72 - Imputazione del disavanzo da concambio nella fusione e nella scissione


Massima

15 novembre 2005

Il principio della continuità dei bilanci in sede di fusione, sancito dall'art. 2504-bis, comma 4 cod. civ., implica che, di regola, il capitale sociale della società risultante dalla fusione non possa eccedere la somma del capitale sociale e delle riserve delle società partecipanti alla fusione.
Tale assunto è peraltro suscettibile di deroga in caso di disavanzo "da concambio", dovuto alla differenza tra il capitale sociale dell'incorporata ante fusione, e l'aumento di capitale sociale deliberato dall'incorporante a servizio della fusione, in misura necessaria per soddisfare il rapporto di cambio, qualora non vi siano sufficienti riserve (nel patrimonio netto dell'incorporata e/o dell'incorporante) per "coprire" detta differenza.
Deve infatti ritenersi consentita anche in questo caso - oltre che nell'ipotesi di disavanzo "da annullamento", pacifica in giurisprudenza e dottrina - l'imputazione del disavanzo da concambio "agli elementi dell'attivo e del passivo delle società partecipanti alla fusione e, per la differenza e nel rispetto delle condizioni previste dal numero 6 dell'articolo 2426 cod. civ., ad avviamento", a norma dell'art. 2504-bis, comma 4, seconda frase cod. civ..
Tuttavia, posto che siffatta imputazione del disavanzo da concambio, a differenza di quello da annullamento, comporta la formazione ex novo di capitale sociale non coperto da valori già risultanti nelle scritture contabili e nei bilanci delle società partecipanti alla fusione, è in tal caso necessario che venga redatta anche la relazione di stima del patrimonio della società incorporata a norma dell'art. 2346 cod. civ., la quale potrà pertanto essere affidata agli esperti incaricati della relazione sulla congruità del rapporto di cambio, in analogia a quanto dispone l'art. 2501-sexies, comma 7 cod. civ..
In alternativa a quanto sopra, è comunque fatta salva la possibilità che la società incorporante soddisfi il rapporto di cambio a favore degli azionisti dell'incorporata mediante altre modalità (quali l'assegnazione di azioni proprie; la redistribuzione di azioni del capitale della società incorporante, con conseguente riduzione della partecipazione dei soci originari; l'assegnazione di azioni senza valore nominale; etc.), che rispettino comunque l'esigenza di assicurare ai soci dell'incorporata una partecipazione congrua rispetto ai rapporti economici delle società partecipanti alla fusione, ma che non implichino un aumento del capitale sociale dell'incorporante superiore alla somma del capitale sociale dell'incorporata, delle riserve dell'incorporata e delle riserve dell'incorporante imputabili a capitale.
La medesima conclusione deve ritenersi applicabile, mutatis mutandis, anche per la scissione, sia in ipotesi di scissione a favore di società preesistenti (nella quale si riproduce una situazione sostanzialmente analoga a quella della fusione per incorporazione), sia in caso di scissione a favore di società di nuova costituzione (nella quale, invece, l'imputazione del disavanzo da concambio rappresenta addirittura una "conditio sine qua non" per poter dar corso all'operazione, ogni qual volta la parte di patrimonio assegnata ad una beneficiaria di nuova costituzione, pur avendo un valore effettivo positivo, presenti valori contabili negativi).
E' fatta salva ogni diversa conseguenza derivante dall'applicazione dei principi IAS - IFRS, per le società che li abbiano adottati in via obbligatoria o facoltativa.

Motivazione

La massima affronta la specifica questione dell'ammissibilità dell'impu­tazione del c.d. disavanzo da concambio "agli elementi dell'attivo e del passivo delle società partecipanti alla fusione e, per la differenza e nel rispetto delle condizioni previste dall'art. 2426, n.6 cod. civ. ad avviamento" (art. 2504-bis, comma 4 cod. civ.), nonché le sue conseguenze sul procedimento di fusione.

Il disavanzo da concambio si verifica allorché, nella fusione per incorporazione, la società incorporante deliberi un aumento di capitale a servizio del concambio delle azioni della società incorporata, di importo superiore al patrimonio netto contabile della società incorporata stessa. La differenza tra questi due valori (aumento di capitale dell'incorporante e patrimonio netto dell'incorporata) costituisce il disavanzo da concambio. Tale situazione si verifica quando i valori effettivi del patrimonio dell'incorporata sono superiori, in proporzione al capitale sociale, a quelli dell'incorporante, rendendosi necessario attribuire agli azionisti della società incorporata un numero di azioni che consenta loro di man­tenere sostanzialmente inalterato il valore delle loro partecipazioni.

Si ritiene di poter affermare la possibilità di imputare nel bilancio post fusione della società incorporante, oltre che il disavanzo da annullamento, anche il disavanzo da concambio, per le ragioni che seguono.

Anzitutto, si consideri che la lettera della legge, nel consentire la deroga al principio di continuità dei bilanci, dettato dall'art. 2504-bis, comma 4, primo periodo cod. civ., non distingue la natura del disavanzo, se da annullamento o da concambio. Né d'altronde il riferimento alle condizioni previste dal numero 6 dell'art. 2426 cod. civ., per l'iscrizione dell'avviamento, può rappresentare un elemento decisivo in senso contrario: anche in caso di disavanzo da concambio, infatti, si può ritenere che la società incorporante e la sua compagine sociale in qualche modo acquisiscano a titolo oneroso, a fronte cioè dell'emissione di nuove azioni, il complesso aziendale che costituisce il patrimonio della società incorporata.

Nemmeno può dirsi, obiettando alla soluzione qui proposta, che l'imputazione del disavanzo da concambio non sarebbe ammissibile in quanto darebbe vita ad una rappresentazione "spuria" del valore post fusione: infatti, tale osservazione è in sé corretta, ma prova troppo, in quanto essa vale nello stesso modo anche per il disavanzo da annullamento, qualora la partecipazione nell'incorporata sia iscritta nel bilancio della società incorporante ad un valore inferiore al valore effettivo del patrimonio della società incorporata stessa. Sia nel caso del disavanzo da annullamento, che nel disavanzo da concambio, infatti, è ben possibile che il disavanzo esprima solo una parte del valore effettivo dei beni dell'incorporata, e non già tutto il loro valore effettivo o fair value. E d'altronde le circostanze da cui ciò dipende - ossia le circostanze in dipendenza delle quali il maggior valore dei beni dell'incorporata sia espresso per intero o solo in parte nel disavanzo - sono casuali sia in caso di disavanzo da annullamento, che in caso di disavanzo da concambio. Nel primo caso, infatti, esse possono consistere nel momento in cui è stata acquistata la partecipazione nell'incorporata (recente o lontano nel tempo), nelle eventuali variazioni di valore dei cespiti dell'incorporata (avvenuti nel frattempo), e nella scelta del criterio di valutazione della partecipazione (al costo o col metodo del patrimonio netto). Nel secondo caso, invece, esse consistono nella composizione del patrimonio netto delle due società partecipanti alla fusione (in particolare nel rapporto tra capitale e riserve), nonché nel rapporto tra valore nominale e valore effettivo del patrimonio delle società stesse. Vero è che sono casualità "diverse", ma è altrettanto vero che in entrambi i casi esse possono far sì che il maggior valore "effettivo" del patrimonio dell'incorporata, rispetto al suo patrimonio netto contabile, sia rappresentato nel disavanzo da un minimo vicino allo zero per cento ad un massimo pari al cento per cento. Pertanto, le considerazioni sulla diversa natura dei disavanzi e sulla diversa "casualità" da cui dipende la loro misura, pur essendo condivisibili, non paiono decisive per ammettere l'imputazione del disavanzo solo in un caso e non nell'altro. Sia il disavanzo da annullamento che il disavanzo da concambio esprimono infatti un maggior valore del patrimonio dell'incorporata, suscettibile di essere imputato (alle condizioni qui precisate) nel bilancio dell'incorporante, sempre che, s'intende, essi esprimano "effettivamente" un maggior valore e non siano invece il frutto di "un cattivo affare" in sede di acquisto della partecipazione o di negoziazione del rapporto di cambio.

Si consideri inoltre che, mentre nella fusione sarebbero concepibili alcuni meccanismi di soddisfazione del rapporto di cambio a favore degli azionisti dell'incorporata, tali da consentire l'operazione senza dar luogo ad un disavanzo da concambio (ossia ridistribuendo il medesimo capitale sociale della società incorporante anche agli azionisti della società incorporata), diversamente, nella scissione, l'opposta tesi dell'ammissibilità della imputazione del solo disavanzo da annullamento renderebbe del tutto impraticabili talune ipotesi di scissione: ciò si verificherebbe, come evidenziato nella massima, ogni qualvolta la parte di patrimonio assegnata ad una beneficiaria di nuova costituzione, pur avendo un valore effettivo positivo, presenti valori contabili negativi. Pertanto, va rigettata un'interpretazione della norma che abbia come effetto una sia pur parziale inapplicabilità dell'istituto oggetto di disciplina.

Né infine può essere considerato come argomento decisivo in senso contrario il rilievo che tramite l'imputazione del disavanzo da concambio si verrebbe a creare del capitale sociale in parte coperto da valori non già iscritti nel bilancio della incorporata. Ciò è pur vero, ma proprio a questo riguardo si afferma la necessità - solo nel caso del disavanzo da concambio e non nell'avanzo da annullamento - di affidare agli esperti designati ai sensi dell'art. 2501-sexies c.c. anche il compito di redigere la perizia ai sensi dell'art. 2346 cod. civ., con l'attestazione che il valore del patrimonio della società incorporata è almeno pari all'aumento di capitale deliberato dall'incorporante al dine di emettere le azioni o quote necessarie per la soddisfazione del rapporto di cambio. Del resto, non mancano nell'ordinamento analoghe ipotesi, nelle quali la legge prevede espressamente la necessità di ricorrere alla perizia ai sensi dell'art. 2346 cod. civ., per valutare gli assets patrimoniali che vengono attribuiti alla società incorporante a fronte della creazione del capitale sociale: è questo il caso dell'incorporazione di una società di persone da parte di una società di capitali, come prevede l'art. 2501-sexies, comma 7 cod. civ.. Di tale norma, quindi, si farebbe applicazione analogica anche in questa ulteriore ipotesi, in cui la fusione darebbe luogo alla creazione di capitale sociale mediante l'imputazione di valori non già iscritti nel bilancio della società incorporata. Che l'art. 2501-sexies, comma 7 cod. civ., non rappresenti una norma eccezionale, d'altronde, sembra abbastanza evidente, allorché si pensi che ad esso occorre necessariamente far ricorso per dare esecuzione ad una fusione "eterogenea", mediante incorporazione, da parte di una società di capitali, di un ente di diversa natura.

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