88 - Clausole statutarie disciplinanti il diritto e l'obbligo di covendita delle partecipazioni


Massima

22 novembre 2005

Si reputano legittime le clausole statutarie che prevedono, in caso di vendita di partecipazioni in s.p.a. o in s.r.l., il diritto e/o l'obbligo dei soci diversi dall'alienante di vendere contestualmente, a loro volta, le partecipazioni possedute; queste clausole, tuttavia, restano soggette alle disposizioni relative ai limiti alla circolazione delle partecipazioni, proprie dei rispettivi tipi sociali (s.p.a. o s.r.l.) e - ove prevedano l'obbligo di vendita - devono essere compatibili con il principio di una equa valorizzazione della partecipazione obbligatoriamente dismessa.

Motivazione

La prassi sta dimostrando interesse per l'inserimento, nello statuto sociale, di clausole di covendita, (dette anche di "trascinamento", ovvero anche "tag along" o "drag along"). Si tratta, in buona sostanza, delle clausole che prevedono (in via alternativa ovvero in combinazione tra loro) il diritto: (a) di alcuni soci (in genere, la minoranza) nel caso di vendita da parte di altri (in genere, la maggioranza), di cedere a loro volta le partecipazioni possedute, a condizioni economiche predeterminate (in genere, ma non necessariamente, a parità di condizioni); (b) di alcuni soci (in genere, la maggioranza) di costringere altri soci (in genere, la minoranza) a cedere a condizioni economiche predeterminate (in genere, ma non necessariamente, a parità di condizioni) le partecipazioni possedute, nel caso di alienazione da parte dei primi.
Il limite di durata massima che la riforma ha disposto anche per i patti parasociali delle società non quotate è, assai probabilmente, circostanza che concorre al nuovo interesse per l'inserimento in statuto di questo genere di pattuizioni; esse, infatti, avevano finora avuto sede naturale, almeno di massima, negli accordi tra i soci, e della loro validità, nel contesto di tali accordi diretti, dotati di efficacia limitata alle parti contraenti, non si era sostanzialmente dubitato. Il giudizio nei confronti della clausola di covendita merita nuova riflessione allorchè la stessa, nelle sue varie configurazioni contenutistiche, assurga a regola statuaria. Le conseguenze che ne derivano in termini di opponibilità alla generalità dei soci, (attuali ma soprattutto futuri) ed ai terzi, esigono infatti che essa si conformi alle regole che l'ordinamento fissa per la validità delle clausole stautarie limitative alla circolazione delle partecipazioni, tenendo conto altresì del concorrente principio secondo il quale, al venir meno (forzato) della qualità di socio, deve accompagnarsi il riconoscimento del giusto valore della partecipazione dismessa.
Che la clausola possa concretamente atteggiarsi a limitazione del potere di disporre è dimostrato già ove si consideri l'ipotesi sopra indicata sub a), posto che il socio che aspira alla vendita è tenuto a rendere conto anche gli altri soci partecipi dell'operazione programmata; egli, in buona sostanza, patisce un onere, non soddisfacendo il quale gli resta impedito di alienare la propria partecipazione. La clausola che, secondo quanto esposto sub b), obbliga poi alcuni soci ad alienare la propria partecipazione alle condizioni pattuite da altri soci, (oltre a concretare anch'essa, come è evidente, limitazione al diritto di esporre autonomamente), non può d'altra parte, nei suoi contenuti concreti, essere incompatibile con il principio della equa valorizzazione della partecipazione stessa: sembrano in tal senso deporre le norme in materia di azioni riscattabili (si veda l'art. 2437-sexies cod. civ., con riferimento alla s.p.a.) e a quelle in materia di esclusione (si veda l'art. 2437-bis cod. civ., con riferimento alla s.r.l.). In entrambi i casi, infatti, si tratta - com'è per questo tipo di clausola di covendita - di situazioni idonee a determinare, forzatamente, la perdita della qualità di socio, ed appare significativo che il legislatore, nei due casi anzidetti, si preoccupi di affermare, mediante rinvio alle modalità di determinazione del valore spettante al recedente, il diritto alla esatta soddisfazione patrimoniale. Secondo l'esposizione che precede, quindi, il giudizio a proposito della validità ed efficacia di queste clausole matura dalla verifica, da compiersi "caso per caso", della loro adeguatezza alle regole generali sopra ricordate. Volendo tentare la formulazione di una succinta casistica, a titolo puramente orientativo rispetto all'eterogeneo contenuto che queste clausole possono concretamente rivestire, sembra si possa affermare la valdiità e l'efficacia: a) della clausola che preveda il diritto di vendere; b) della clausola che preveda l'obbligo di vendere ad un prezzo non inferiore al valore che spetterebbe in caso di recesso; c) della clausola che preveda l'obbligo di vendere partecipazioni in società per azioni senza predeterminazione di un prezzo minimo, purchè sia statutariamente previsto il diritto di recesso nel caso in cui il prezzo risulti, nel caso concreto, significativamente inferiore al valore che spetterebbe in caso di recesso; d) della clausola che preveda l'obbligo di vendere partecipazioni in società a responsabiità limitata senza predeterminazione di un prezzo minimo, ma in tale caso spetta, al soggetto eventualmente tenuto a vendere per prezzo significativamenten inferiore al valore che spetterebbe in caso di recesso, il diritto di esercitare il recesso medesimo.

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