Accrescimento successivo all'acquisto



E' possibile configurare l'effetto di un incremento della quota di un diritto, già facente capo al soggetto insieme ad altri, in conseguenza della dismissione di esso da parte di taluno dei contitolari ed a favore di questi?

Il problema è quello dell'ammissibilità dell'accrescimento successivo all'acquisto del diritto, che si pone logicamente distinto da quello dell'accrescimento anteriore all'acquisto della situazione giuridica attiva (ciò che evoca le ipotesi di accrescimento tra coeredi, salve le considerazioni di cui al prosieguo nonché, nell'ambito della donazione, il caso di cui all'art. 773 cod.civ.).

E' indispensabile a questo proposito una precisazione.

A rigore infatti potrebbe ridimensionarsi il fondamento della riferita distinzione imperniata sull'anteriorità o posteriorità dell'effetto incrementativo rispetto al tempo di acquisizione del diritto. Si pensi alla chiamata ereditaria congiuntiva (art. 674 cod.civ.): dal punto di vista strettamente logico non si può dire che il delato non sia titolare di alcun diritto, di modo che l'accrescimento che segue al venir meno della sua chiamata (premorienza, rinunzia etc.) si ponga come anteriore all'acquisto del diritto. Il chiamato è infatti con sicurezza titolare quantomeno del diritto di accettare l'eredità.

Occorre a tal proposito intendersi sull'oggetto dell'accrescimento e sulla titolarità dei diritti che fanno capo al chiamato.

Costui è immediatamente titolare del diritto di accettare e, subordinatamente all'aver accettato, diviene ulteriormente titolare delle situazioni giuridiche soggettive (attive e passive) che sostanziano la posizione di erede in quanto facenti parte dell'asse ereditario. Duplice è pertanto il diritto che può far capo al chiamato: il diritto di accettare che gli compete in quanto delato ed il diritto alla quota di eredità che può competergli in quanto accettante.

Ebbene: a quale dei due diritti va riferito l'accrescimento? Al diritto di accettare o al diritto alla quota dell'asse?

La questione è di rilevantissima portata: in particolare dalla soluzione del quesito dipende l'efficacia e la disciplina della vicenda incrementativa.

Se si ritiene nota1 che l'accrescimento riguardi il diritto di accettare, segue l'automaticità e la retroattività dell'effetto in capo ai chiamati che già abbiano assunto la qualità di eredi e l'impossibilità da parte di costoro di rinunziare all'aumento della porzione. Infatti non sarebbe possibile una accettazione o, inversamente, una rinunzia parziale all'eredità e tale dovrebbe essere qualificato l'atto mediante il quale il coerede pretendesse di respingere l'ulteriore parte a lui devoluta a titolo di accrescimento.

Se, viceversa, si dovesse reputare l'istituto in esame riferito al diritto sui beni dell'asse, diritto che trae origine dall'assunzione della qualità di erede nota2, le conseguenze sarebbero esattamente di segno opposto: ben potrebbe allora il coerede rifiutare l'incremento della propria quota, proprio perché esso si qualificherebbe come incremento del diritto alla quota e non come incremento della qualità di erede.

Sembra preferibile accogliere la prima tesi, che ha il pregio di una maggior coerenza logica. Qualora dovesse ammettersi la rinunzia al diritto all'incremento da parte di colui che abbia già assunto la qualità di erede, si porrebbe l'ulteriore problema di verificare la sorte della quota respinta: occorrerebbe forse farsi ricorso alle regole proprie della successione ab intestato?

Svolte queste osservazioni, è indispensabile porsi un ulteriore quesito: si è dunque errato nel qualificare l'accrescimento che opera nell'ambito della successione testamentaria come un'ipotesi di accrescimento anteriore all'acquisto?

Aver distinto tra diritto all'accettazione e diritto ai beni dell'asse (che scaturisce dall'aver accettato), riferendo al primo l'accrescimento, potrebbe indurre infatti a ritenere che questo sia piuttosto successivo all'acquisto: in tanto infatti esso opererebbe, in quanto colui a favore del quale produce effetto avesse già assunto la qualità di erede, avesse cioè già acquistato il diritto che viene ad essere incrementato.

Né maggior fortuna avrebbe porre sotto osservazione la posizione del delato che non viene a conseguire la qualità di erede: il chiamato, infatti, deve esser considerato di per sé, in quanto tale, titolare del diritto di accettare l'eredità e, in esito alla rinunzia, si potrebbe allora sostenere che il conseguenziale accrescimento a favore dei coeredi comporta la perdita di una posizione giuridica di cui il chiamato stesso è già nella titolarità.

In realtà per dirimere la questione occorre far riferimento alla specifica consistenza del diritto di accettare l'eredità e, soprattutto, alla natura giuridica della rinunzia alla stessa. Evocando una teorica che sarà oggetto di esame in sede di considerazione specifica del punto, l'atto di rinunzia all'eredità potrebbe essere configurato come rifiuto.

Il rifiuto si differenzierebbe dalla rinunzia proprio perché, mentre la seconda riguarda la dismissione di un diritto di cui si è titolari, il primo invece consiste nel respingere il contenuto di un'attribuzione che, pertanto, non appartiene ancora a colui che la rifiuta. N on si incardina pertanto alcun effetto acquisitivo in capo al soggetto "rinunziante" nota3. Rinviando la questione della qualificazione della rinunzia all'eredità a tempo debito, è comunque possibile fin d'ora concludere che, in ogni caso, essa è in grado di produrre (a differenza rispetto ad altre ipotesi qualificabili in chiave di rinunzia) l'eliminazione retroattiva della situazione giuridica già in capo al rinunziante.

Se le cose dette sono corrette, diviene allora accettabile la classificazione dell'accrescimento di cui all'art. 674 cod.civ. in chiave di incremento anteriore all'acquisto, inteso cioè come vicenda che non riguarda un diritto già entrato a far parte del patrimonio di un determinato soggetto e che, successivamente, si accresca in capo ad un altro. Nessun diritto si è appuntato in capo al delato, che in esito alla rinunzia non può più essere qualificato come tale ex tunc .

Tornando a considerare le eventualità di accrescimento successivo all'acquisto del diritto, possiamo rammentare i casi che seguono:

  1. in tema di rendita vitalizia l'art. 1874 cod.civ. prevede espressamente il caso che essa venga costituita a favore di più persone. Salvo patto contrario la parte spettante al creditore premorto si accresce a favore dei creditori superstiti;
  2. l'art. 2609 cod.civ. dispone in materia di consorzio che, nel caso di recesso o esclusione di uno tra i consorziati, la quota di partecipazione del consorziato che abbia esercitato il proprio diritto di recesso, ovvero sia stato escluso, si accresce agli altri proporzionalmente alle quote di ciascuno;
  3. l'art. 678 cod.civ., dettato in tema di legato di usufrutto, prescrive che, nell'eventualità in cui a più persone sia stato legato un usufrutto in modo che tra di loro vi sia il diritto di accrescimento, questo ha luogo anche quando una di esse viene a mancare dopo aver conseguito il possesso della cosa su cui cade l'usufrutto. Si tratta dunque di un caso di accrescimento non già anteriore all'acquisto, come in genere si può riferire a proposito delle ipotesi evocate dall'art. 674 cod.civ.. Ci si può domandare se sia prospettabile la medesima soluzione quando il legato abbia ad oggetto i diritti di uso, di abitazione, di rendita vitalizia;
  4. nella prassi si verifica il caso in cui, in esito all'atto di trasferimento tra vivi della nuda proprietà (a titolo oneroso o gratuito) di un bene, i disponenti si riservino il diritto di usufrutto congiuntivo, con patto di accrescimento reciproco. Al di fuori delle ipotesi previste si nega l'efficacia della clausola di accrescimento, che verrebbe a porsi in aperto contrasto con il divieto di cui all'art. 458 cod.civ., almeno ogniqualvolta l'evento determinante l'incremento venisse a coincidere con la morte dell'attuale titolare del diritto nota4 .

In materia societaria si pone a questo proposito il problema dell'ammissibilità del patto di accrescimento della quota del socio defunto in capo ai soci superstiti. Come si avrà modo di verificare, la soluzione consiste nel tener comunque fermo a favore degli eredi del socio defunto, il contenuto patrimoniale afferente alla partecipazione sociale.

Anticipando in qualche misura l'analisi di ciascuna figura, si può cercare di enucleare le caratteristiche delle situazioni giuridiche soggettive idonee a dar vita ad un accrescimento successivo all'acquisto nelle seguenti:

  1. occorre che l'incremento derivi dalla natura intrinseca del diritto che subisce un incremento quantitativo, in dipendenza della forza espansiva che è propria di esso. Ciò si verifica ogni qualvolta il diritto spetta a più soggetti congiuntivamente tra loro. E' la congiuntività praticabile per ogni specie di diritto? Se è possibile riferire di un usufrutto congiuntivo (da tenersi distinto rispetto al cousufrutto, nel quale cioè l'usufrutto è semplicemente posto in comunione tra più soggetti) da concepirsi come un diritto spettante potenzialmente per l'intero a più titolari, non pare invece pensabile di poter configurare un diritto di proprietà congiuntiva in antitesi rispetto alla comunione.
La modalità congiuntiva non è dunque un peculiare atteggiamento di qualsiasi diritto, bensì una modalità che deve rinvenire un parallelo elemento strutturale proprio ed intrinseco rispetto al diritto di cui si tratta. Questo elemento strutturale potrebbe rinvenirsi nella tendenziale temporaneità del diritto di modo che esso non possa oltrepassare la durata della vita umana. Non a caso, oltre all'usufrutto, è possibile parlare di congiuntività della rendita vitalizia, in relazione alla quale può essere efficace la regola dell'accrescimento ex art. 1874 cod.civ..
La temporaneità è tale da consentire all'accrescimento di non venire a collidere con il potenzialmente contrastante principio dell'attribuzione del diritto per successione;
  1. un'altra via è percorribile allo scopo di giustificare l'operatività del fenomeno: quella cioè di spiegarne l'efficacia con l'inalienabilità della situazione giuridica soggettiva, ovvero con l'essere la medesima collegata ad un complesso di diritti e di obblighi. Questo è il caso della posizione del consorziato che recede o che viene escluso dall'ente, determinandosi l'accrescimento della posizione di costui in capo agli altri consorziati in via proporzionale (art. 2609 cod.civ.).

Note

nota1

Secondo l'opinione pressoché unanime della dottrina: cfr. Grosso-Burdese, Le successioni. Parte generale, in Trattato di dir.civ., dir. da Vassalli, Torino, 1977, p.187 e Scognamiglio, Il diritto di accrescimento nelle successioni a causa di morte, Milano,1953, p.80.
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nota2

Bianca, Diritto civile, vol.II, Milano,1985, p.450.
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nota3

Così Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1996, p.815.
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nota4

Robbe, voce Accrescimento, in N.sso Dig.it., p.177.
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Bibliografia

  • BIANCA, Diritto civile, Milano, III, 1985
  • GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006
  • GROSSO-BURDESE, Le successioni. Parte generale, Torino, Tratt.dir.civ. it. diretto da Vassalli, XII - t.1, 1977
  • ROBBE, Accrescimento, N.sso Dig.it., I, 1957
  • SCOGNAMIGLIO, Il diritto di accrescimento nelle successioni a causa di morte, Milano, 1953


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