Natura contrattuale della responsabilità medica. Contegno omissivo ed onere probatorio. (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 8664 del 4 aprile 2017)

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante, con la conseguenza che qualora all’esito del giudizio permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale tra condotta del medico e danno, questa ricade sul debitore.
Allorquando infatti la responsabilità medica venga invocata a titolo contrattuale, cioè sul presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sanitaria sia intercorso un rapporto contrattuale (o da “contatto sociale”), la distribuzione inter partes del carico probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti ed è dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo: sul danneggiato grava dunque solo l’onere di allegare qualificate inadempienze, astrattamente idonee a porsi come causa o concausa del danno, nella prestazione del medico inserita nella sequenza eziologica da cui è scaturito il lamentato pregiudizio.
Con specifico riferimento poi ai danni cerebrali da ipossia neonatale, si è condivisibilmente affermato che, in presenza di un’azione o di un’omissione dei sanitari nella fase del travaglio o del parto in ipotesi atte a determinare l’evento, l’esser rimasta ignota la causa del danno non può ridondare a vantaggio della parte obbligata, la quale è anzi tenuta alla prova positiva del fatto idoneo ad escludere l’eziologica derivazione del pregiudizio dalla condotta inadempiente; d’altro canto, il nesso di causalità tra condotta medica e danno è da ritenersi sussistente quando, da un lato, non vi sia certezza che il danno patito dal neonato sia ascrivibile a ragioni naturali o genetiche e, dall’altro, appaia “più probabile che non” che un tempestivo e diverso intervento medico avrebbe evitato il pregiudizio
Ai fini dell’affermazione della responsabilità medica “rileva non tanto e non solo la prova certa della sofferenza fetale, quanto piuttosto la prova certa della sua esclusione”, dimostrazione positiva cioè del fatto idoneo ad escludere il nesso di causalità tra il dedotto inadempimento dei sanitari e l’evento dannoso che deve essere offerta, dacché prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c., dalla parte convenuta nel giudizio di responsabilità.

Commento

(di Daniele Minussi)
Una volta qualificata in chiave contrattuale la fonte della prestazione medica (secondo la teorica del "contatto sociale" (Haftung aus sozialem Kontakt) potendosi tuttavia anche inquadrare nel "contratto di spedalità"), ne segue che, secondo i principi generali in tema di inadempimento delle obbligazioni, debba essere il debitore a dare contezza che il fatto dell'inadempimento verificatosi non dipende da causa a lui imputabile (art. 1218 cod.civ.), altrimenti rimanendo a suo carico l'evento pregiudizievole la cui eziologia sia rimasta ignota. Nel caso di specie il neonato aveva subito danno cerebrali irreversibili a causa della mancanza di monitoraggio, in una situazione di sofferenza ipossico-ischemica nel corso del travaglio. La Corte ha statuito affermando il diritto al risarcimento del danno patrimoniale in favore dei genitori.

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