71 - Mancata emissione dei certificati azionari


Massima

22 novembre 2005

La clausola statutaria che prevede la mancata emissione dei certificati azionari, ai sensi dell'art. 2346, comma 1 cod. civ., al di là della diversa ipotesi di dematerializzazione obbligatoria o facoltativa, ha in linea di principio portata generale e riguarda pertanto tutte le azioni della società.
Lo statuto può tuttavia attribuire ad ogni socio la facoltà di scegliere se richiedere o meno l'emissione dei certificati azionari incorporanti tutte o parte delle proprie azioni, circostanza della quale si darà evidenza con apposita annotazione nel libro dei soci.
L'introduzione o la soppressione della clausola statutaria che prevede la mancata emissione dei certificati azionari non dà luogo alla causa legale di recesso di cui all'art. 2437, comma 2, lett. b) cod. civ. - consistente nella introduzione o nella rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari - non avendo ad oggetto la trasferibilità delle azioni, bensì la modalità del loro trasferimento.
Nelle ipotesi di mancata emissione dei certificati azionari ai sensi dell'art. 2346, comma 1 cod. civ., devono trovare applicazione analogica l'art. 2022, comma 2 cod. civ., e il corrispondente art. 11 r.d. 239/42, nel senso che l'iscrizione dell'acquirente nel libro dei soci (a sua volta presupposto necessario ai fini della legittimazione, ex art. 2355, comma 1 cod. civ.) può essere richiesta:
  • dall'alienante, il quale deve provare la propria identità e capacità di disporre mediante certificazione di un notaio o di un agente di cambio (o soggetti a quest'ultimo equiparati per legge);
  • dall'acquirente, il quale deve dimostrare il suo diritto mediante atto autentico.
E' fatta peraltro salva la possibilità che lo statuto preveda, oltre a quanto sopra, requisiti formali più rigorosi per il trasferimento delle azioni non incorporate in certificati azionari, quali la scrittura privata autenticata o l'atto pubblico.

Motivazione

Il primo principio affermato nel presente orientamento interpretativo dà risposta alla questione se lo statuto o una sua modifica possano prevedere la mancata emissione dei certificati azionari solo per una parte delle azioni in circolazione, vuoi individuando a priori quali azioni debbano essere incorporate in certificati azionari e quali no (ad esempio in presenza di diverse categorie di azioni), vuoi rimettendone la scelta di volta in volta ai singoli azionisti, eventualmente con facoltà di passare nel corso del tempo da un regime all'altro. Sebbene la lettera della norma possa a prima vista far pensare ad una scelta statutaria necessariamente radicale ("lo statuto può escludere l'emissione dei relativi titoli"), non vi sono in realtà motivazioni sufficientemente convincenti per negare all'autonomia negoziale di avvalersi solo in parte della facoltà concessa dalla legge.

Un argomento letterale in tale senso, seppure a contrario, è rinvenibile nello stesso art. 2346 cod. civ., laddove nel secondo comma si nega espressamente che lo statuto possa prevedere l'eliminazione del valore nominale solo per alcune azioni e non per tutte. La contiguità delle due disposizioni induce a ritenere che, ove il legislatore avesse rinvenuto l'opportunità di limitare l'autonomia negoziale nel momento in cui si prevede la facoltà di escludere l'emissione dei certificati azionari, lo avrebbe espresso anche nel primo comma, allo stesso modo in cui lo ha manifestato nel secondo.

Inoltre, se è vero che la convivenza di azioni con valore nominale e azioni senza valore nominale creerebbe difficoltà quasi insormontabili, la presenza di diverse tecniche rappresentative, nell'alveo delle scelte statutarie, non darebbe luogo ad analoghi problemi. Anzi, tale compresenza era di fatto tollerata dall'ordinamento previgente, allorché ci si avvalesse della facoltà di procedere alla dematerializzazione delle azioni non negoziate in mercati regolamentati (c.d. dematerializzazione facoltativa, ex art. 28, comma 2, d.lgs. 213/1998), lasciando peraltro aperta la possibilità che fossero gli azionisti a chiedere, per le azioni in possesso di ciascuno di essi, l'ammissione al sistema di gestione accentrata degli strumenti finanziari.

Né pare decisivo il possibile argomento contrario ravvisabile nella necessità di tutelare i terzi acquirenti delle azioni, i quali dovrebbero essere messi in grado di conoscere preventivamente il regime rappresentativo delle partecipazioni azionarie che intendono acquistare. Non sembra infatti che la previsione statutaria della mancata emissione "parziale" dei certificati azionari comporti la possibile lesione di interessi dei terzi acquirenti. Ciò non avviene per definizione nell'ipotesi in cui lo statuto individui a monte le azioni per le quali si esclude l'emissione dei certificati azionari, ma a ben vedere non si verifica neppure nel caso in cui lo statuto lasci ai singoli soci la possibilità di passare da un regime all'altro nel corso del tempo.

Si è poi voluto precisare che l'introduzione o la soppressione della clausola statutaria che prevede la mancata emissione dei certificati azionari non dà luogo alla causa legale di recesso di cui all'art. 2437, comma 2, lett. b, c.c. (introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari). È pur vero che l'adozione dell'una o dell'altra tecnica rappresentativa può comportare una maggiore o minore facilità pratica di trasferire le azioni, ma si tratta appunto di modalità di trasferimento, che non rappresentano limiti alla circolazione delle azioni, né tanto meno limiti al "diritto" dell'acquirente delle azioni di ottenere l'iscrizione del proprio nome nel libro dei soci (in ciò consistendo, a ben vedere, ogni ipotesi di limite alla circolazione delle azioni ai sensi dell'art. 2355-bis cod. civ.).

Quanto, infine, alla disciplina che regola le modalità di trasferimento delle azioni, in caso di mancata emissione dei certificati azionari, non si è ritenuto possibile estendere analogicamente quanto dettato dalle norme della s.r.l. per il trasferimento di partecipazioni in s.r.l., in considerazione del fatto che tale sistema si fonda sull'iscrizione nel registro delle imprese, quale presupposto dell'iscrizione nel libro dei soci, e tenuto conto del principio di tipicità e tassatività degli atti soggetti ad iscrizione. L'analogia è invece possibile nell'ambito del sistema di norme che regolano i trasferimenti azionari, che inducono a ritenere vigente, quale modalità "minima" per ottenere l'iscrizione nel libro dei soci (e salva una disciplina di forma convenzionale maggiormente rigorosa, di fonte statutaria) una sorta di doppio binario: (i) vuoi su richiesta dell'alienante, il quale deve provare la propria identità e capacità di disporre mediante certificazione di un notaio o di un agente di cambio o soggetti equiparati per legge (circostanza che può realizzarsi anche mediante l'autentica notarile della sottoscrizione del solo cedente in calce alla scrittura privata di vendita delle azioni); (ii) vuoi su richiesta dell'acquirente, il quale deve dimostrare il suo diritto mediante atto autentico.

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