Cass. civile, sez. Lavoro del 2000 numero 2037 (23/02/2000)


In applicazione del principio - definibile della causalità umana - accolto dal nostro ordinamento in materia di responsabilità per fatto illecito (cfr. art. 1223 e 2056 c.c. e art. 41 c.p.), secondo cui può ritenersi sussistente il nesso eziologico tra una condotta e l'evento se l'uomo con la sua azione ha posto in essere un fattore causale del risultato e questo non è dovuto al concorso di circostanze eccezionali ed atipiche, il suicidio non può essere considerato un evento idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra fatto illecito e morte del soggetto leso nel caso in cui in quest'ultimo, a causa del fatto illecito, si siano determinati gravi processi di infermità psichica, concretizzantisi in psicosi depressive o in altre gravi forme di alterazione dell'umore e del sistema nervoso e di autocontrollo, rispetto alle quali il suicidio non si configuri quale evento straordinario o atipico. (Fattispecie relativa alle conseguenze di una grave intossicazione da monossido di carbonio subita da un lavoratore in occasione di un infortunio sul lavoro ascrivibile a responsabilità penale del datore di lavoro).Deve escludersi il diritto al risarcimento dei danni morali da parte dei congiunti di persona che abbia subito, a causa del fatto illecito, integrante reato, lesioni personali, ancorché gravissime (e non anche la morte), in applicazione del principio della non risarcibilità dei danni indiretti, e in considerazione della finalità di prevenzione e repressione della risarcibilità dei danni morali - avvalorante l'interpretazione più restrittiva degli art. 185 c.p. e 2049 c.c. - nonché dell'esigenza di evitare un'eccessiva dilatazione dell'area dei danni risarcibili e duplicazioni di spese a carico del danneggiante, configurabili sia per la possibile trasmissione ai congiunti "iure hereditatis" dei risarcimenti spettanti alla vittima, sia per il fatto che il ristoro delle sofferenze patite da quest'ultima si estende anche all'alterazione della serenità e tranquillità familiare. (Nella specie la vittima era deceduta per ragioni ricollegabili causalmente all'originario fatto lesivo, dopo avere sofferto per oltre un anno a causa dei suoi gravissimi effetti; di conseguenza ai congiunti sono stati comunque riconosciuti "iure hereditatis" i danni morali spettanti alla vittima e "iure proprio" i danni morali inerenti alla sua morte; inoltre la S.C. ha annullato la sentenza impugnata per la immotivata mancata liquidazione a favore della moglie e poi vedova del soggetto leso dei danni patrimoniali inerenti all'abbandono della sua attività lavorativa causato dai gravi riflessi dell'infortunio sulla vita familiare).La liquidazione del danno alla salute e del danno morale, entrambi di natura non patrimoniale e dunque insuscettibili di essere provati nel loro preciso ammontare, può essere effettuata dal giudice con il ricorso al metodo equitativo, utilizzando come valido criterio di quantificazione del risarcimento quello che assume a parametro il cosiddetto punto di invalidità, determinato sulla base di un valore medio (calcolato sulla media dei precedenti giudiziari concernenti invalidità inferiori al 10%) , che può essere aumentato nei singoli casi in misura tale da consentire l'adeguamento all'incidenza della menomazione sulla vita specifica del danneggiato e alla entità delle sofferenze da esso patite (cosiddetto danno personalizzato); tuttavia perché la valutazione discrezionale propria del metodo equitativo non si risolva in una quantificazione arbitraria, è necessario che il giudice di merito fornisca congrue ragioni del procedimento logico attraverso il quale è pervenuto a giudicare proporzionata una certa misura del risarcimento, indicando gli elementi a tal fine valorizzati. (Nella specie la S.C. ha annullato una sentenza che, limitandosi a definire come equo il parametro utilizzato, aveva liquidato sulla base di tre milioni di lire a punto il danno biologico, senza indicare l'entità delle lesioni sofferte dal danneggiato, il grado di invalidità derivante da dette infermità nonché l'impatto che tali infermità hanno avuto sulla "persona" del danneggiato).

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