Interdizione, inabilitazione o amministrazione di sostegno? criteri per l’individuazione della misura di protezione più idonea a tutelare il soggetto debole. (Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 17962 dell’11 settembre 2015)

Nel giudizio di interdizione il giudice di merito, nel valutare se ricorrono le condizioni previste dall'art. 418 c.c. per la nomina di un amministratore di sostegno, rimettendo gli atti al giudice tutelare, deve considerare che, rispetto all'interdizione e all'inabilitazione, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma alle residue capacità e all'esperienza di vita dallo stesso maturate, anche attraverso gli studi scolastici e lo svolgimento dell'attività lavorativa (nella specie, si trattava di un'impiegata in ufficio con mansioni esecutive). Ne consegue che non si può impedire all'incapace, che ha dimostrato di essere in grado di provvedere in forma sufficiente alle proprie quotidiane ed ordinarie esigenze di vita, il compimento, con il supporto di un amministratore di sostegno, di atti di gestione ed amministrazione del patrimonio posseduto (anche se ingente), restando affidato al giudice tutelare il compito di conformare i poteri dell'amministratore e le limitazioni da imporre alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione della persona e di gestione dei suoi interessi patrimoniali, ricorrendo eventualmente all'ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore.

Commento

(di Daniele Minussi)
Ancora sulla vexata quaestio della relazione che si pone tra interdizione ed inabilitazione da un lato e amministrazione di sostegno dall'altro. Come scegliere tra strumenti che per propria intrinseca natura riflettono un atteggiamento antitetico tra loro in dipendenza della diversa filosofia valoriale che rispecchiano? Da un lato la rigidità delle figure dell'interdizione e dell'inabilitazione, ciascuna collegata all'accertamento di stati di incapacità di intendere o di volere rispettivamente pieni o parziali, dall'altro la flessibilità della figura introdotta dal legislatore nel 2005. Essa viene tendenzialmente a coprire ogni fattispecie, ponendo potenzialmente fuori gioco gli altri due istituti. Può giustificarsi l'istituzione di una interdizione sulla scorta della rilevante entità del patrimonio da amministrare? La risposta della Corte è negativa: occorre unicamente verificare se si possano a meno individuarsi interventi di sostegno atti ad assicurare all'incapace la protezione più adeguata al caso pratico, limitandone la capacità nella misura minore possibile. L'interdizione o l'inabilitazione possono essere adottate soltanto quando tali interventi non siano individuabili.

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