Arbitrium boni viri



Ai sensi dell'art. 1349 cod. civ. , se non risulta diversamente, si presume che le parti, che abbiano affidato ad un terzo l'incarico di determinare la prestazione, si siano rimesse al prudente apprezzamento di costui (arbitrium boni viri).

L'equo apprezzamento deve essere inteso come la valutazione di una persona dotata di buon senso e di equilibrio la quale, come tale, non può non tener conto nella determinazione di tutte le circostanze che il caso pratico impone di considerare. La valutazione assume pertanto il carattere di un'attività che si svolge in forza di criteri oggettivi nota1 .

In questa ipotesi, se la determinazione del terzo manca o se è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione viene fatta dal giudice nota2 .

I casi assunti in considerazione dalla legge sono pertanto l'assenza, l'iniquità ovvero l'erroneità della determinazione. Essa non può che reputarsi inutile, improduttiva di effetti tanto da rendere indispensabile il ricorso al giudice:

  1. Quando la determinazione dell'elemento che era stata rimessa al terzo faccia difetto essa viene fatta dal giudice (anche quando esso fosse stato investito della domanda giudiziale di condanna all'adempimento della prestazione che doveva essere determinata dal terzo: cfr.Cass. Civ. Sez. II 5272/83 ). Ciò ad eccezione del caso in cui al terzo fosse stato rimesso l'incarico di determinare il prezzo nella vendita ex art. 1473 cod. civ.. Il II comma di detta norma, infatti, prescrive che, qualora il terzo non voglia o non possa accettare l' incarico, ovvero le parti non si accordano per la sua nomina o per la sua sostituzione, la nomina, su richiesta di una delle parti, è fatta dal presidente del tribunale del luogo in cui è stato concluso il contratto. La legge non specifica il procedimento in esito al quale giungere alla determinazione giudiziale dell'elemento mancante: si reputa che il giudice possa procedere facendo uso dell'equitànota3 .
  2. Manifestamente iniqua può essere definita la determinazione ingiustificatamente lesiva della posizione negoziale di una delle parti. L'aggettivazione rende evidente che si debba trattare di un'iniquità palese, cosa che si manifesterà soltanto quando lo squilibrio sia rilevante nota4. E' stata reputata manifestamente iniqua la determinazione operata in base ad una valutazione che si sia rivelata inferiore alla metà rispetto a quella equa, in forza del principio ricavabile dall'art.1448 cod.civ. (Cass. Civ. Sez.II, 24183/04 ). Secondo la prevalente opinione la determinazione del terzo manifestamente iniqua è nulla nota5 .
  3. L'erroneità della determinazione pone più di un problema. L'errore come tale è vizio della volontà che cagiona annullabilità dell'atto che ne fosse inficiato. Si riferisce dell'erroneità come di una chiara irragionevolezza: occorre tuttavia stare attenti a non confondere l'erroneità con la manifesta iniquità. Per conferire all'attributo in esame un senso distinto è giocoforza ritenere che si tratti di errori di valutazione di elementi o di dati di fatto da rendere palese il vizio che inficia la determinazione nota6. Si pensi ad esempio ad errori di calcolo grossolani in forza dei quali viene compilata una tabella millesimale condominiale. In questo senso pare che venga data una lettura della norma in esame tale da collegare l'avverbio "manifestamente" non soltanto all'iniquità, ma anche all'erroneitànota7 . Che cosa dire degli altri casi in cui la determinazione dell'arbitratore potrebbe reputarsi viziata? Si pensi alla violenza, al dolo che ha quale effetto l'erronea determinazione dell'arbitratore, ovvero allo stato di incapacità naturale in cui egli versi. La risposta al quesito non può non influenzare la questione relativa alla natura giuridica dell'atto di determinazione nota8 .

E' difficile ipotizzare una rilevanza autonoma dei vizi cui si è fatto cenno: quello che conta sembra invero essere soltanto la corrispondenza della determinazione effettuata dall'arbitratore all'equità e ad un procedimento privo di errori apprezzabili. La violenza o lo stato di incapacità pertanto si potranno tradurre in una determinazione errata o iniqua, il che ne importerà la caducazione nota9 .

Note

nota1

Biamonti, voce Arbitrato, in Enc.dir., II, 1958, p. 952.
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nota2

Bianca, Diritto civile, Il contratto, III vol., Milano, 2000, p. 335.
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nota3

Alpa-Martini, Oggetto e contenuto, in Il contratto in generale, t. 3, in Tratt. dir.priv., dir. da Bessone, vol.XIII, Torino, 1999, p. 381.
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nota4

Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1970, p.393.
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nota5

Bianca, Diritto civile, Il contratto, III vol., cit., p.336 e Santoro, in Comm.cod.civ., dir. da Cendon, Torino, 1999, IV, p. 549.
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nota6

Santoro, in Comm.cod.civ., op. cit., p.550.
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nota7

Vasetti, voce Arbitraggio, in N.sso Dig.it., I, 1958, p. 836.
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nota8

Ed infatti i sostenitori della natura negoziale dell'atto di determinazione ad opera del terzo affermano l'applicabilità della disciplina del negozio per quel che attiene ai vizi della volontà (Carresi, Il contratto, in Trattato di dir.civ. e comm., dir. da Cicu-Messineo, Milano, 1987, p.209), mentre coloro che propendono per la diversa qualificazione di atto giuridico affermano che non è neppure concepibile "un vizio del consenso" dell'arbitratore (Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. dir.civ. e comm., dir. da Cicu-Messineo, Milano, 1988, p.1 12).
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nota9

In questo senso anche Scognamiglio, Dei contratti in generale, op. cit., p. 395.
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Bibliografia

  • ALPA MARTINI, Oggetto e contenuto, Torino, Tratt.dir.priv. diretto da Bessone, XIII, 1999
  • BIAMONTI, Arbitrato, Enc.dir., II, 1958
  • CARRESI, Il contratto, Milano, Tratt. dir.civ. dir da Cicu-Messineo cont. Mengoni, 1987
  • SANTORO, Danni nelle obbligazioni pecuniarie, Comm.cod.civ. diretto da Cendon, IV, 1999
  • VASETTI, Arbitraggio, N.sso Dig.it, I, 1958


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