Revoca giudiziale della facoltà di amministrare dell’unico socio accomandatario: conseguenze. (Tribunale di Fermo, 24 agosto 2013)

Nell’ambito della società in accomandita semplice con un unico socio accomandatario deve ritenersi che la revoca giudiziale della facoltà di amministrare in capo all’unico socio accomandatario costituisca un fattore ostativo del funzionamento di detta compagine, non potendosi procedere alla nomina di un amministratore provvisorio ai sensi dell’art. 2323, comma II, c.c., facoltà prevista per il caso ontologicamente diverso del venire meno dell’accomandatario e non del potere di amministrare, e dovendosi inoltre ritenere che il dissidio tra i soci, benché non annoverato espressamente dall’art. 2272 c.c. tra le cause di scioglimento della società, può risolversi in quella generale contemplata dal n. 2 del cit. art., vale a dire la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, quando il conflitto tra i soci sia tale da rendere impossibile tale conseguimento, anche qualora si tratti di rapporti tra socio accomandante e socio accomandatario, dovendosi escludere che sia tale soltanto il conflitto causato da gravi inadempienze di uno dei soci, laddove in tal caso i contrasti potrebbero essere piuttosto eliminati attraverso l’estromissione dell’inadempiente a norma dell’art. 2286 c.c..

Commento

(di Daniele Minussi)
L'impossibilità di utilizzare nel caso di specie (revoca giudiziale del socio dalla carica) lo strumento di cui al II comma dell'art.2323 cod.civ., rimedio fruibile per l'ipotesi del venir meno dell'unico socio accomandatario, conduce direttamente allo scioglimento della società quale conseguenza dell'impossibilità sopravvenuta di conseguire l'oggetto sociale (n.2 art.2272 cod.civ.).

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