso, bensì un'istituzione subordinata a condizione risolutiva, verificatasi la quale il primo istituito viene considerato come se non fosse stato mai chiamato, sicché la clausola è valida solo quando abbia tutti i caratteri di una vera e propria condizione, risolutiva rispetto al primo istituito e sospensiva nei confronti del secondo, mentre è nulla quando venga impiegata per mascherare una sostituzione fedecommissaria, vietata dalla legge, occorrendo, al riguardo, un accertamento caso per caso, sulla base della volontà del testatore e delle particolari circostanze e modalità della disposizione.

Nell'interpretazione del testamento, il giudice di merito deve accertare secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall'art. 1362 c.c. - applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria - quale sia stata l'effettiva volontà del testatore, comunque espressa, valutando congiuntamente e in modo coordinato l'elemento letterale e quello logico dell'atto unilaterale mortis causa, nel rispetto del principio di conservazione, sicché viola l'art. 1367 c.c. il giudice che, dopo aver definito illeggibile una disposizione testamentaria in realtà suscettibile di interpretazioni alternative, opti immotivatamente per l'interpretazione invalidante.

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