Cass. civile, sez. II del 1990 numero 2360 (31/03/1990)


Cass. civile, sez. II, 31-03-1990, n. 2630 Proposta congiuntamente da più coeredi nei confronti di uno di essi domanda di divisione della comunione ereditaria, non costituisce mutatio libelli la richiesta avanzata in corso di giudizio dagli stessi attori, sul presupposto dell'accertata indivisibilità dei beni e delle conseguenze impossibilità del sorteggio, di rimanere in comunione tra loro con conseguente stralcio della sola quota spettante al coerede convenuto, costituendo detta istanza una mera modalità di realizzazione della divisione ex art. 720 cod. civ. e, processualmente, una specificazione della domanda contenuta in citazione, come tale non richiedente una speciale procura - ma proponibile anche in appello senza necessità di accettazione della controparte. I beni che i coeredi non donatari possono prelevare dalla massa ereditaria a seguito della collazione per imputazione effettuata dai coeredi donatari, devono stimarsi per il valore che avevano all'epoca dell'apertura della successione e non già al momento della divisione, perché detti prelevamenti, pur costituendo una delle fasi in cui si attua la divisione, non si identificano con le operazioni divisionali vere e proprie, avendo, al pari della collazione, il prevalente scopo di assicurare la parità di trattamento fra coeredi donatari e coeredi non donatari.

Percorsi argomentali

Aggiungi un commento


Se vuoi aggiornamenti su "Cass. civile, sez. II del 1990 numero 2360 (31/03/1990)"

Iscriviti alla Newsletter di WikiJus!

Iscriviti