83 - Clausole statutarie per l'individuazione del presidente dell'assemblea


Massima

22 novembre 2005

Sono conformi agli artt. 2371 cod. civ. e 2479-bis, comma 4 cod. civ. le clausole statutarie che, fermo restando il criterio residuale della nomina del presidente dell'assemblea da parte degli intervenuti, individuano tale figura:
  • mediante associazione ad una carica sociale (es. amministratore unico, presidente o componente di un organo collegiale, liquidatore, direttore generale);
  • mediante indicazione nominativa o rinvio a designazione da parte di soggetto determinato o determinabile (siano o no i designati e i designanti soci, titolari di cariche sociali o terzi estranei);
  • mediante qualsiasi altro criterio idoneo ad assicurarne la determinabilità in ogni assemblea sociale.
Alla condizione dell'assenza del primo indicato, che porta all'attribuzione della carica di presidente ad un indicato in subordine, va equiparata in via interpretativa, quand'anche non sia esplicitato nella clausola, ogni ipotesi di impedimento e/o di rifiuto di assunzione della carica da parte del primo indicato, pur presente in assemblea.

Motivazione

Nello stabilire a chi spetti la presidenza dell'assemblea, l'art. 2371 cod. civ. (per la s.p.a.) e l'art. 2479-bis cod. civ. (per la s.r.l.) c.c. danno ampio ed esplicito spazio all'autonomia statutaria, limitandosi ad offrire una soluzione per il caso che lo statuto non disponga ovvero non possa in concreto avere applicazione. Questa soluzione residuale - nomina del presidente da parte degli intervenuti aventi diritto di voto, con decisione a maggioranza in forza della relativa partecipazione al capitale - rappresenta l'unico contenuto inderogabile (perché teso a consentire in ogni evenienza lo svolgimento delle riunioni) delle citate disposizioni: le quali, per il resto, si rimettono alle scelte organizzative compiute dallo statuto. Se sono assai diffuse le clausole che associano la presidenza dell'assemblea ad una carica sociale (in particolare, nel sistema tradizionale, a quella di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore unico, anche se ulteriori cariche possono essere rilevanti, anche in via tra loro subordinata), niente esclude che lo statuto identifichi nominativamente il soggetto ritenuto idoneo a ricoprire il ruolo, sia questo interno o esterno rispetto alla società: nel primo caso potrebbe trattarsi anche di un determinato socio (e la scelta, nella s.r.l., potrebbe tradursi nel riconoscimento di un diritto particolare di quel socio ad essere presidente delle assemblee); nel secondo caso potrebbe trattarsi di un consulente di fiducia della società e dei suoi soci.

Allo stesso modo lo statuto potrebbe attribuire a soggetti nominativamente indicati, interni o esterni rispetto alla società, il potere di designare, di volta in volta, il presidente delle assemblee (ed anche in tal caso nella s.r.l. il potere di designazione, se attribuito ad un socio, potrebbe integrare un diritto particolare). Più in generale, lo statuto può stabilire qualsiasi criterio oggettivo o soggettivo idoneo a determinare o far determinare il presidente delle assemblee sociali, nella certezza che l'eventuale impossibilità pratica di attribuire la presidenza di singole assemblee alle persone così designate viene rimediata dalla nomina ad opera degli intervenuti in assemblea.

Avviene di frequente che lo statuto designi per la carica in discorso più soggetti, in via tra loro subordinata, per il caso che il primo designato non assuma la presidenza. Assai diffusa è, ad esempio, la clausola che assegna la presidenza dell'assemblea al presidente del consiglio di amministrazione o, in caso di sua assenza (o impedimento), al vice-presidente dello stesso organo e, in ulteriore difetto, al consigliere più anziano (o al presidente del collegio sindacale, ecc.). L'evidente scopo di queste designazioni subordinate è di non ricorrere alla nomina (da parte della maggioranza) assembleare tutte le volte che la precedente designazione non aiuti per una qualsiasi ragione. Le formule tradizionali "in caso di assenza" e "in caso di assenza o impedimento" non vanno perciò interpretate alla lettera: il designato ulteriore non viene in considerazione solo quando il precedente sia assente o, pur presente, sia materialmente impedito dallo svolgere le funzioni di presidente (perché ad esempio affetto da mutismo o sordità), bensì più in generale tutte le volte che il designato con precedenza, presente in assemblea, ritenga opportuno non assumere il ruolo: ad esempio, per una non adeguata conoscenza della lingua in cui vengono svolti gli interventi o degli aspetti giuridici rilevanti nello svolgimento di una delicata riunione in cui le incertezze nella conduzione dei lavori assembleari possano offrire il destro a tentativi di impugnazione delle relative delibere. Al riguardo è bene precisare che, quand'anche il rifiuto del primo designato possa essere giudicato in termini di violazione di un dovere inerente alla carica (il che non è scontato e dipende dall'interpretazione della clausola), detta violazione potrà causare problemi di responsabilità, ma non vizi di invalidità della delibera assembleare, in quanto adottata al termine di un procedimento svoltosi - per quanto sopra riferito - nel pieno rispetto della clausola di designazione contenuta nello statuto.

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