Annullabilità della transazione per temerarietà della pretesa



Ai sensi dell'art.1971  cod.civ. se una delle parti era consapevole della temerarietà della propria pretesa, l'altra può chiedere l'annullamento della transazione.

L'approfondimento del significato della norma pone problemi che affondano le proprie radici nell'essenza stessa del negozio transattivo.

Chi reputa la res dubia essere elemento intrinseco immancabile nella transazione, non può che evidenziare un collegamento tra la temerarietà della pretesa e l'assenza di incertezza (ovviamente in capo ad una delle parti) circa la fondatezza delle proprie e delle altrui pretese.

Il problema non deve tuttavia essere impostato soltanto sulla considerazione dell'aspetto soggettivo, vale a dire con riferimento al convincimento di ciascuna delle parti nota1. E' evidente che, per lo più, le parti sono convinte che la ragione sia dalla propria parte e che il torto stia dall'altra. Ciò non toglie che una di esse potrebbe anche essere convinta di avere torto, ma quando la questione fosse oggettivamente incerta, la transazione raggiunta sarebbe comunque valida.

Quello che piuttosto rileva, ai fini della norma in esame, è l'oggettività dell'assenza di fondatezza della pretesa di una delle parti. La prescrizione di cui all'art. 1971 cod.civ. deve in questo senso essere ambientata tra quelle che seguono. Si consideri infatti che l'art. 1972 cod.civ. (prescindendo dalla prescrizione di cui al I° comma, afferente ad una transazione nulla perchè stipulata in considerazione di un titolo illecito) fa menzione di un titolo nullo sulla cui scorta l'accordo transattivo è stato raggiunto. L'art. 1973 cod.civ. disciplina invece la sorte di una transazione fatta in tutto o in parte sulla base di documenti successivamente riconosciuti falsi. Il seguente art. 1974 parla di una transazione fatta quando la lite era già stata definita con sentenza passata in giudicato delle quali le parti (o anche una di esse) non avessero avuto conoscenza. Infine l'art. 1975 cod.civ. si riferisce alla scoperta di documenti in forza dei quali si dà conto dell'insussistenza del diritto di una delle parti.

Ebbene: in tutte queste ipotesi l'annullamento della transazione è fatto dipendere dalla ricorrenza di eventi specifici, tutti comunque qualificati da due elementi:

  1. un elemento oggettivo che consiste nell'apprezzamento dell'inesistenza dei presupposti sulla cui base la transazione è stata conclusa (se la lite era già stata definita con sentenza non vi sarebbe stato infatti spazio per una transazione; se si fosse conosciuto il tenore dei documenti che attribuivano, ad esempio, esplicitamente il diritto di credito di Tizio nei confronti di Caio, sarebbe stato inutile discuterne, etc.);
  2. un elemento soggettivo costituito dalla situazione di ignoranza per lo più di tutte le parti (ma anche semplicemente di una, quando l'altra non possa dirsi specificamente a conoscenza della manifesta infondatezza della propria pretesa).

Svolte queste premesse, l'art. 1971 cod.civ. viene a porsi quale norma di chiusura, riassuntiva di tutti i casi in cui una delle parti della transazione fosse a priori consapevole della temerarietà della propria pretesa, indipendentemente dalla sussistenza delle ipotesi tipizzate dalle norme che ad esso seguono.

Quello che conta, tuttavia, ai fini della ricorrenza della fattispecie di cui all'art. 1971 cod.civ. è la coincidenza tra questo convincimento soggettivo della parte (che sa di non avere ragione) e l'effettività della situazione (l'oggettiva infondatezza della pretesa).

Gli interpreti hanno precisato che la pretesa è da considerarsi temeraria quando la domanda della parte era "completamente infondata " (Cass. Civ. Sez. III, 3797/88; Cass. Civ. Sez. II, 6191/84; Cass. Civ. Sez. I, 4790/77), mentre è non temeraria quando il fondamento possa dirsi anche solo parziale (si veda anche Tribunale di Taranto, 9 gennaio 2013) nota2.

Se le cose dette sono esatte, non sarà, invece, annullabile la transazione quando una delle parti reputi la propria pretesa del tutto infondata, ma essa effettivamente non lo è. Altrettanto si può dire quando la pretesa fosse effettivamente temeraria, tuttavia la parte non ne era consapevole.

Cosa significa propriamente "consapevole della temerarietà della sua pretesa" ?

Si tratta forse di un'ipotesi speciale di dolo negoziale, o è sufficiente la mala fede della parte, intesa come mera consapevolezza dell'infondatezza della pretesa?

Il punto è controverso nota3: secondo un'opinione il caso possiede la consistenza del dolo nota4. Per altri è invece sufficiente soltanto la mala fede di uno dei contraenti nota5. Non è infatti richiesto alcun artificio o raggiro né mendacio. Quanto alla dolosa reticenza, dovrebbe, al fine di collegare ad essa una qualche conseguenza, costruirsi un dovere di informazione dell'altro contraente simile a quello che, in materia di contratto di assicurazione, è dettato dall'art. 1892 cod.civ..

In effetti la fattispecie di cui all'art. 1971; cod.civ. richiede semplicemente la consapevolezza della temerarietà ma non fa riferimento a nessuna attitudine ingannatrice di essa. V'è di più: anche se, ictu oculi, l'altro contraente legittimato ad agire per l'annullamento sarà per lo più caduto in errore (nel senso che avrà stipulato la transazione nella convinzione che l'altra parte potesse vantare una qualche ragione), l'errore non costituisce un requisito per addivenire all'annullamento del contratto. E' dunque possibile (anche se sommamente improbabile) che la parte impugni la transazione anche quando fosse a conoscenza della temerarietà delle pretese dell'altra nota6.

Note

nota1

Cfr. Franceschetti, De Cosmo, I singoli contratti, Napoli, 1998, p.631.
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nota2

Così, tra gli altri, Cian e Trabucchi, in Commentario breve al codice civile. Complemento giurisprudenziale, Padova, 1994, p.2002.
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nota3

Secondo un'opinione risalente (Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1954, p.266) l'annullamento avrebbe richiesto anche soltanto la colpa inescusabile del contraente. La colpevole ignoranza sarebbe stata equiparata alla consapevolezza della temerarietà della propria pretesa. Si è tuttavia osservato (Franceschetti, De Cosmo, cit., p.653) che la legge richiede espressamente la "consapevolezza" della temerarietà (vale a dire una conoscenza effettiva).
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nota4

Così Carresi, La transazione, in Trattato dir. civ. it., diretto da Vassalli, Torino, 1966, p.215.
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nota5

In questo senso Santoro Passarelli, La transazione, Napoli, 1986, p.190; Del Prato, Transazione, in Enc. dir., p.859.
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nota6

Non si può accogliere la tesi in base alla quale, oltre alla consapevolezza della temerarietà della lite, sarebbe necessario anche il requisito dell'errore dell'altra parte. Non è vero cioè che, se una parte è consapevole della temerarietà della pretesa dell'altra, ciononostante concludendo l'accordo, in seguito non ha più la possibilità di domandare l'annullamento della transazione. E' irrilevante, stante il tenore della norma, che la parte fosse o meno a conoscenza della temerarietà della pretesa altrui (Santoro Passarelli, cit., p.190). Il motivo per cui ciò accada può essere il più vario. Per semplice timore, per desiderio di non suscitare apprensione in persone care, per semplice mancanza di fondi con i quali proseguire la lite giudizialmente.
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Bibliografia

  • ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1954
  • CARRESI, La transazione, Torino, Tratt.dir.civ.dir.da Vassalli, 1966
  • CIAN-TRABUCCHI, Padova, Comm. breve al cod.civ., 1994
  • DEL PRATO, Transazione (dir.priv.), Enc.dir., XLIV
  • FRANCESCHETTI-DE COSMO, I singoli contratti, Napoli, 1998
  • SANTORO PASSARELLI, La transazione, Napoli, 1986


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