Applicabilità dell'art. 2051 cod. civ. alla pubblica amministrazione (responsabilità per il danno cagionato da cose in custodia)



Ci si è domandati se la speciale regola di responsabilità di cui all'art. 2051 cod.civ. sia o meno applicabile alla pubblica amministrazione. In particolare la questione si è posta con riguardo alla responsabilità della P.A. per i danni subiti dall'utente a seguito di omessa od insufficiente manutenzione delle strade pubbliche. Si fronteggiano sul tema due distinti orientamenti giurisprudenziali.

Secondo l'orientamento nettamente predominante in giurisprudenza (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 2074/02), la tutela offerta all'utente è quella che fa capo all'art. 2043 cod. civ., dal momento che la P.A., anche nell'attività di vigilanza e controllo dei beni di natura demaniale, trova come limite alla sua discrezionalità le regole di comune prudenza e diligenza ed, in particolare, la norma primaria e fondamentale del neminem laedere , in applicazione della quale essa è tenuta a far sì che il bene demaniale non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, che dia luogo al c.d. trabocchetto o insidia stradale.

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto necessario perché si configuri la situazione di insidia, quale figura sintomatica di colpa (costruita in base ad una valutazione di normalità e tale da rendere la P.A., cui spetta la gestione e la manutenzione della strada, responsabile dei fatti lesivi ad essa attribuibili), l'esistenza congiunta di due presupposti:
  1. elemento oggettivo della non visibilità del pericolo;
  2. elemento soggettivo della non prevedibilità dello stesso.

La connotazione dell'insidia con i due caratteri della non visibilità oggettiva e della non prevedibilità oggettiva comporta, inoltre, l'inapplicabilità del concorso di colpa, di cui al I comma dell'art. 1227 cod.civ. cosicché se il fatto è imputabile alla P.A. vi sarà il conseguente risarcimento integrale del danno. Se invece il fatto è anche solo in parte riconducibile al danneggiato, quest'ultimo non avrà nessun diritto di natura risarcitoria.

In giurisprudenza si sono ravvisati gli estremi dell'insidia nel caso di:
  • segnali o cartelli erronei e contraddittori, che pongano gli utenti nell'impossibilità di discernere tempestivamente il segnale o cartello valido in modo da regolare conformemente la propria condotta di guida;
  • impianto semaforico che ad un incrocio stradale segni verdi per i veicoli provenienti da una data direzione e proietti o nessuna luce per veicoli provenienti da direzione diversa;
  • mancanza di cartelli stradali, benché rimossi da terzi e conseguente invisibilità di un cantiere aperto sulla strada per l'esecuzione di lavori in concessione all'Anas.
  • mancata tempestiva rimozione di oggetti sulla carreggiata autostradale (Cass. Civ., Sez. III, 783/13).

Il profilo dell'omissione è specialmente difficoltoso. La mancata adozione di strumenti di protezione (quali ad esempio un parapetto) non può essere di per sè invocata come fatto generatore di responsabilità, indipendentemente dal requisito della imprevedibilità da valutarsi in capo al danneggiato (Cass. Civ. Sez. III, 20328/06). Il fattore comune alle riferite ipotesi è costituito da una situazione di contrasto tra le condizioni di transitabilità reali e quelle apparenti, non percepibile dall'utente della strada con l'uso della normale diligenza. La nozione di insidia o trabocchetto venne, in un primo tempo, elaborata dalla giurisprudenza quale elemento sintomatico dell'attività colposa della P.A., ricorrente allorché la strada nascondesse una insidia non evitabile dall'utente con l'ordinaria diligenza.

Successivamente, peraltro, tale nozione è diventata un indice tassativo ed ineludibile della responsabilità della P.A., facendo ricadere l'onere probatorio in ordine alla sussistenza della stessa sul danneggiato. Investita della questione di legittimità costituzionale degli artt. 2043, 2051 e I comma dell'art. 1127 cod.civ., in rapporto agli artt. 3, 24 e 97 Cost., la Corte Cost., 156/99, nel ritenere non fondata la questione, ha considerato la nozione di insidia come una "sorta di figura sintomatica di colpa, elaborata dalla esperienza giurisprudenziale, mediante ben sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalità, con il preciso fine di meglio distribuire tra le parti l'onere probatorio, secondo un criterio di semplificazione analitica della fattispecie generatrice della responsabilità in esame". Al contrario, l'orientamento minoritario, che tuttavia parrebbe da ultimo avere una certa fortuna (cfr. Tribunale di Palermo, 14 ottobre 2015; Cass. Civ., Sez. III, 2562/12; Cass. Civ. Sez. III, 4070/98, Cass.Civ. Sez.III, 11749/98, Cass. Civ. Sez. III, 4673/96) riconduce la responsabilità della P.A., proprietaria di una strada pubblica, per i danni subiti dall'utente di detta strada, alla disciplina di cui all'art. 2051 cod.civ. , assumendo che la P.A., quale custode di detta strada, per escludere la responsabilità che su di essa fa capo a norma dell'art. 2051 cod.civ. , deve provare che il danno si è verificato per caso fortuito. Il danneggiato non dovrebbe pertanto dar conto dell'esistenza dell'insidia. Costui come non sarebbe neppure gravato dall'onere di provare la condotta commissiva od omissiva del custode, essendo sufficiente che venisse evidenziato l'evento dannoso ed il nesso di causalità con la cosa.

Tale indirizzo risulta tuttavia, disatteso da cospicua giurisprudenza, la quale nega che la presunzione di responsabilità per danni cagionati dalla cosa in custodia, di cui all'art. 2051 cod.civ. , si applichi agli enti pubblici ogni qual volta il bene, sia esso demaniale o patrimoniale, per le sue caratteristiche (estensione e modalità d'uso) sia oggetto di una utilizzazione generale e diretta da parte di terzi, ciò che limita in concreto la possibilità di custodia e vigilanza sulla cosa (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 22592/04; cfr. anche Cass. Civ., Sez. III,5669/10 in base alla quale occorrerebbe tener conto di una serie di caratteristiche concrete del bene). In tale ipotesi, tuttavia, l'ente pubblico risponderà del danno secondo la regola generale di cui all'art.2043 cod.civ., spettando dunque al danneggiato l'onere di provare i fatti costitutivi del proprio diritto al risarcimento (Cass. Civ. Sez. III, 15383/06). Questo orientamento, imperniato sulla considerazione della consistenza dimensionale del bene oggetto della custodia, è stato successivamente assoggettato a critica (cfr. Cass. Civ., Sez.III, 20427/08; Cass. Civ., Sez. III, 6537/11; Cass. Civ., Sez. III, 21508/11; Cass. Civ., Sez. III, 2562/12). Successivamente anche la giurisprudenza di merito pare aver superato il riferito criterio (Tribunale di Napoli, Sez. II, sent. n. 274/2016), dovendo piuttosto il limite alla risarcibilità essere rinvenuto nella prova del caso fortuito.
Ragionevole appare la decisione secondo la quale sarebbe invocabile il caso fortuito qualora il danno si fosse prodotto nell'intervallo temporale tra la manifestazione del pericolo e il momento in cui sarebbe stato ragionevole ipotizzare il diligente intervento manutentivo (Trib. Reggio Emilia, 23 ottobre 2014).

L'art. 2051 cod.civ. risulta applicabile nei confronti della P.A. qualora si tratti:
  1. di beni demaniali che non siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei terzi, ma vengano utilizzati dall'amministrazione medesima in situazione tale da rendere possibile un concreto controllo ed una vigilanza idonea ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo;
  2. di beni demaniali o patrimoniali che per loro limitata estensione territoriale consentano una adeguata attività di vigilanza sulle stesse. Recentemente questa opinione è stata rettificata, essendosi fatta strada una riflessione volta a conciliare l'affermazione della responsabilità dell'ente ai sensi del riferito art. 2051 cod.civ. con criteri comunque volti a mitigarne la portata. Così è stato osservato come, pur dovendosi ritenere applicabile la predetta norma anche all'ambito dei beni demaniali (essendo questi specialmente esposti a fattori di rischio non controllabili dal custode in quanto riconducibili all'utenza), il vero nodo consiste nell'apprezzamento e nell'individuazione del caso fortuito. Le ipotesi ricomprese in esso dovranno così essere individuate, nella fattispecie, in forza di criteri assai più elastici rispetto a quanto accade per i beni privati. Pertanto solamente quando si possa concludere che il danno è stato cagionato da fattori strutturali ed intrinseci al bene può essere affermata la responsabilità dell'ente, dovendo, al contrario, la stessa essere esclusa ogniqualvolta il pregiudizio sia scaturito dall'efficienza sul bene di condotte estemporanee di terzi ineliminabili dal custode pur nell'ambito di una diligente condotta (Cass. Civ. Sez. III, 15042/08 ). Ciò non elimina la responsabilità dell'ente proprietario del bene neppure quando lo stesso ne abbia affidato la pulizia e/o la manutenzione a soggetto terzo, la cui condotta negligente abbia determinato la situazione all'origine del danno (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 1691/09 in relazione al pregiudizio patito da un motociclista caduto per la presenza di gasolio sull'asfalto). Non basta ancora: è stata infatti addirittura prospettata altresì l'estraneità dell'insidia o trabocchetto rispetto all'elemento costitutivo dell'illecito (Cass. Civ. Sez. III, 4234/09). Questo esito ermeneutico, assolutamente innovativo, condurrebbe all'espunzione di detti presupposti rispetto a quanto oggetto di onere probatorio da parte del danneggiato, con una notevole agevolazione della posizione di costui rispetto a quella della P.A..

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