Acque pubbliche e private: quadro normativo



Il regime giuridico delle acque nota1 è connotato da un gran numero di disposizioni legislative e regolamentari che, sia a livello nazionale sia regionalmente, valgono a disegnare un quadro di grave complessità connotato da elementi talvolta contradditori.

In via di sintesi è possibile tracciare una linea evolutiva che ha condotto via via ad un allargamento della categoria delle acque appartenenti al pubblico demanio.

Fondamentale è in materia la Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F sui lavori pubblici, la quale perseguiva, tra l'altro, l'attuazione del buon regime delle acque al fine di salvaguardare la sicurezza della popolazione attraverso la predisposizione di misure idonee ad impedire o limitare il verificarsi di eventi dannosi, in particolar modo mediante la costruzione di opere relative alle acque.

Successivamente il legislatore ha posto limiti sempre più vincolanti relativamente alla normale disponibilità e conservazione delle acque, talvolta tramite l'intervento diretto dello Stato, in altre occasioni per mezzo della concessione di derivazione di acque pubbliche, che costituiva lo strumento economico principale legato alla produzione agricola ed industriale nota2.

Sotto questo profilo risulta di essenziale importanza, prescindendo da disposizioni ancor meno recenti (quali ad esempio il D.Lgt. 20 novembre 1916, n. 1664, nonchè il D.L. 9 ottobre 1919, n. 2161, convertito in Legge 18 dicembre 1927, n. 2595), il R.D. 1775/33 cosiddetto T.U. in materia di acque .

Il vigente codice civile del 1942 è intervenuto solo nell'ambito della disciplina delle acque private.

Si vedano a questo proposito gli artt. 909 , 910 , 911 , 912 , 913 , 914 , 915 , 916 , 917 , 918 , 919 , 920 e 921 cod.civ., posti nel Libro terzo, Titolo II, Sezione IX, il cui titolo è per l'appunto "Delle acque". Possono inoltre essere ricordate disposizioni dettate in tema di acquisti a titolo originario (artt. 941 , 942 , 943 , 944 , 945 , 946 e 947 cod.civ.) ed in tema di servitù (artt. 1049 e 1050 ; 1080 , 1081 , 1082 , 1083 , 1084 , 1085 , 1086 , 1087 , 1088 , 1089 , 1090 , 1091 , 1092 , 1093 , 1094 , 1095 , 1096 , 1097 , 1098 e 1099 cod.civ.).

Occorre tuttavia segnalare che queste norme rinvenivano una naturale limitazione per effetto del modo di disporre dell'art.1 della L. 36/94 (cosiddetta Legge Galli, quasi integralmente abrogata dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 ) ai sensi del quale "Tutte le acque superficiali sotterranee, ancorchè non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà".

Questa norma ha avuto quale effetto quello di escludere, salvo rari e determinati casi delineati dal legislatore, la possibilità di configurare acque private suscettibili di appropriazione. In relazione al cit. intervento normativo ed ancor più in esito all'emanazione del c.d. "codice dell'ambiente" portato dal predetto D.Lgs. 152/06, le risorse idriche sono annoverate tra i beni ambientali, in quanto tali oggetto di una particolare tutela pubblica nota3.

E' stata istituita un' Autorità di bacino allo scopo di definire ed assicurare il rispetto del bacino idrico mediando tra risorse disponibili e i diversi fabbisogni di uso (artt. 3 e 27 e ss. Legge Galli), strumenti e modalità necessari per attuare il risparmio idrico, domestico, agrario, terziario ed industriale nonchè il riutilizzo delle acque reflue (art. 5 e ss. Legge Galli). Successivamente, con il "codice dell'ambiente" è stata prevista la ripartizione dell'intero territorio nazionale in distretti idrografici (art. 64 D.Lgs. 152/06), ferma restando l'istituzione, in relazione a ciascun distretto, di un'Autorità di bacino, "ente pubblico non economico che opera in conformità agli obiettivi... ed uniforma la propria attività a criteri di efficienza, efficacia, economicità e pubblicità" (art. 63 D.Lgs. 152/06).

Già con il III comma dell'art. 32 della Legge "Galli" del 1994, si faceva menzione dell'adozione, da parte del Governo, di un "apposito regolamento con il quale sono individuati gli atti normativi incompatibili con la presente legge, che sono abrogati con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento medesimo". La disposizione non faceva che prendere atto del disordine normativo in materia, anche se, curiosamente, demandava ad un atto avente forza di rango inferiore a quello legislativo (per l'appunto il regolamento) un compito così delicato come quello attinente ad un giudizio di abrogazione implicita nota4. Con il codice dell'ambiente la situazione in un certo senso si fa ancora più complessa, dal momento che la concreta attuazione della normativa viene fatta dipendere dall'emanazione di vari decreti ministeriali attuativi concernenti le varie sfere applicative del complesso normativo.

Tornando al fondamentale R.D. 1775/33 , "Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici", l'art.1 prevedeva che "sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali [...] abbiano e acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse".Con la dichiarazione di demanialità dell'acqua si caducano i diritti acquisiti dai terzi e il proprietario diviene utente (Cass. Civ. Sez. Unite, 2366/76 ); in questo senso l'iscrizione di un'acqua nell'elenco delle acque pubbliche non possiede efficacia costitutiva, avendo piuttosto carattere dichiarativo della sussistenza dei requisiti legali obiettivi (Cass. Civ. Sez. Unite, 1507/76 ).Per effetto della cit. Legge 36/94 , la quale affermava che "tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche " non era invece più rilevante, ai fini della natura pubblica di tali beni, un sindacato circa la loro attitudine a soddisfare un pubblico interesse poichè ciò doveva reputarsi addirittura insito nell'essenza del corpo idrico.

In un certo senso da questi concetti, ancorchè inespressi, muove la disciplina approntata dal D.Lgs. 152/06 il cui art.73 , nell'aprire la sezione dedicata alla tutela delle acque dall'inquinamento, enuclea le finalità di questa parte della normativa.

L'indisponibilità e la non usucapibilità delle acque da parte dei privati non comporta comunque che essi siano del tutto esclusi da una qualche forma di disposizione o di godimento di tale tipo di beni, risultando possibile in particolare che si instaurino rapporti in base a concessioni amministrative dovendo gli enti pubblici preposti attuare il contemperamento delle esigenze private e di quelle pubblichenota5.

In particolare va qui ricordato che per tutelare coloro che utilizzavano acque prima che venissero dichiarate pubbliche ai sensi della predetta Legge del 1994, l'art. 34 della stessa prevedeva un periodo transitorio di tre anni per l'esercizio del diritto al riconoscimento o alla concessione di acque.

Occorre in ogni caso rilevare che la raccolta di acque piovane in invasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici deve ancor oggi considerarsi come libera (cfr. l'abrogato art. 28, III comma, Legge "Galli" ) e che detta raccolta non richiede licenza o concessione di derivazione di acque. Anche tale attività è tuttavia disciplinata dal D.Lgs. 152/06 . L'art.74 del predetto testo normativo, in sede esplicativa delle definizioni in materia, fa menzione infatti alla lett. ee) della "fognatura separata" come di quella rete funzionale alla raccolta delle acque meteoriche .

L'art. 909 cod.civ., norma che attribuisce al proprietario del suolo il diritto di utilizzare le acque in esso esistenti, facendo salve "le disposizioni delle leggi speciali per le acque pubbliche ", tale essendo il quadro normativo, sembra destinato a sortire un'applicazione (unitamente alle norme immediatamente successive) limitata alle sole acque "raccolte in invasi o cisterne " le quali, pur appartenendo al demanio pubblico, sono suscettibili di libero uso da parte dei privati, sempre che tale uso sia rivolto al servizio di fondi o di edifici.

Note

nota1

V. Cerulli Irelli, Acque pubbliche, in Enc. giur. Treccani.
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nota2

Cfr. Lugaresi, Le acque pubbliche: profili dominicali, di tutela e di gestione, Milano, 1995, p.22.
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nota3

Si veda, già in relazione alla previgente "legge Galli" del 1994, es. Postiglione, Tutela delle acque: il quadro giurisprudenziale, in Dir. giur. agraria, 1995, pp.133 e ss..
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nota4

Così, tra gli altri, Guarnieri-Rosci, In materia di risorse idriche. Considerazioni sulla legge 5 gennaio 1994, n.36, con particolare riguardo alle forme di gestione dei servizi idrici, in N. rass. legisl., 1995, pp.1150 e ss..
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nota5

Si confrontino Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1996, p.338; Caputi Jambreghi, voce Beni pubblici, in Enc. giur. Treccani. Si badi comela Legge 36/94 all'art. 1, al I comma , disponeva espressamente che "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico, il lido del mare, [...]; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche delle leggi in materia". Le acque, quindi, come si evinceva dal combinato disposto dall'art. 1 Legge 36/94 e dal I comma dell'art. 822 cod.civ., rientrano sempre nell'ambito dei beni del demanio naturale necessario.
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Bibliografia

  • CAPUTI JAMBREGHI, voce Beni pubblici, Enc. giur. Treccani
  • CERULLI IRELLI, Acque pubbliche, Enc. Giur. Treccani
  • GALLI, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1996
  • LUGARESI, Le acque pubbliche: profili dominicali, di tutela e di gestione, Milano, 1995

Prassi collegate

  • Quesito n. 5947/C, Acque pubbliche e commerciabilità di terreni

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