Impossibilità di pronunciare la compensazione legale o giudiziale nel caso in cui sia controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale, o in altro già pendente, l’esistenza del credito opposto in compensazione. (Cass. Civ., Sez. Unite, sent. n. 23255 dell’11 dicembre 2016)

Le norme del codice civile sulla compensazione stabiliscono i presupposti sostanziali, oggettivi, del credito opposto in compensazione: liquidità - che include il requisito della certezza - ed esigibilità. Verificata la ricorrenza dei predetti requisiti, il giudice dichiara l’estinzione del credito principale per compensazione - legale - a decorrere dalla coesistenza con il controcredito e, accogliendo la relativa eccezione, rigetta la domanda. Se il credito opposto in compensazione è certo, ma non liquido, nel senso di non determinato, in tutto o in parte, nel suo ammontare, il giudice può provvedere alla relativa liquidazione se è facile e pronta; quindi, o può dichiarare estinto il credito principale per compensazione giudiziale fino alla concorrenza con la parte di controcredito liquido, o può sospendere cautelativamente la condanna del debitore fino alla liquidazione del controcredito eccepito in compensazione. Se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale, o in altro giudizio già pendente, l’esistenza del controcredito opposto in compensazione il giudice non può pronunciare la compensazione, né legale né giudiziale. La compensazione giudiziale, di cui all’art. 1243, comma II, c.c., presuppone l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la medesima compensazione è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo. In tale ipotesi, pertanto, resta esclusa la possibilità di disporre la sospensione della decisione sul credito oggetto della domanda principale, e va parimenti esclusa l’invocabilità della sospensione contemplata in via generale dall’art. 295 c.p.c. o dall’art. 337, comma II, c.p.c. in considerazione della prevalenza della disciplina speciale del citato art. 1243 c.c..

Commento

(di Daniele Minussi)
Le Sezioni Unite della S.C. si pronunciano su un tema, quello della certezza del credito, che letteralmente non avrebbe diritto di cittadinanza tra i requisiti previsti dalla legge ai fini della compensazione, ma che si desume interpretativamente dal requisito della "certezza". Essa dovrebbe essere intesa come pacificità dell'esistenza del credito, elemento incontroverso tra le parti. Se cioè il credito fosse in qualche modo contestato, il medesimo non potrebbe esser dedotto in compensazione.
Questo profilo non può invero considerarsi esente da critiche: un conto infatti è sostenere l'impossibilità di compensare un credito sub iudice, un altro è invece pretestuosamente dedurre la infondatezza del credito allo scopo di evitare l'efficacia estintiva propria della compensazione. La sentenza qui in considerazione si riferisce proprio ala prima ipotesi, in cui cioè il giudizio del controcredito sia attualmente pendente.

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