Presupposti per l'applicazione del criterio interpretativo del contratto di cui all' art. 1367 cod. civ.: in ogni caso la comune volontà dei contraenti. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 7791 del 27 marzo 2013)

In tema di interpretazione del contratto, il criterio ermeneutico contenuto nell'art. 1367 c.c., secondo il quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno, va inteso non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per legittimarne una qualsiasi interpretazione pur contraria alle locuzioni impiegate dai contraenti, ma che, nei casi dubbi, tra possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una o più di esse e, perciò, evitando di adottare una soluzione che la renda improduttiva di effetti. Ne consegue che detto criterio, sussidiario rispetto a quello di cui all'art. 1362, comma I, c.c., condivide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è rivolto, non può essere autorizzata attraverso una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il Giudice evitarla e dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto.

Commento

(di Daniele Minussi)
Che il filo conduttore di ciascuna delle regole di interpretazione del contratto sia il rinvenimento comunque di una comune volontà dei contraenti è cosa invero scontata. Ciò anche quando la regola ermeneutica legale consista nello specifico criterio di cui all'art.1367 cod.civ.. In altri termini, la ricerca di un effetto utile deve comunque essere supportata da una comune volontà che sia distintamente decifrabile.
Nella fattispecie, si trattava di stabilire la valenza giuridica di una scrittura unilateralmente confezionata con la quale una persona in età avanzata aveva disposto della propria abitazione in favore di una coppia di badanti. Questi ultimi, terminato prematuramente il rapporto, avevano ambientato la scrittura nell'ambito di un contratto di assistenza con il quale da una parte l'anziana avrebbe loro concesso in usufrutto alcuni locali a fronte delle loro prestazioni, diritto che sarebbe diventato "pieno" alla morte della beneficiaria delle prestazioni, dall'altra parte gli stessi si impegnavano a prestare cura e ad assistere la predetta.
Forse sarebbe bastato, per dirimere la questione, evocare la parallela nullità del testamento costituente adempimento di patto successorio obbligatorio e del preesistente accordo verbale inteso alla costituzione dell'usufrutto a cagione del difetto di forma scritta.

Aggiungi un commento