Impiego del denaro appartenente al minore in difformità rispetto alle prescrizioni dettate dal Giudice Tutelare (nella specie: per acquistare un bene in capo al genitore). Azione di annullamento del contratto. (Cass. Civ., Sez. VI, sent. n. 12117 del 29 maggio 2014)

L’art. 322 c.c. concede al figlio l’azione di annullamento di tutti gli atti compiuti dal genitore esercente la potestà senza rispettare le norme dettate a tutela del minore. Fra tali norme rientra quella per cui il denaro del minore deve essere investito previa autorizzazione del giudice tutelare e secondo le modalità prescritte in tale autorizzazione. Qualora il genitore non si attenga a tali disposizioni e utilizzi il denaro nell’interesse proprio, anziché nell’interesse del figlio, l’atto va incluso fra quelli suscettibili di annullamento, di cui all’art. 322 c.c. Legittimato a proporre l’azione di annullamento è anche il figlio, una volta raggiunta la maggiore età. In tal caso il termine di prescrizione comincia a decorrere dalla data del raggiungimento della maggiore età
Nei casi di annullamento del contratto per errore, la legge attribuisce alla parte convenuta la possibilità di evitare l'annullamento, offrendo di eseguire il contratto secondo le modalità ed i contenuti del contratto che la parte in errore avrebbe voluto concludere, sempre che formuli la sua offerta prima che l'altra parte abbia subito alcun pregiudizio. La norma è da ritenere analogicamente applicabile al caso di annullamento per incapacità legale, ed anche al caso in cui sia la stessa parte (già) incapace a farne richiesta, ritenendo la soluzione conforme ai propri interessi, e non ne derivi alcun pregiudizio per la controparte.

Commento

(di Daniele Minussi)
Nel caso di specie era stata liquidata in favore del minore d'età una somma di denaro a titolo di risarcimento per i danni subiti da costui. Tali denari erano stati impiegati, contravvenendo alle espresse disposizioni impartite dal Giudice tutelare (in sede di percezione degli stessi, ma in via del tutto estranea rispetto all'atto di vendita nel quale il padre non si era certo palesato quale legale rappresentante della figlia), per acquistare un immobile intestato al genitore. La questione assolutamente esorbitante è costituita dal fatto che, esercitando l'azione di annullamento, la figlia (già) minore d'età ha domandato che gli effetti della compravendita fossero sostanzialmente "reindirizzati" ad ella medesima. Sostanzialmente non si tratterebbe di pervenire all'annullamento dell'atto negoziale (con la conseguente eliminazione retroattiva degli effetti dello stesso) bensì di una sorta di operazione "protesica" nella quale gli effetti traslativi dell'atto vengono diretti in favore di un altro soggetto. In maniera del tutto sorprendente la S.C. accoglie tale linea sulla base di un'invero spericolata interpretazione analogica dell'art.1432 cod.civ., norma in base alla quale viene attribuita alla parte convenuta la possibilità di evitare l'annullamento del contratto per errore offrendo di eseguire lo stesso secondo le modalità ed i contenuti del contratto che la parte in errore avrebbe dovuto concludere. Insomma: la Corte perviene ad una sorta di sostituzione del contraente. Sostituendo al padre la figlia per il venditore non cambia nulla, mentre diventa arduo spiegare la dinamica in esame ai creditori che eventualmente avessero agito sui beni del padre (come nel caso di specie). E la protezione dei diritti dei terzi?

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