34 - Clausole di divieto o di mero gradimento riferite alla costituzione di usufrutto o di pegno su azioni di spa


Massima

19 novembre 2004

Sono legittime, anche in assenza del termine di efficacia di cinque anni di cui all'art. 2355-bis, 1° comma cod. civ., le clausole che vietano la costituzione di usufrutto o di pegno su azioni.
Sono legittime, ed efficaci anche in assenza della previsione di un obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci ovvero del diritto di recesso del costituente, le clausole di mero gradimento riferite alla costituzione di usufrutto o di pegno su azioni.

Motivazione

Le modifiche apportate dal d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 alla disciplina del trasferimento delle azioni rendono non più attuale il dibattito, assai vivo nel vigore della normativa anteriore alla riforma, sulla legittimità delle clausole che vietano o subordinano a mero gradimento il trasferimento di azioni; infatti il nuovo art. 2355-bis cod. civ. prevede espressamente la possibilità che lo statuto "sottoponga a particolari condizioni" il trasferimento delle azioni, ed in particolare contenga un divieto assoluto ovvero una clausola di mero gradimento, disciplinandone condizioni di validità ed effetti.
Il legislatore della riforma ha, infatti, privilegiato, come più volte rilevato, il principio della libera determinabilità da parte dei soci delle regole di funzionamento della società, intese in senso ampio e quindi anche eventualmente connesse alla disciplina del trasferimento della partecipazione individuale del socio, principio che trova conferma, appunto, nel primo comma dell'art. 2355-bis cod. civ. ove si ribadisce in termini generali la legittimità di clausole statuenti "particolari condizioni" per il trasferimento di azioni.
Gli interessi tutelati dalle clausole di intrasferibilità assoluta o di mero gradimento connesse al trasferimento di azioni sono gli stessi che vengono in considerazione per le clausole di divieto assoluto o di mero gradimento riferite alla costituzione di usufrutto o di pegno su azioni, che sono quindi legittime e possono essere inserite nello statuto delle s.p.a.; infatti, se è meritevole di tutela l'interesse "sociale" alla stabilità della compagine dei soci, che fonda le clausole di intrasferibilità assoluta e di mero gradimento nel trasferimento, a maggior ragione lo è quello sottinteso alle clausole che limitano il diritto soggettivo del socio alla costituzione di diritti reali minori, quali l'usufrutto e il pegno, in quanto anch'esse volte a tutelare o l'interesse "sociale" ad escludere che un soggetto estraneo alla compagine dei soci possa, attraverso il diritto di usufrutto o di pegno, esercitare determinate prerogative proprie dei soci stessi ovvero l'interesse "sociale" alla preventiva valutazione, anche discrezionale, di tale soggetto.
Il problema diventa allora quello di verificare se le condizioni di efficacia, i limiti e le conseguenze previsti dall'ordinamento come contrappeso alla compressione del diritto individuale a trasferire le azioni siano applicabili e riferibili anche alla compressione del diverso, e più limitato, diritto a costituirle in usufrutto o in garanzia.
In effetti non pare che possano estendersi alle clausole di divieto o di gradimento riferite alla costituzione di usufrutto o di pegno quegli effetti e quei requisiti previsti per analoghe clausole riferite al trasferimento delle azioni, e quindi in particolare:
  • la clausola che vieti la costituzione di usufrutto o di pegno sulle azioni sarà valida ed efficace anche senza l'inserimento di limiti temporali di scadenza; né si può ritenere che il limite temporale posto dall'art. 2355-bis, 1° comma cod. civ. si applichi automaticamente come termine di validità ed efficacia del divieto;
  • la clausola di mero gradimento riferita alla costituzione di usufrutto o di pegno su azioni sarà efficace anche in assenza della previsione statutaria di quei "correttivi" che l'art. 2355-bis, 2° comma cod. civ. impone siano apposti in caso di clausola di mero gradimento riferita al trasferimento, e quindi anche qualora non sia previsto, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di "acquisto" oppure il diritto di recesso dell'"alienante"; né si può ritenere che la sola esistenza in statuto di tale clausola generi di per sé un obbligo della società o degli altri soci di acquistare la partecipazione o il diritto di recesso del socio.
A tali conclusioni si perviene considerando che i "correttivi" previsti dall'ordinamento a fronte della legittimazione di clausole che limitano il diritto del socio a trasferire le proprie azioni, e quindi ad uscire dalla società, tutelano appunto questo diritto a non rimanere "bloccati" nella società e non trovano ragione d'essere in relazione alla corrispondente limitazione di diritti, quelli di dare in usufrutto o in garanzia le azioni, di ben altra natura e portata.
Infatti nella costituzione di usufrutto o di pegno lo scopo ultimo del socio non è di uscire dalla società; nel caso di costituzione di usufrutto la causa può essere la più svariata mentre la concessione in garanzia accede per sua natura ad un diverso rapporto, che è quello, di base e fondamentale, costitutivo dell'obbligazione garantita, del quale è un mero accessorio. In entrambi i casi, qualunque sia il "rapporto sottostante", il socio costituente rimane in società ma, salvo deroga pattizia, i suoi diritti, per lo meno quelli c.d. amministrativi, sono compressi da quelli spettanti al titolare del diritto di usufrutto o pegno.
E' evidente allora che le tutele disposte dall'ordinamento al diritto di "uscita" dalla società sono inapplicabili a fattispecie nelle quali tale diritto non è in gioco.
Ad analoga conclusione si perviene considerando la tipologia dei "correttivi" previsti dall'ordinamento a tutela del diritto del socio ad "uscire" dalla società in caso di mero gradimento, per propria natura inadatti ad essere utilizzati in caso di gradimento connesso alla costituzione di usufrutto o di pegno. Mentre nel caso di volontà di trasferimento "bloccata" dall'esistenza della clausola di mero gradimento il socio ottiene, attraverso il recesso (o l'acquisto delle azioni da parte della società o dei soci), un risultato analogo a quello che avrebbe ottenuto trasferendo liberamente le azioni, essendo in linea di massima indifferente per il "venditore" l'identità dell'acquirente, in caso di volontà di costituzione in usufrutto o in garanzia delle azioni il recesso determinerebbe un effetto assolutamente non omogeneo e, per certi versi, opposto a quello che si otterrebbe in caso di libera facoltà di costituzione in usufrutto o in garanzia. Esclusa infatti la possibilità di "liquidare" il diritto di usufrutto o di pegno in via autonoma, il recesso determinerebbe l'uscita del socio che invece sarebbe rimasto titolare della "nuda proprietà".
Effetti analoghi si ottengono introducendo in statuto clausole che, senza esplicitamente vietare la costituzione dell'usufrutto o del pegno, escludano che il diritto di voto o altri diritti organizzativi possano spettare al titolare dell'usufrutto o al creditore pignoratizio, riservandoli espressamente al socio titolare delle azioni, senza peraltro incidere sulla validità ed efficacia del rapporto tra le parti e sui diritti patrimoniali del titolare dell'usufrutto o del creditore, clausole che, per le considerazioni esposte ed a maggior ragione, sembrano del tutto legittime in quanto volte a tutelare l'interesse della società più volte specificato.

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