Requisito dell'abitualità dell'attività ai fini della qualifica di coltivatore diretto. (Cass. Civ., Sez. III, n. 2019 del 27 gennaio 2011).

La qualifica di coltivatore diretto, in relazione al requisito della "coltivazione abituale" previsto dall'art. 31 della legge 26 gennaio 1965, n. 590, in linea generale e, quindi, anche ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione e di quello succedaneo di riscatto, può essere attribuita anche a chi svolge altra attività lavorativa principale, poiché non è richiesto che l'attività di coltivazione sia esercitata professionalmente ovvero in modo tale che costituisca la principale fonte di reddito del soggetto, risultando sufficiente che sia abituale, intendendosi questo requisito quale normale ed usuale svolgimento di lavori agricoli, in maniera tale che l'attività agricola venga realizzata in modo stabile e continuativo prevalentemente con lavoro proprio o dei componenti della propria famiglia, traendo da tale attività un reddito, anche se secondario.

Commento

(di Daniele Minussi)
In sintesi: l'abitualità non va confusa con la principalità. Quand'anche quest'ultima non si riscontrasse (come nell'ipotesi in cui il soggetto ricavasse aliunde redditi superiori a quelli ritratti dall'esercizio dell'attività agricola) non verrebbe meno la prima, che consiste nella "stabilità e continuatività" dell'effettuazione di lavori agricoli.

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