Appello di Milano del 2003 (14/02/2003)


Secondo l'esperienza medico legale e psichiatrica le lesioni mortali, qualora non conducano a morte istantanea, producono, nell'intervallo di tempo fra le lesioni medesime e la morte, un danno "catastrofico" (per intensità) a carico della psiche del soggetto che, lucidamente, attende l'estinzione della propria vita. Detto danno (qualificabile non già come dolore, ma essenzialmente come "sofferenza esistenziale"), in quanto danno psichico può essere apprezzato dal soggetto danneggiato, in tutta la sua intensità, pur nel breve intervallo delle residue speranze di vita, essendo in tal caso non solo e non tanto il fatto della durata a determinare la patologia, ma la stessa intensità della sofferenza e della disperazione. Esso è quindi risarcibile ai familiari della vittima "iure hereditatis" e deve essere liquidato con riferimento al momento dell'evento dannoso senza che vi incidano fatti ed avvenimenti successivi, quali la morte del soggetto leso.Il risarcimento del danno esistenziale, riconducibile alla lesione di valori costituzionalmente garantiti, quali i diritti fondamentali della persona, non può fondarsi su considerazioni che, sia pure basate sulla comune esperienza, si limitino ad un aspetto interiore della persona lesa, occorrendo la prova dell'incidenza, in concreto, della lesione di valori fondamentali dell'individuo sulle attività realizzatrici del soggetto danneggiato, con conseguente alterazione, di contenuto apprezzabile, della personalità del soggetto, sia sotto il profilo personale che relazionale, quindi "esterno", quale conseguenza del fatto illecito altrui.Posto che la liquidazione del danno "aquiliano" è volta a ripristinare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato il fatto illecito e che, pertanto, l'obbligo del risarcimento del danno derivante da fatto illecito ha natura di debito di valore, il giudice deve procedere alla suddetta liquidazione al solo scopo di pervenire alla determinazione di una riparazione equivalente all'effettiva misura degli effetti dannosi, senza che in ciò incontri dei limiti nelle mere indicazioni operate dagli attori danneggiati. Soltanto in presenza di una rinuncia univoca a maggiori pretese, costituirebbe violazione della regola tra il chiesto e il pronunciato (di cui all'art. 112 c.p.c) il prescindere, travalicandole, dalle specifiche indicazioni quantitative della parte.

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